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November 05 2013
La Seconda guerra mondiale non rappresenta solamente il punto più alto di una tragedia umana che si è consumata nel Vecchio continente. Ma è stata anche un momento molto florido per i cosiddetti "crimini artistici", come dimostra il recente ritrovamento di circa 1.500 opere di maestri assoluti in un appartamento disabitato di Monaco.
Gli esperti si sono già sbilanciati in una valutazione approssimativa. Secondo loro almeno 1.400 opere ritrovate nel covo nazista di Monaco non sono mai state registrate e quindi sono pezzi sconosciuti.
Parliamo di pittori del calibro di Pablo Picasso, Marc Chagall, Otto Dix, Max Liebermann ed Henri Matisse. A spanne il loro valore si aggirerebbe attorno a 1 miliardo di euro. Questo dà il polso del business dell'arte ai tempi dei nazisti e svela tra le pieghe della Seconda guerra mondiale la concitata necessità del Terzo Reich di incassare valuta straniera da utilizzare per foraggiare le truppe e impiegarle al fronte.
Hitler aveva due cose in mente: voleva riempire di opere il Fuehrermuseum di Linz, in Austria, proprio come Napoleone fece con il Louvre, con l'intento di glorificare la sua immagine e quella della Germania attraverso i dipinti e le opere più prestigiose di tutti i tempi e, secondariamente, desiderava nascondere tutto quello che potesse appannare l'ideale di umanità propagandato dai nazisti.
Per sessantotto anni Cornelius Gurlitt, mercante d'arte, ha nascosto il bottino di opere d'arte dietro scatole di cibo dell'epoca nell'appartamento di Monaco. E lo ha fatto prima per compiacere suo padre Hildebrand e il regime hitleriano e poi per motivi personali. Con il tempo quelle opere gli sarebbero tornate utili e avrebbe potuto venderle, anche se sul mercato nero, vista la mancanza di registrazione delle stesse e, soprattutto, il fatto che la maggior parte dei dipinti sono stati trafugati ai legittimi proprietari ebrei contestualmente al loro ingresso nei campi di sterminio, l'operazione sarebbe stata davvero difficile da tenere nascosta.
Ma quelle opere ci danno la possibilità di ricostruire pezzo per pezzo i crimini legati all'arte e perpetrati dai nazisti. Hildebrand Gurlitt nel 1938 viene nominato come quarto membro della Commissione nazista per la confisca dei beni degli ebrei ed è già un mercante d'arte accreditato presso la Galleria d'Arte Moderna tedesca. Gurlitt riceve da Hitler e da Goering l'ordine di vendere "l'arte degenerata" per incassare valuta straniera.
E qui ha inizio il grande business nazista. Gurlitt e i suoi sodali organizzano una mega asta per vendere circa 16 mila opere (tra dipinti e sculture) che il vertice nazista ha fatto rimuovere dai musei tedeschi tra il 1937 e il 1938. "Spazzatura", così Joseph Goebbels, a capo della propaganda del Fuehrer, aveva etichettato quelle opere d'arte. Una "spazzatura molto redditizia, però, e infatti i compratori al di fuori dalla Germania non esitano a presentarsi.
Hitler li spaventa, facendo bruciare circa mille dipinti e sculture nel cortile dei vigili del fuoco di Berlino nel 1939, ma è solo un mezzo per scatenare la paura che le grandi opere d'arte vadano perdute e così fioccano le richieste di acquisto da tutto il mondo.
Ma, quello che Hitler non può sapere è che i membri della Commissione per la confisca dei beni ebraici hanno tenuto per loro un grande numero di opere d'arte, per venderle in Svizzera e negli Stati Uniti. E la stessa cosa viene fatta con le opere "confiscate" fuori dalla Germania. Soprattutto in Francia. Hildebrand Gurlitt durante la Guerra infatti lavorava per i nazisti a Parigi.
Sul business dell'arte secondo i nazisti Panorama.it ha chiesto il parere di Matteo Smolizza , storico dell'arte e profondo conoscitore del mercato della pittura moderna europea.
Cosa ne pensa di questo colossale ritrovamento di opere d'arte?
