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Le asimmetrie del monopolio cinese delle terre rare

Le asimmetrie del monopolio cinese delle terre rare

Continua la sfida tra mondo occidentale e Pechino sul tema delle materie prime, ma non solo

Negli ultimi giorni dell’anno scorso, il 21 dicembre, il ministero del Commercio di Pechino ha comunicato il divieto di esportazione di tecnologie utilizzate nell’estrazione e separazione delle terre rare e nella produzione dei magneti permanenti. Per quanto non si trattasse di un fatto nuovo (La guerra delle materie prime – Panorama), da circa un anno il Regno di Mezzo aveva manifestato questo proposito, la notizia ha riacceso l’ormai ciclica discussione circa la dipendenza globale dell’Occidente da Pechino per questi elementi.

A prescindere dalle finalità della sovraesposizione mediatica (Cina e terre rare: l’Occidente enfatizza i timori geopolitici per nascondere quelli per la domanda – Energia (rivistaenergia.it)) delle notizie sulle terre rare, si è ormai arrivati al punto che anche la Rare Earth Industry Association (REIA), fondata da EIT Raw Materials, un’emanazione della Commissione Europea incaricata di guidare l’Alleanza europea per le materie prime (ERMA), sottolineava come su questo tema “I resoconti dei media sull’argomento sono spesso sensazionalistici e non basati sui fatti. Non possiamo costruire con successo un’industria puntando il dito o facendo false affermazioni.”

Ed i fatti dicono altro. Se l’intento dell’Occidente è di impostare una strategia di de-risking nei confronti del Dragone cinese per eliminare le vulnerabilità della catena di approvvigionamento allora è preventivamente necessario accettare le asimmetrie che questo impegno richiede e che poco hanno a che fare con economia di mercato o globalizzazione. E’ necessario rendersi conto che, per il Partito Comunista Cinese, il ferreo controllo della catena di approvvigionamento viene prima del vantaggio competitivo garantito da una supply chain globalizzata.

In particolare è necessario confrontarsi con un fondamento della strategia industriale della Cina che vede nella globalizzazione la debolezza dell’Occidente, la causa del declino della nostra industria manifatturiera che esternalizza la sua produzione. Per Pechino la globalizzazione funziona a senso unico: reperire a livello globale materie prime e tecnologie per alimentare la Fabbrica del Mondo che realizza prodotti finiti da vendere sui mercati.

L’Occidente, dal canto suo, deve attuare politiche che siano in grado di contrastare efficacemente le incursioni delle State Owned Enterprises (SOE) cinesi che vengono sguinzagliate dal Partito Comunista Cinese per sfruttare le molteplici contraddizioni e divisioni delle nostre politiche economiche. Al centro di questa strategia globale, per il settore delle terre rare, c’è Shenghe Resources, dalle cui relazioni annuali risulta evidente che il suo maggiore azionista è il Ministero delle Finanze. Più precisamente, Shenghe è di proprietà statale. Tra gli scopi che le sono stati assegnati dal governo centrale vi è quello di vagare in tutto il mondo, firmando accordi commerciali e acquisendo risorse strategiche per inserirsi nei nodi chiave delle catene di approvvigionamento globali delle terre rare.

La più recente irruzione di Shenghe nelle (nascenti?) supply chain occidentali è l’acquisizione del 18% del capitale azionario di Vital Metals Ltd. con sede nel Nuovo Galles del Sud, in Australia, quotata all’Australian Securities Exchange (ASX), che sta sviluppando il progetto di terre rare Nechalacho in Canada e quello di Wigu Hill in Tanzania. Quello che lascia perplessi è come, in un Occidente alla ricerca di una propria supply chain sulle terre rare, Vital sia passata in nemmeno due anni dall’essere una società mineraria visionaria che ha aperto la strada a una prima catena di approvvigionamento di terre rare in Canada a un’azienda australiana sull’orlo della bancarotta.

Le tensioni con REEtech, la società norvegese recentemente acquisita da LKAB (Terre rare e luoghi comuni – Panorama), che avrebbe dovuto completare la fase di downstream utilizzando il minerale arricchito proveniente dal Canada, ed altre divisioni sulle due sponde dell’Oceano hanno comportato il blocco dell’azienda con il risultato che il minerale, di alta qualità, estratto è rimasto inutilizzato. A quel punto si è inserita Shenghe che ha concluso un accordo per l’acquisto delle scorte di minerale di Nechalacho inutilizzate e successivamente inviate in Cina per alimentare l’industria delle terre rare.

