Uno dei primi tram elettrificati di Milano operato dalla Società Anonima degli Omnibus nel 1893 (Dea/Getty Images)
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May 15 2020
A Milano il primo mezzo di trasporto pubblico innovativo originò dalle acque dei Navigli. Nati e sviluppati tra il dodicesimo e il sedicesimo secolo ed in seguito ingegnerizzati da Leonardo da Vinci con l'innovativo sistema di chiuse,i canali furono sin dall'inizio sfruttati per collegare la città con le campagne e la rete fluviale. Dall' inizio dell'ottocento furono istituiti i primi regolari servizi di trasporto passeggeri con barche semichiuse. Sul Naviglio Grande fu attiva la tratta dalla darsena di Milano sino a Boffalora e ritorno, il "barchin de Boffalora" come lo chiamarono affettuosamente i milanesi.
Per le vie della città napoleonica nacque nel 1801 il primo servizio di carrozze pubbliche, i "fiacres", che inizialmente stazionavano in piazza dei Mercanti dove si concentravano gli uomini d'affari. Era possibile anche trovarli in piazza Fontana o in altri luoghi di sosta nel cuore di Milano. Le tariffe erano abbastanza abbordabili perchè potessero essere utilizzati anche dalla primissima piccola borghesia della città.
Pochi anni dopo, la città di Milano visse la prima vera svolta nel sistema dei trasporti urbani ed extraurbani: la rotaia.
Le ferrovie extraurbane e i tram: Milano e le strade di ferro
Milano giunse di pochissimo seconda nella corsa alle ferrovie, staccata di meno di un anno da Napoli, dove fu inaugurata la primissima strada ferrata d'Italia che collegava il capoluogo partenopeo a Portici, residenza estiva dei Borboni.
Era il 1840 quando si inaugurava la prima ferrovia extraurbana, che collegava il capoluogo lombardo con la vicina città di Monza. La concessione austriaca permise la nascita dell'Imperial-regia strada ferrata da Milano a Monza con materiale rotabile costruito a Bolzano. La velocità di esercizio di oltre 45 Km/h rese la ferrovia un volano per lo spostamento rapido di persone e merci, oltre che per il futuro dello sviluppo industriale dell'area di Sesto San Giovanni. Alla fine del primo anno di esercizio dalla stazione di Porta Nuova erano transitate già più di centocinquantamila persone. Una curiosità sulla storia della prima strada ferrata milanese fu che le autorità austriache sconsigliarono vivamente l'utilizzo dei treni ai poliziotti e soldati austriaci e croati per evitare tensioni e incidenti con gli ostili passeggeri lombardi.
La medesima tratta verso la città brianzola fu addirittura raddoppiata nel 1876 quando entrò in servizio la prima tranvia a cavalli, la ippovia. Dopo una lotta per la concessione osteggiata dal gestore della preesistente ferrovia la Società Anonima degli Omnibus organizzò il trasporto con vetture a due piani dette "Imperiali" che si inoltravano nelle campagne appena superato l'odierno piazzale Loreto e raggiungevano Monza in tre lunghissime ore. Certo il vantaggio per i cittadini era quello dell'economicità rispetto alla ferrovia e con soli 60 centesimi si poteva viaggiare seduti in seconda classe, mentre per la classe superiore bastava una lira.
La ippovia sarà elettrificata nel 1892 con automotrici inizialmente ad accumulatori (che surriscaldavano le sedute dei passeggeri) mentre in città si sviluppò la rete tranviaria che, partita a trazione animale, sarà elettrificata dalla società Edison dal 1893. La società privata manterrà la concessione dell'esercizio della rete tranviaria fino al 1916 quando passerà all'Azienda municipale dei Trasporti, l'attuale ATM.
Nel 1879 fu inaugurata un'altra linea extraurbana con trazione a vapore che, partendo da Porta Vercellina, collegava Milano a Magenta. Si trattava del trenino che i milanesi avrebbero poi battezzato "gamba de lègn" (gamba di legno) probabilmente riferendosi alla storia di un eroico capotreno che fu travolto dal convoglio in una notte di nebbia e che tornò al lavoro una volta calzato l'arto artificiale. La linea, nota per la sua lentezza (18 km/h di media) rimarrà attiva fino alla metà degli anni'50 quando fu soppiantata dal trasporto su gomma.
