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September 17 2014
Due milioni 142 mila 857 euro (e 15 centesimi) per combattere le mutilazioni genitali femminili a Dakar: a tanto ammonta la spesa per la campagna Stop Fgm fortemente voluta da Emma Bonino. Il progetto è partito il 1° marzo, neanche due mesi dopo la firma dell’accordo triennale di cooperazione Italia-Senegal (valore: 45 milioni di euro) da parte del ministro degli Esteri senegalese, Mankeur Ndiaye, e della medesima Bonino, all’epoca responsabile della Farnesina. La lotta contro le mutilazioni genitali, come spiegava il ministero l’8 gennaio, è uno «storico cavallo di battaglia» della Bonino che infatti nel 1994 ha fondato una ong, Non c’è pace senza giustizia (Npsg), impegnatissima sul tema. E chi si è aggiudicato il contratto da 714 mila euro l’anno, dal 2014 al 2016, per l’intervento in Senegal? Indovinato.
Npsg è una vecchia e meritevole cliente del Mae (viene finanziata dal 2004), oltre che di governi esteri (come Austria e Canada) ed enti locali (la Regione Puglia o la Provincia di Milano). Ma nell’era Bonino è stata particolarmente attiva: a settembre 2013 è entrata nella graduatoria dei progetti da finanziare con il piano Stop Fgm in Burkina Faso, e nel marzo 2014 è stata prescelta per il Senegal (ma sul sito della Farnesina, attenzione, non c’è traccia del bando). Poi però qualcosa è andato storto. L’ong ha partecipato a due bandi per la cooperazione internazionale, ma il 26 giugno, in epoca post Bonino, nessuno dei due finanziamenti è stato approvato. La doccia fredda, a dir la verità, è toccata anche ai 44 vincitori del concorso per i paesi in via sviluppo. I criteri di selezione seguiti dalla Farnesina sono stati infatti cambiati in corso d’opera, e tra schede corrette a penna, avvisi mancati, priorità modificate, il mondo della cooperazione oggi è in rivolta. Contestata la graduatoria, gli esclusi oggi minacciano un ricorso al Tar, col rischio di bloccare tutta la procedura. E di perdere i fondi.