Food
March 02 2024
Come deve essere una pizza oggi? Quanta formazione serve perché sia buona, digeribile, contemporanea, gourmet, all’avanguardia. Nutriente. Perché tutte quelle farine? Meglio la pizza tonda? O quella in teglia? E chi mi propone un percorso di degustazione, con impasti diversi e topping alternativi, in realtà cosa mi sta offrendo? Una esperienza. Proprio come se foste in un ristorante gastronomico.
Fino a dieci anni fa, la pizza se non quella fatta a casa da mamma, si mangiava spesso nel cartone, davanti ad una partita di calcio, bevendo una birra, e dalla quarta fetta era pure fredda. Poi abbiamo iniziato a fare caso… alle cose, a ciò che mangiavamo, alla bottiglia di acqua che svuotavamo prima di dormire, e lì vuol dire che c’era stato un problema con gli enzimi responsabili del processo di lievitazione che continuavano a legarsi al lievito all'interno del nostro stomaco. Abbiamo iniziato a fare caso alla provenienza del pomodoro che finiva sulla pizza, ai sacchi di farina, messi in bella mostra nelle pizzerie, che sempre più spesso ritagliavano in sala un angolino per la dispensa, per permettere al cliente di tornare a casa, con l’acciuga giusta, i capperi sotto sale e così via.
Il mondo della pizza è cambiato drasticamente e con esso anche i suoi interpreti, che hanno iniziato a dialogare con l’alta cucina.
Nei giorni scorsi, Torino è stata teatro di un incontro fuori dal comune se si pensa che nella stessa cucina hanno lavorato gomito a gomito, Enrico Crippa, tre Stelle Michelin, alla guida di uno tra i migliori 50 ristoranti al mondo per la The World's 50 Best Restaurants; la pasticceria d’autore di Corrado Essenza e gli impasti di Massimiliano Prete.
Enrico Crippa a Torino, su quelle pizze ha messo parte dei suoi piatti.
“Conosco Massimiliano dai tempi in cui aprì la sua prima pizzeria. Ci lega una forte amicizia e una grande stima, umana prima che professionale. Avevamo già fatto qualcosa insieme per un’edizione del Congresso di Identità Golose e abbiamo voluto riaccendere quella scintilla di creatività che ci ha portato a dialogare sulle basi lievitate. Parliamo di innovazione a livello di impasti. Gli ho detto cosa volevo portare e lui che basi voleva proporre”.
Tre le pizze firmate da Enrico Crippa: A EST, una base barbabietola, borsh di maiale e barbabietola, panna all’aringa, caviale fresco, caviale disidratato, erba cipollina e cerfoglio. PROFONDO SUD, base cime di rapa, cime di rapa, cipolle novelle, burrata, n’duja, tuorlo marinato e fiori e MARRAKECH, base mais e semi di girasole, stracotto di agnello speziato, yogurt bianco colato, peperoncino, lime, bouquet di erbe e insalate, spezie medio-orientali.
“La cosa bella di questo incontro è aver portato la mia cucina. A est ha una crema alla barbabietola, usata come se fosse un pomodoro. Ad Alba è la base del nostro borsh, un piatto fatto con la tartàre di barbabietola, il borsh e il consommé di Manzo.
Marrakech, è un piatto che serviamo da agosto a settembre, la spalla di agnello candita con le medesime spezie usate nella pizza, la serviamo in quello che potrebbe apparire come un incrocio tra una piadina e una pita allo zafferano, arrotolata, con lo yogurt. Parliamo di satelliti del nostro ristorante, adottati su una base croccante e creativa realizzata da Massimiliano Prete”.
Però fino a qualche anno fa era impensabile che uno chef tre Stelle Michelin potesse lasciare il suo ristorante per andare a cucinare in una pizzeria.
“Probabilmente non eravamo mai andati così a fondo nel capire quanto fosse difficile gestire una pasta lievitata e quanto è bello quando la sai gestire entrare in una fase creativa con quell’impasto. Lavori con della semplice farina, del lievito madre, dell’acqua e del sale. Se hai la conoscenza e la capacità di controllare la lievitazione, di usare farine speciali, impasti speciali, con mais, girasole, verdure, che ti portano a sostituire magari l’acqua con succhi di verdure, una volta che si è arrivati a capire questa potenza, hai anche la consapevolezza di dare il giusto valore a quella proposta gastronomica”.