Il sogno del volo a Milano: dal dirigibile all'elicottero
Quando l'ippovia era in esercizio da appena un anno, Milano ospitò un esperimento che anticipò di decenni quello che avrebbe rappresentato una rivoluzione nel mondo dei trasporti, in questo caso aerei. Ai giardini pubblici di Palestro, alla Porta Venezia, il giovane ingegnere piemontese Enrico Forlanini si presentò ad un pubblico di industriali e docenti universitari con uno strano marchingegno. Sulle orme di Leonardo da Vinci, tre secoli dopo, tentò di far volare una macchina del tutto simile ad un elicottero. Sollevato da un motore bicilindrico a vapore , nel pomeriggio del 21 luglio 1877 gli astanti videro trattenendo il fiato l'ingegnere sollevarsi dal suolo per ben tredici metri.
Da quel giorno e per molti anni a venire Forlanini, stabilitosi a Milano, fu sinonimo di progresso del volo e la città fu anche in questo caso all'avanguardia. Nel 1909 a Crescenzago uscì dall'hangar-officina il suo primo dirigibile, il "Città di Milano". Bruciando le tappe, Forlanini pensò ad un volo commerciale che effettivamente sperimentò pochi anni dopo volando da Milano-Baggio a Torino-Mirafiori. Il volo, durato circa due ore alla velocità media di 77 Km/h, vide la partecipazione di alcuni giornalisti che si prestarono come passeggeri.
Tuttavia Forlanini, al quale sarà poi intitolato lo scalo milanese di Linate, non fu abbastanza rapido quanto il progresso tecnologico che vide l'aereo soppiantare definitivamente il dirigibile. Alla fine degli anni '20 nacque l'idea dell'idroscalo, dato che in quel periodo gli idrovolanti erano considerati i velivoli più adatti al servizio passeggeri perché atterravano in uno specchio d'acqua che non necessitava piste in cemento lunghe e dalla complessa manutenzione. Inaugurato nel 1930 a Segrate l'Idroscalo di Milano ebbe però vita breve a causa dell'avvicinarsi della guerra e di ritardi nella costruzione delle infrastrutture, venendo poi utilizzato come area per gli sport acquatici e, nel dopoguerra, come parco pubblico (chiamato anche il "mare dei milanesi") e per ospitare i padiglioni della nautica in occasione della Fiera Campionaria.
Alla fine degli anni'50, quando Milano era già servita dai due scali di Linate e Malpensa e si costruiva la prima linea della metropolitana, ancora una volta la città ospitò un esperimento all'avanguardia nel mondo dei trasporti: un eliporto urbano per servizio di linea. Quasi un secolo dopo l'esperimento di Forlanini, fu l'elicottero a rendersi nuovamente protagonista nell'anticipare il progresso del trasporto urbano. Un assaggio i milanesi lo ebbero nel 1950, quando sul tetto di uno dei capannoni della Fiera Campionaria simbolo della rinascita postbellica fu allestito un piccolo eliporto dimostrativo con elicotteri della Aersilta, che sarà mantenuto anche per altre edizioni della fiera e che porterà in volo giornalisti e operatori del commercio. Pochi anni dopo, nel 1958, Milano pensò in grande emulando New York. Negli anni in cui si riteneva che l'elicottero potesse diventare il taxi dell'aria, il Comune di Milano assieme ad alcuni investitori privati costituì una compagnia di elicotteri per collegare il capoluogo lombardo con Malpensa, Torino, Lugano, Trieste e addirittura l'Isola d'Elba. Nasceva così la Elipadana, che proprio da New York prese a noleggio il primo velivolo, un Vertol V-44 birotore noto anche con il nomignolo di "banana volante". La zona scelta per la costruzione dell'eliporto ricadde in un'area a pochissima distanza dalla sede della Regione Lombardia, in via Rastelli. Il primo volo fu il 16 novembre 1958 e poco più tardi al primo elicottero si aggiunsero due Sikorsky S-58 da 12 passeggeri in leasing dalla belga Sabena. Il sogno tuttavia durò poco: la vicinanza di numerosi palazzi fece insorgere gli abitanti della zona, esasperati dall'insopportabile rumore degli elicotteri che si alzavano in volo e atterravano a pochi metri dalle loro case, spesso spalancando le finestre per lo spostamento d'aria. La storia dell'eliporto si chiuse all'inizio del 1961 anche a causa degli elevati costi dei biglietti, con strascichi polemici nei confronti del Comune di Milano che avrebbe buttato milioni in un servizio forse ancora troppo avanti con i tempi. Oggi l'eliporto di via Rastelli è un giardino pubblico, ma la piazzola di atterraggio è ancora visibile.