Contestualmente Shenghe ha acquisito una partecipazione del 9,99% in Vital Metals, con l’opzione di salire al 18,2%. Appresa la notizia il Comitato permanente per l’industria e la tecnologia della Camera dei Comuni canadese ha sollecitato il ministro dell’Industria ad invocare la sicurezza nazionale per fermare l’investimento. In realtà c’è ben poco che Ottawa possa fare per impedire l’influenza cinese nel progetto delle terre rare di Nechalacho. Vital ha già ricevuto l’approvazione dal proprio governo per l’investimento di Shenghe e se il ministro dell’industria canadese intervenisse, nella migliore delle ipotesi, otterrebbe solo di fermare Vital ma non di perseguire il piano originale: una catena di approvvigionamento di terre rare libera dall’influenza cinese. Anzi questo scenario potrebbe essere considerato accettabile, o addirittura preferibile da Pechino.

Quella di Vital è solo l’ultima di una serie di operazioni tese a garantire un flusso costante di materia prima all’industria cinese delle terre rare: Pechino da qualche anno è diventato un importatore netto. Ad agosto dell’anno scorso, Shenghe ha acquisito una partecipazione del 19,9% della compagnia mineraria australiana Peak Rare Earths dopo aver firmato un accordo non vincolante per l’acquisto fino al 100% della produzione del progetto Ngualla di Peak in Tanzania ed aver inserito un dirigente nel consiglio di amministrazione. Peak ha dichiarato di essere impegnata ad essere una “fonte non allineata alla Cina di produzione di terre rare“: c’è da credergli?

Le asimmetrie del monopolio cinese delle terre rare
Importazioni cinese di terre rare. Dati: Ginger International Trade & Investment

L’esperienza di Shenghe è di lunga data: dal 2016 è il maggiore azionista, con una partecipazione di circa il 10%, di Greenland Minerals, una società australiana che sta sviluppando un’importante miniera di terre rare in Groenlandia. La miniera di Kvanefjeld, secondo Greenland Minerals, ha il potenziale per diventare “il più importante produttore di terre rare del mondo occidentale“. E per quanto attualmente il progetto sia in una situazione di stallo poiché le elezioni groenlandesi, innescate proprio dalle divisioni sull’estrazione mineraria nel paese, sono culminate in un divieto di estrazione ed esplorazione dell’uranio in tutta l’isola, qualunque saranno le decisioni future di esse farà parte Shenghe.

Nel 2017 quando Molycorp crollò sotto il peso dei debiti e delle rigide normative ambientali la storica miniera di Mountain Pass nel deserto del Mojave in Nevada, che tra il 1950 ed il 1990 fu il principale fornitore globale di terre rare, fu rilevata MP Materials. Una società americana con il proposito di realizzare la catena di approvvigionamento delle terre rare a stelle e strisce: ma il consorzio che salvò la miniera includeva Shenghe.

Mountain Pass costituisce il 15% della fornitura mondiale di terre rare: ha circa 30 milioni di tonnellate di riserve provate e probabili con un grado medio del 6,34% oltre a 9 milioni di tonnellate di risorse dedotte: è uno dei depositi, ancora oggi, più significativi a livello globale. Ma quando MP Materials ha iniziato la sua attività a Mountain Pass non sapeva a chi vendere il concentrato di terre rare che veniva prodotto.

A venire in loro soccorso fu Shenghe che divenne parte integrante del rinnovamento di Mountain Pass, anticipando a MP Materials 110 milioni di dollari per aiutarla a ristabilire le operazioni ed altri 35,5 milioni di dollari nel 2020. In cambio del finanziamento iniziale e dei servizi tecnici, Shenghe ha ricevuto una partecipazione senza diritto di voto del 9,99% nella società, nonché il diritto di prelevare tutto il concentrato di terre rare della miniera fino a quando l’investimento non fosse stato rimborsato.

Attualmente, secondo il suo ultimo rapporto trimestrale, MP Materials realizza con Shenghe il 92% dei suoi ricavi e tutto il concentrato prodotto viene inviato in Cina per la separazione degli ossidi di terre rare e la produzione di metalli e magneti. Nel 2022 il Presidente Biden attraverso il Dipartimento della Difesa ha finanziato con 35 milioni di dollari MP Materials affinché diventi il primo produttore di magneti in terre rare integrato verticalmente nell’emisfero occidentale.. a partecipazione cinese.

Shenghe ha messo le mani sulle attività minerarie occidentali in Canada, Groenlandia, Tanzania e Stati Uniti ottenendo una sempre maggiore influenza per plasmare le catene di approvvigionamento globali delle terre rare e approfondire la dipendenza globale dalla Cina. Le norme appena emanate dal Ministero del Commercio cinese (MOFCOM), a tutela dei segreti industriali sulle terre rare, prima che a proteggersi dall’Occidente, servono a garantire che a nessuna Società cinese, a guida privata, del settore delle terre rare, possa venire la disgraziata idea di investire in un paese straniero spostando lì la sua tecnologia.

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