È cambiato il modo di intendere la pizza, i pizzaioli, i lievitisti. Oggi hanno una loro identità precisa e anche delle guide dedicate.
“Eravamo presuntuosi nel dire che stavano facendo solo una pizza. In realtà oltre al lavoro di qualità fatto su salse, fondi, basi, pesci marinati, c’è una forte professionalità da dover sviluppare verso gli impasti. Ci sono le pizzerie che fanno un prodotto tradizionale super curato in superficie o i posti come quello di Max (Massimiliano Prete, ndr) dove la pizza è servita a tranci, sofficissima, croccantissima e ogni boccone è un soffio di una leggerezza incredibile. Quest’inverno aveva in carta una pizza con il brasato, i funghi porcini e la crema di patate. Ciò che mi piace di lui è che resta fedele alla filosofia di una pizzeria, non troverete astici o piccioni nella sua cucina”.
Corrado Assenza ha firmato la parte dolce del menù: il pre dessert TERRA GENEROSA, base pizza agricola, asparago selvatico, cavolfiore e finocchio selvatico appena addolciti, nocciola, crema di ceci, mousse di toma di pecorino siciliano e poi il dolce INVERNO IN UN BICCHIERE, crema doppio fiordilatte di mandorla, gelatina di arance moro, canditi di arancia e limone, frolla all’extravergine arancia, mandarina e pompelmo rosa nature.
“Lavoro intorno alla pizza da 15 anni che per un pasticcere non è la normalità. Quel pre dessert con l’asparago selvatico, il cavolfiore, il finocchio selvatico e tutto il resto è il mio modo di fare la pizza, di intendere il tutto. Cosa è successo al mondo della pizza negli ultimi 15 anni? Stava morendo, era il parente straccione del pubblico esercizio di somministrazione. Poi un gruppo di persone ha iniziato a cambiare le cose e la mia grande fortuna è stata quella di far parte di questo gruppo di persone. Mi sono appassionato alla rinascita della pizza italiana”.
A che punto siamo oggi?
“Oggi ha assunto una dignità pazzesca soprattutto in virtù del fatto che il finedining ha iniziato ad annaspare, e adesso sta affogando. Il pubblico è cambiato, la gente non ha più voglia di stare ore e ore intorno ad un piatto. È cambiato il sentiment che la gente ha nei confronti del cibo, adesso ha voglia di emozionarsi veramente, evitando quel corollario di pratiche spesso prive di una radice, anche solo umana”.
Certa cucina, una precisa idea di pizza, parte da interpreti della cucina italiana capaci di lasciare il segno nei libri che poi saranno studiati dalle nuove generazioni ma non si possono dimenticare i produttori, se l’approccio al tutto è quello sin qui narrato. Ecco perché in sala ad un certo punto ha fatto la sua comparsa Giuseppe Li Rosi, contadino visionario e Molino Quaglia. Insieme hanno raccontato il progetto che da anni li vede al fianco di Massimiliano Prete nella produzione della sua personale farina Petra Evolutiva.
“Dal 2021 abbiamo adottato un ettaro di terreno in Sicilia a Raddusa (CT) e dal 2023 abbiamo iniziato a seminare in un campo in Piemonte tra Savigliano e Saluzzo (CN) il grano evolutivo che ad ogni raccolto il molino trasforma nella mia farina evolutiva – ci racconta Massimiliano Prete – Parliamo di grano sostenibile per la nostra salute, per la salute della terra, per il contadino che lo semina. Il sistema consiste nel coltivare in uno stesso campo un miscuglio di semi diversi di grani di vecchie varietà, capaci di adattarsi al cambiamento del clima, senza l’utilizzo della chimica nel campo. Ne deriva una farina biologica, con caratteristiche che variano di anno in anno. Per questo, in carta, accanto alle pizze realizzate con questa farina, viene indicato l’anno del raccolto, come succede per i vini. Una scelta sostenibile, buona per il consumatore, buona per il Pianeta, buona per l’agricoltore”.
Una pizza è uno spicchio del nostro paese, fatto di idee, sbagli, prove, risultati spesso convincenti, altre volte sorprendenti. Una pizza è difficile da fare, se la vuoi fare bene e se la notte non vuoi rigirarti nel letto. Una pizza rappresenta una filiera che va rispettata. Siate disposti a pagare qualche euro in più ciò che ha un valore talmente alto da passare quasi inosservato.