Politica
July 22 2022
Il Governo Draghi è caduto e sono in molti da due giorni a raccontarlo come un'esperienza unica. Ci sono però delle cose che per essere buoni possiamo dire che non hanno funzionato alla perfezione. Ad esempio e le istanze degli operatori della sanità, citati anche nell'ultimo discorso dall'ex premier come degli eroi nazionali, sono rimaste disattese. Medici, ricercatori e infermieri che hanno combattuto il Covid in prima linea non avranno nulla di quello che si aspettavano. Niente aumenti di retribuzione, ne di personale, ne stabilizzazione di una parte dei precari.
Colpa, dicono, più che del premier di chi ha gestito negli ultimi due governo il settore: il Ministro Speranza. Per loro il titolare del dicastero della salute dopo grandiosi ringraziamenti, visite e strette di mano dispensate ovunque e in abbondanza, non ha lasciato nulla. Non c’è una programmazione per assumere personale, ma dei castelli di sabbia chiamate case della salute servite per prendere i fondi del Pnrr che resteranno vuote. Eppure c’è chi muore in corsia come il medico di Manduria, deceduto dopo 24 ore di turno continuato, o chi affronta doppi turni massacranti in pronto soccorso per assenza di personale; e ancora i ricercatori dell’Ircs della sanità pubblica precari da tutta la vita che non hanno avuto nemmeno l’onore di essere ricevuti al Ministero della Salute. Ecco per tutti loro non c’è nulla, è questa l’eredità lasciata dal Ministero di Speranza e da un Governo pasticciato che visti i risultati non mancherà a molti.
“I soldi del Pnrr non potevano essere investiti nel personale, ma ci avevano promesso che in autunno il Governo avrebbero investito per nuove assunzioni. Mancheranno 20mila operatori ma soprattutto manca la dignità dei lavoratori e una migliore retribuzione. Investono nelle infrastrutture e non c’è nessuno dentro. A Manduria dopo un turno di 24 ore è morto un medico. Non abbiamo ottenuto nulla di quello che ci è stato promesso. Se non ci sono i medici e non ci sono assunzioni allora chiudiamo gli ospedali» commenta amareggiato Filippo Anelli presidente dell’Ordine Nazionale dei medici.
Ma non è il solo commento critico. Per i ricercatori della sanità pubblica ARSI la questione è ancora più pesante.
«Da anni ci battiamo per promuovere il riconoscimento professionale del nostro operato e poter ambire ad un contratto stabile di lavoro, degno di un paese civile. Siamo invece precari da sempre e spesso invisibili, se non nelle campagne pubblicitarie per le richieste fondi. Poi, fantasmi.È forse il modello più avanzato di sfruttamento del lavoro nel panorama della ricerca italiana, in quanto la figura del Ricercatore Sanitario a tempo indeterminato non esiste nella Pubblica Amministrazione. Non è mai stata creata. Volutamente. Dietro questa perversione c'è l'idea che "precario è meglio", perché se sai che puoi perdere il posto di lavoro, produrrai di più»
Questo cosa ha comportato?
«Una grande fuga dal pubblico al privato, aziende o sanità privata che sia. Oggi siamo rimasti in 1300 sul territorio nazionale. Eravamo 1800 solo due anni fa. La gente se ne sta andando per mancanza di prospettive. Sta proprio lasciando la ricerca, contribuendo a disperdere un know-how non facilmente sostituibile e generato con soldi pubblici. Nonostante il nostro impegno totale in pandemia, al fianco dei medici e degli infermieri, non siamo stati considerati degni di stabilizzazione neanche nella scorsa legge di bilancio.Abbiamo un'anzianità precaria media nazionale di 11 anni (range 7-32 anni, 80% sono donne), ed in totale abbiamo accumulato fino a 13000 ANNI di precarietà con il Ministero della Salute, fatta di contratti atipici e di abusi contrattuali. Numeri che mettono i brividi, colmi di tutele non riconosciute, ferie non pagate, congedi parentali non goduti, TFR non accumulati, senza prospettiva di stabilizzazione»
Cosa avete fatto per essere ascoltati?
«La nostra è la battaglia della tutela del diritto e della dignità dei lavoratori si muove a braccetto con la battaglia dei pazienti a poter ambire a cure per malattie oggi ancora incurabili. La nostra è diventata una battaglia di ormai due generazioni contro un sistema marcio. A parole tutti ci appoggiano, ma allo stesso tempo niente è stato fatto per sanare questa situazione. La legge delega sulla riforma degli IRCCS non ha minimamente parlato di dotazioni organiche a tempo indeterminato del personale che fa ricerca in questi istituti. L’audizione di ARSI avuta alla Camera per tale legge ha solo portato a ODG multipartitici sulla nostra stabilizzazione, ma allo stesso tempo al ritiro da parte del Governo di tutti gli emendamenti presentati in tal senso»
Vi hanno ricevuto?
«Nel corso di questi mesi, abbiamo tentato vanamente di essere ricevuti dal Ministro Speranza e dal Sottosegretario Sileri».
A mettere l’accento sulla gravità della situazione sanitaria Piero di Silverio segretario nazionale ANAAO ASSOMED
«C’è stata una mancanza di senso di responsabilità che tutti i parlamentari hanno dimostrato perché in un momento di crisi generale che ha vissuto e vive la sanità, invece risollevare un sistema universalistico che ormai è morto, tutti si concentrati sul potere e le poltrone. Andranno al voto il 25 settembre con un dispendio organizzativo, economico che sarebbe dovuto essere speso per la legge di bilancio dalla quale ci aspettavamo dei segnali»
Cosa avete chiesto ?
«Degli eventi strutturali rispetto le esigenze in pronto soccorso, di rivedere il contratto nazionale ma tutto questo verrà accantonato per esigenze che niente hanno a che vedere con il bene del Paese, è inaccettabile. La carenza di personale negli ospedali è crescente. La case di comunità sono dei castelli di sabbia perché non c’è personale da impiegare».
In questi 4 anni cosa è stato fatto?
«Un ministero come quello della salute da solo non basta, loro qualcosina l’avevano fatta ma non è servito a niente, è stata una goccia nel mare. Quando la politica latita è così purtroppo. Noi ci aspettiamo di essere aiutati, oggi è morto un medico dopo 24 ore di turno ed è una cartina tornasole. La sanità è considerata un costo e non una risorsa e intanto continuiamo ad assumere tramite cooperative perché ricadono in un altro capitolo di spesa».