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Musica

Ministri: "Noi, il rock and roll e il mestiere di fare musica senza trucchi"

di Federico Dragogna, chitarra e seconda voce dei Ministri

Abbiamo un nuovo gioco per passare il tempo in tour: accendere la radio e trovare una canzone in cui qualcuno stia suonando una batteria per davvero. A meno che non stiano passando qualche vecchio classico, potrebbe essere più difficile di quanto immaginate. Non è una questione di nostalgia o di purezza, è più semplicemente un mestiere che stiamo dimenticando – come tanti altri. Il mestiere di fare musica e di farla senza trucchi. Siamo cresciuti con il rock, quello suonato e sudato, con i suoi ideali e i suoi eccessi, la rabbia e le pose, gli assoli e i capelli che vanno su e giù. Ora ci ritroviamo a doverlo preservare come un animale in via d’estinzione.

Dato che con Cultura Generalesiamo ormai al quinto disco vorrà dire che là fuori c’è qualcuno che ancora vuole sentirlo il rock, sporco e sincero come nacque più di cinquant’anni fa. Ed è una fatica farlo in un Paese che in fondo non l’ha mai accettato: da anni ci sentiamo dire che le chitarre elettriche spaventano la gente, da anni vediamo festival e ragazzi che cercano di costruire qualcosa, falciati dalle giunte, dalle segnalazioni di chi non riesce (comunque) a dormire, dagli sceriffi di Nottingham e dalle vecchie signore.

Da anni continuano a chiamarci ragazzi, proponendoci stili di vita del cui fallimento sono già loro la prova mentre noi facciamo una fatica del diavolo anche solo a trovare la strada. Da anni cercano di tenere in piedi una certa idea di Italia come si tiene un ombrellone che il vento si sta portando via. Invece di inseguirlo con loro, abbiamo deciso di volare a Berlino e registrare con un americano, Gordon Raphael di Seattle, e poi di lasciare tutto esattamente come lo abbiamo suonato in quei pomeriggi negli studi della Funkhaus, ex sede della radio della DDR, un palazzo semiabbandonato da altri signori che venticinque anni fa fallirono insieme al loro progetto di una cultura unica e addomesticata. Quello che ci abbiamo fatto dentro molto probabilmente non cambierà il mondo, ma almeno ci ricorderà che il mondo non ha cambiato noi.

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