Milano anticipa il futuro e testa due funivie urbane (1894 e 1951)
Il trasporto urbano con impianti a fune ha preso piede a livello mondiale nell'ultimo quindicennio. Molti sono ormai i centri urbani e le megalopoli che si sono dotate di un sistema di trasporto funiviario per sopperire almeno in parte alle congestioni del traffico veicolare, una scelta che si è rivelata vantaggiosa sia in termini ecologici sia economici per i costi di costruzione ed esercizio ben inferiori ad altre opere come le metropolitane. Anche in questo campo, Milano fece da apripista con più di un secolo di anticipo. Era il 1894 quando la città ospitò nell'area del Castello Sforzesco le Esposizioni Riunite Internazionali, che prevedevano una serie di installazioni a scopo ricreativo per i visitatori. Pochi mesi prima dell'apertura della manifestazione un giovane ingegnere originario di Bologna, Giulio Ceretti, presentò il suo progetto per un'attrazione inedita: la Luftbahn (o ferrovia aerea) che la stampa chiamò "vagonetti a benzina": era la prima funivia cittadina. Si trattava di un sistema a doppia fune, con la traente chiusa ad anello lunga poco più di 160 metri e ancorata a due torri di 25 metri di altezza. Le due cabine della capienza di otto passeggeri si alternavano in un viaggio della durata di poco più di un minuto, ma per i numerosi utenti che si misero in fila per una corsa, fu come toccare il cielo con un dito. Per Ceretti la funivia di Milano segnò l'esordio di una lunghissima carriera con il suo marchio Ceretti &Tanfani. Fondata nello stesso anno dell'esposizione milanese, diverrà presto una delle aziende leader mondiali nei trasporti a fune, con sede nel capoluogo lombardo nella zona della Bovisa.
Mezzo secolo dopo quella kermesse espressione del positivismo scientifico e tecnologico, Milano viveva una nuova primavera dopo essersi risollevata a fatica dalle macerie della guerra. Per la seconda volta la città fece le prove generali dello sviluppo e delle potenzialità del trasporto a fune in ambito urbano. L'occasione fu la IX Triennale al Palazzo dell'Arte del Parco Sempione, a pochi metri da dove era sorta la Luftbahn di Ceretti. Nella primavera del 1951 i milanesi che transitavano nella macchia verde del parco videro sorgere una decina di piloni in ferro, ai quali sarà poco dopo appoggiata una fune d'acciaio. Così nasceva la seggiovia, una delle prime ad agganciamento automatico testata proprio a Milano dalla svizzera Von Roll, con i caratteristici seggiolini biposto disposti a lato marcia. L'impianto collegava il Palazzo dell'Arte con la collinetta di Monte Tordo, tramite due stazioni dal design futuristico realizzate in cemento. Una volta smantellata, parte del materiale andrà riutilizzato nella costruzione della seggiovia del Vesuvio, in esercizio dal 1953.
Attualmente a Milano è in funzione un impianto a fune, il people mover dell'Ospedale San Raffaele, che fu anche in questo caso il primo del suo genere in Italia. Inaugurato nel 1999, collega il nosocomio con la stazione di Cascina Gobba della metropolitana Linea 2 (la più lunga d'Italia) correndo su una sede propria sopraelevata (sistema detto ettometrico) lunga circa 650 metri. Il sistema è completamente automatico senza conducente sulle vetture, un sistema adottato anche sulla metropolitana milanese Linea 5.
Il difficile percorso delle due ruote: l'evoluzione delle piste ciclabili milanesi
La storia delle piste ciclabili urbane di Milano è invece molto più recente. Per tutto il periodo dal dopoguerra agli anni settanta il problema di una sede protetta per gli utenti delle due ruote non fu considerato, in quanto il traffico automobilistico cresciuto soltanto progressivamente e l'assenza di un problema ecologico comunemente sentito rimandarono le discussioni agli anni a venire.
