Il Molnupiravir non funziona contro il covid, e noi abbiamo comprato confezioni per 55 mln di euro
L’Aifa dopo aver approvato in via emergenziale la pillola Molnupiravir contro il Covid, ha deciso di revocarla perché inefficace. Il farmaco, autorizzato nel 2021 è stato somministrato a 64007 soggetti, per un costo stimabile in oltre 55 milioni di euro. Un altro spreco di denaro pubblico che va ad aggiungersi all’elenco dei soldi buttati via durante l’emergenza Covid come il caso dell’antivirale Remdesivir (di cui abbiamo ampiamente parlato) rivelatosi inefficace e costato all’Italia 50 milioni di euro. O ancora dei vaccini Johnson & Johnson e AstraZeneca dove alcuni casi di trombosi legati al vaccino hanno indotto molti governi a limitarne l’uso e a sostituirne la seconda dose con un altro vaccino.
Nel dettaglio Aifa ha reso noto che «è stato deciso di sospendere l’utilizzo del medicinale antivirale Lagevrio (Molnupiravir) di Msd a seguito del parere negativo formulato dal Comitato Ema del 24 febbraio scorso, per la mancata dimostrazione di un beneficio clinico in termini di riduzione della mortalità e dei ricoveri ospedalieri». Ma la revoca del farmaco non era del tutto inaspettata visto la scarsa solidità degli studi clinici e la fretta con cui è stato approvato che non ha permesso di testarlo su un maggiore numero di soggetti. Questioni che hanno spinto la Francia a non autorizzarlo e l’Italia invece a farne scorta con il risultato di aver comprato un farmaco inutile.
«La pratica, molto diffusa negli anni della pandemia, di annunciare ed anticipare risultati ha creato molta confusione e anche molte aspettative esagerate che non sono poi state confermate e Molnupiravir è uno di questi casi»-ci spiega il chimico farmaceutico Gabriele Costantino, Direttore del Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco nell’Università di Parma.
Cosa può dirci dell’iter autorizzativo?
«L’advisory committee di FDA concesse nel dicembre 2021 parere favorevole all’autorizzazione con una maggioranza strettissima, e con limitazioni d’uso ai soggetti che non potevano accedere a trattamenti alternativi e escludendo donne in stato di gravidanza e adulti che intendevano programmare una gravidanza a breve. Inoltre, molte delle questioni poste sulla scarsa significatività dei risultati e sulle differenze osservate in diversi Paesi, non trovarono adeguata risposta».
Le evidenze scientifiche erano sufficienti?
«Difficile da dire. In realtà, chi lavora nel campo della ricerca sperimentale, opera quotidianamente un atto di fiducia nei confronti dei colleghi e del sistema di peer-reviewing (che, ovviamente, comprende anche le decisioni degli organismi regolatori). Per questo, con l’annuncio a settembre 2021 di risultati preliminari molto positivi, si, potremmo dire che le evidenze in quel momento erano sufficienti per concedere l’autorizzazione. Questo pone il grande problema della comunicazione via stampa di risultati parziali di studi clinici che necessiterebbero di più tempo e più osservazioni per dare risultati robusti».
L’approvazione di emergenza di Molnupiravir è stata basata su evidenze scientifiche?
«Certamente no. La stessa cosa accadde ad esempio per Remdesivirun altro antivirale che ha ricevuto l’approvazione definitiva e che fu approvato grazie ad uno studio che dimostrava significativi risultati sulla diminuzione di mortalità. La pubblicazione successiva di altri trial clinici che non confermavano i risultati avrebbe suggerito una riconsiderazione delle modalità di accesso e di costo del farmaco».
Come si sarebbe dovuto procedere?
«Le evidenze scientifiche richiedono anni e anni di lavoro per trovare consenso unanime, e questo tempo non e’ compatibile con la necessità della politica e dell’economia di prendere decisioni rapide. Seguire le indicazioni di consenso che provengono dal mondo scientifico è quindi ancora il modo migliore di procedere, con la consapevolezza che non si tratta mai di ‘verità’ assolute, e che possono sempre emergere nuovi dati che cambiano il quadro della situazione. E’ responsabilità della politica, adeguarsi rapidamente alle nuove informazioni disponibili, e questo spesso è mancato, sia nel caso di misure farmacologiche che non farmacologiche».
Cos’è Molnupiravir?
«È un farmaco (profarmaco) di lunga storia, originato dalla Emory University (EID-2088) e poi, attraverso vari passaggi, arrivato a Merck. I primi risultati in vitro e sull’animale nel contesto dell’infezione SARS-Cov2 generarono molto entusiasmo e aspettativa (in me stesso, per primo) perche’ si trattava del primo farmaco anti COVID che poteva esser somministrato per via orale, a differenza del remdesivir e degli anticorpi monoclonali. C’erano quindi tutti i presupposti perche’ Molnupiravir diventasse (addirittura in anticipo su Paxlovid) lo ‘standard of care’ antivirale per SARS-Cov2. Vi erano in realtà alcuni scricchiolii che andavano colti, ad esempio il fatto che, man mano che si accumulavano dati sull’impiego degli anticorpi monoclonali, appariva evidente la possibilità da parte degli antivirali di selezionare varianti resistenti».
Quali sono stati gli effetti su chi l’ha assunto oltre l’inefficacia?
«Questo sarebbe interessante saperlo. Escluderei che vi sia stata qualunque grave conseguenza per chi li ha assunti. Non possiamo dir nulla circa l’eventuale selezione di varianti con fitness dovuta al meccanismo d’azione di quest farmaco, perche’ in Italia manca largamente questo sistema di vigilanza. Se qualcuno ne ha giovato oppure no, non possiamo saperlo, al di là di qualche racconto narrativo. Purtroppo l’autorizzazione d’emergenza prima del completamento di tutti gli studi clinici richiesti, vanifica la reale comprensione dell’effetto o del non effetto del farmaco in ‘real life’. Consideriamo che in Italia sono stati usati oltre 300.000 trattatamenti antivirali (anticorpi monoclonali, Remdesivir, Paxlovid, e Molnupiravir). Non abbiamo purtroppo un quadro completo della loro efficacia o non efficacia. Certo, abbiamo tutti sotto gli occhi i comunicati stampa e le interviste in cui si gridava al 70/80% di riduzione di mortalità. Vuol dire che senza questi farmaci avremmo avuto in Italia 260,000 morti in più?. Naturalmente non e’ cosi’, e questo pone il problema molto serio di una corretta comunicazione (e prima ancora, comprensione) sull’effetto dei farmaci e dei trattamenti».
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