Penso che sia sorprendente per la misura, ma non sorprendente in sé. Non è raro che emergano in collezioni private o persino in collezioni pubbliche rilevanti opere d'arte sottratte al pubblico o requisite dai nazisti durante l'ultima guerra: ricordo per esempio il recente passaggio in asta, a 30 milioni di euro, di un paesaggio di Klimt appartenuto a una famiglia ebraica viennese, gli Zuckerkandl, restituito agli eredi dopo essere stato esposto per mezzo secolo nel Museo della città di Salisburgo. Qui colpisce, tuttavia, il ritrovamento di un magazzino nel quale è stato conservato un nucleo estremamente consistente di opere d'arte.
Talmente consistente che gli esperti a spanne lo valutano di circa 1 miliardo di euro...
Considerando quello che si è visto dalle immagini rese pubbliche, questa stima può anche essere per difetto e di parecchio, poiché, per esempio, una singola opera di Picasso del 1939 può avere da sola un valore di decine di milioni di euro. Per avere un'idea va detto che questo "magazzino" era e potrebbe essere la crema di molte collezioni museali di rango internazionale.
Ma come è possibile che la maggior parte di queste opere risultino "sconosciute" agli studi e quindi non registrate?
Dipende dalla profondità di analisi negli studi. Per esempio - non avendo una lista in mano non possiamo che basarci sulle informazioni date alla stampa - è alquanto improbabile che una tela di grande importanza di un pittore espressionista sia entrata in un museo tedesco o anche in una collezione privata di spicco senza avere una storia espositiva precedente e senza essere stata registrata nella contabilità dell'atelier dell'autore. Se però l'analisi viene fatta sui libri di normale consultazione nell'anno 2013, è chiaro che una tela, scomparsa oltre mezzo secolo fa e magari esposta in una o due gallerie berlinesi negli anni '30, molto difficilmente sarà riprodotta. I cataloghi all'epoca spesso non avevano o avevano poche fotografie e l'intero delle opere era semplicemente indicato in indice. La ricostruzione dell'opera andrebbe fatta dunque non sulla bibliografia corrente, ma sulle fonti d'archivio precedenti alla Guerra.
Nel "magazzino" di Monaco non risulterebbero opere italiane
Si sa che le requisizioni hanno interessato in maniera particolare la pittura francese e la pittura di area tedesca delle avanguardie, includendo dunque l'Austria. Correnti come il Futurismo non erano particolarmente rappresentate in quelle aree di collezionismo.
Eppure mancano all'appello anche delle opere di Caravaggio. Secondo lei che fine hanno fatto, sono state bruciate dai nazisti?
E' da escludere che ci siano state distruzioni volontarie di opere d'arte antica; ma gli storici dell'arte sanno che sfogliando i cataloghi dei grandi Maestri - questo vale per Caravaggio, penso per esempio al San Matteo e l’Angelo già al Kaiser Friedrich Museum, come per Poussin - capita di rilevare che capolavori siano andati distrutti nei bombardamenti in Germania durante la Seconda guerra mondiale. Va fatto una netta distinzione tra le opere che furono considerate "degenerate", e qui parliamo soprattutto dell'arte contemporanea o di poco precedente al regime nazista, e le opere di arte antica che furono invece comprate dai tedeschi in condizione di vantaggio nei territori occupati, oppure traslocate dalle sedi museali nelle ultime fasi di guerra proprio per evitarne la distruzione fortuita.
Sta parlando di opere come quelle che Goering era solito acquistare tra Firenze e Roma?
Sì, tra i gerarchi nazisti c'era un forte collezionismo, anche per intercettare gli interessi del Fuehrer che aveva una grande passione per l'arte di impronta classica e per la sua funzione pubblica. Ma, mentre Goering preferiva l'arte antica, Goebbels era stato un sostenitore proprio della cosiddetta "arte degenerata". La cosa curiosa è che nel Dopoguerra dall'attività svolta da Rodolfo Siviero, incaricato dal governo italiano di recuperare le opere trafugate dai nazisti, emerse che Goering aveva preso diversi bidoni rifilati dai nostri mercanti, che gli avevano spacciato per capolavori del '500 delle vere e proprie croste! Questo ci illumina anche sull'ampio discernimento dei mercanti italiani e sulla sensibilità, realmente ben scarsa, del gerarca nazista.