La prima pista interamente dedicata alle biciclette fu realizzata soltanto nel 1980 nel parco di villa Litta, nel quartiere settentrionale di Affori. Il percorso, un anello di appena 2,5 chilometri, rimaneva tuttavia confinato all'area del parco. Alla fine dell'anno fu realizzata la ciclabile Lotto-QT8-Monte Stella-Gallaratese, il primo percorso che correva per alcuni tratti accanto al traffico automobilistico. Per la realizzazione di una pista ciclabile nelle zone centrali della città bisognerà attendere l'anno successivo, il 1981, quando il Comune inaugurò il percorso tra piazzale Susa e Corso Plebisciti. La ciclabile fu origine delle prime polemiche da parte degli utenti, in quanto risultava incompleta della segnaletica prevista dal Codice della Strada e di conseguenza pericolosa. La difficoltà nel reperimento dei fondi da dedicare alle due ruote fece sì che anche negli anni della "Milano da bere" la crescita dei percorsi ciclabili fosse estremamente limitata, con la sola realizzazione del percorso tra la basilica di Sant'Ambrogio e il parco Solari. Per quanto riguardava le piste extraurbane fu approntata nel 1985 la ciclabile dell'Adda sull'ex sede della tranvia. La delibera fu firmata da Mario Chiesa l'anno precedente la sua nomina ad amministratore del Pio Albergo Trivulzio in qualità di assessore alle opere pubbliche della Provincia di Milano.
Se mancavano i percorsi, Milano non smise tuttavia di guardare al futuro. Nel 1986 l'allora sindaco socialista Carlo Tognoli si recò addirittura all'Aia, in Olanda, per raccogliere idee innovative sul futuro possibile per una città su due ruote. Il risultato fu che Milano, con un decennio di anticipo su grandi metropoli come Parigi, lanciò un esperimento di bike sharing appoggiandosi agli sponsor. Sul servizio fu posta molta enfasi mediatica e le prime mille biciclette pubbliche, le cosiddette "bici gialle" per il colore vivace dei telai, furono presentate alla Fiera Campionaria e fornite anche agli ospedali per gli spostamenti del personale tra i padiglioni. Il grave problema fu la mancanza di misure di sicurezza e controllo sulle utenze, che la tecnologia di allora non poteva fornire. Quando furono sistemate nelle rastrelliere poste nel centro cittadino entro la cerchia dei Navigli accadde quello che molti scettici immaginavano: in mancanza di un sistema di localizzazione, le bici del Comune sparirono già ventiquattro ore dopo il loro debutto nel maggio 1987, nascoste nei cortili e nelle cantine oppure riverniciate e spedite lontano.
Chiuso l'esperimento del primitivo bike sharing, Milano proseguì seppure a rilento la costruzione di nuove piste ciclabili urbane: alla fine del decennio fu il turno della Lotto-Sempione-Solari-Navigli con asfalto segnaletico rosso e quella della Martesana, che costò 2 miliardi e mezzo.
Per tutti gli anni novanta la rete rimase sostanzialmente la stessa, costantemente ostacolata dalla sosta selvaggia delle automobili in continua crescita a cui si aggiunsero casi di degrado in alcune tratte dei soli 25 chilometri di percorsi urbani costruiti sino ad allora.
Una ripresa consistente dello sviluppo della rete ciclabile milanese si è registrata soltanto a partire dagli anni successivi al 2011, con l'istituzione di nuovi itinerari che al 2015 (anno dell'Expo) raggiungevano i 185 chilometri nell'area della Città Metropolitana registrando un aumento del 65%. L'ampliamento ha coinciso con il rapido sviluppo dei servizi di bike sharing dell'Azienda dei Trasporti Milanesi (BikeMi) e di soggetti privati (MoBike e altri).
La nuova sfida delle due ruote in città, spronata dalla pandemia del Coronavirus all'inizio del 2020 sarà soprattutto incentrata sul prolungamento e l'interconnessione delle ciclabili in ambito cittadino. Iniziati con la fase 2 seguita ai due mesi di lockdown, i lavori dovrebbero garantire l'ulteriore aggiunta di 35 chilometri di ciclabili che troveranno spazio nelle principali direttrici della viabilità urbana milanese.