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March 26 2014
È salito agli onori della cronaca come l’eroe di Vatileaks, il moralizzatore allontanato dalla Curia perché puntava il dito contro la corruzione e gli sprechi. Le lettere di monsignor Carlo Maria Viganò a Benedetto XVI, diffuse dal maggiordomo Paolo Gabriele, sono un atto d’accusa contro l’immoralità annidata nel palazzo apostolico e contro il cardinale Tarcisio Bertone che lo ha spedito nunzio a Washington. Ma ora monsignor Viganò aspetta di prendersi la rivincita, se è vero che Papa Francesco starebbe pensando di assegnargli proprio quell’incarico che Bertone gli aveva prima promesso e poi negato: presidente del Governatorato della Città del Vaticano e, presto, cardinale. O in alternativa, consulente per le finanze papali.
Ma tra gli atti giudiziari della Procura dei Grigioni, in Svizzera, Panorama ha scoperto l’altro, inatteso volto della «colomba» di Vatileaks. La sorella Rosanna ha presentato infatti alle autorità elvetiche una denuncia-querela contro il fratello monsignore: a partire dal 1973 Rosanna Viganò avrebbe consegnato al prelato 900 milioni di lire, frutto dell’eredità paterna, che il monsignore, allora segretario di nunziatura a Baghdad, avrebbe portato in Svizzera approfittando della valigia diplomatica, per depositarli presso il Credit Suisse di Lugano. Con quel denaro nel 1983 Carlo Maria Viganò acquistava un appartamento a san Bernardino per conto della sorella, pagato 430 mila franchi svizzeri. Ma, con il consenso di Rosanna, si intestava l’immobile poiché, essendo cittadino vaticano, non avrebbe pagato tasse e la sorella non sarebbe stata costretta a dichiararlo al fisco italiano. Negli anni successivi i rapporti tra Carlo Maria, divenuto nel frattempo arcivescovo, la sorella Rosanna e il fratello Lorenzo, anch’egli sacerdote, si sono però guastati, anche per ragioni economiche. Fino alla clamorosa rottura nel 2012 quando il monsignore (mentre a Roma esplode lo scandalo Vatileaks), all’insaputa di Rosanna, vende l’immobile di san Bernardino e trattiene per sé il denaro. A quel punto la sorella si rivolge alle autorità elvetiche raccontando tutto. La vicenda si è chiusa il mese scorso con una transazione: il nunzio ha versato 180 mila franchi svizzeri al legale della sorella, Roberto Keller, che a sua volta li ha girati in beneficenza all’Ospedale della Consolata di Ikonda, in Tanzania, dove lavora come volontaria una delle figlie di Rosanna. Altri 10 mila euro sono stati restituiti dal prelato alla sorella come parziale risarcimento per il mobilio che si trovava nella casa venduta a sua insaputa. A seguito di questa transazione, Rosanna ha ritirato la denuncia contro il fratello.
Resta in piedi invece, di fronte alle autorità giudiziarie italiane, il contenzioso tra monsignor Carlo Maria e il fratello sacerdote, don Lorenzo, sempre per ragioni ereditarie. Tra le ragioni addotte dal prelato per non essere trasferito a Washington dal cardinale Bertone, vi era anche quella di voler stare accanto al fratello Lorenzo, colpito da ictus e costretto su una sedia a rotelle. In realtà don Lorenzo allora viveva a Chicago e i due sacerdoti già da anni non si parlavano più a seguito di due denunce penali (per appropriazione indebita ed estorsione) e tre procedimenti civili intentati da don Lorenzo contro il fratello monsignore, ai quali Carlo Maria ha risposto con una denuncia contro ignoti per circonvenzione di incapace.
Ed è un giallo la vicenda del testamento paterno: il monsignore sostiene che non esiste, mentre la sorella lo accusa di tenerlo nascosto. Il denaro, insomma, è stato una vera maledizione per la famiglia Viganò. Figli di un ricco industriale dell’acciaio, gli otto fratelli Viganò, originari di Varese, fino alla morte della mamma, nel 1981, sono andati d’accordo e si sono affidati a Carlo Maria, brillante monsignore in carriera, per mettere al sicuro il denaro ricevuto dal papà. Ecco quanto ha raccontato Rosanna alle autorità elvetiche, il 12 novembre 2013: «Carlo Maria Viganò è diventato, circa nel 1973, segretario della nunziatura a Baghdad. Da quel momento egli era in possesso del passaporto diplomatico. In Italia erano i tempi delle Brigate Rosse. Si era quindi deciso di trasferire i nostri capitali in Svizzera. Io ho dato, in presenza di mia madre, a Carlo Maria i miei soldi, che li ha messi in una cartella molto usata, per poi depositarli presso il Credit Suisse a Lugano sul conto rubrica “Omnes”. Gli ho dato circa 500 milioni di lire. Poi gli ho dato due tranche successive di 200 milioni di lire ciascuna. In totale quindi circa 900 milioni di lire. Carlo Maria mi disse che i miei soldi sarebbero stati messi su una rubrica denominata “Cioppì”, nomignolo da lui dato a mia figlia. Le ricevute dei soldi rimanevano in banca come concordato con i fratelli. So che Carlo Maria ha pure versato dei soldi su un conto presso l’Ubs. Si tratta di soldi, o parte dei soldi, trasferiti dai nostri fratelli dal Banco Ambrosiano alla Banca del Gottardo».
L’avvocato Roberto Keller, legale della signora Rosanna, nella denuncia presentata alla procura dei Grigioni il 18 ottobre 2012, è ancora più esplicito: «Carlo Maria Viganò ispirava dei trasferimenti di denaro all’estero e più precisamente in Svizzera. In questi termini, egli agì da spallone, servendosi anche del passaporto diplomatico. Fu così che anche Rosanna Viganò gli affidò ingenti somme di denaro. L’attività di Carlo Maria Viganò nel trasferire ingentissime somme di denaro dall’Italia alla Svizzera era febbrile. In effetti, sfruttando il corriere diplomatico, Carlo Maria Viganò faceva confluire su appositi conti cifrati presso le banche Ubs e Credit Suisse di Lugano, cospicue somme. A Rosanna, Carlo Maria Viganò non fornì mai precise indicazioni su questi depositi “calderoni”, né sulla loro consistenza e nemmeno sulla loro chiara suddivisione». Con una parte di quel denaro nel 1983 Rosanna acquista l’appartamento a san Bernardino e lo intesta al fratello monsignore, ma nel 2012 scopre che questo lo ha venduto a sua insaputa. Nella memoria di difesa presentata alle autorità elvetiche il 31 luglio scorso, monsignor Viganò tace sui trasferimenti di valuta all’estero ma replica alla sorella di essersi «limitato a cedere beni immobili di sua esclusiva proprietà, in relazione ai quali Rosanna Viganò non ha mai avuto (e non poteva vantare) alcun diritto e/o pretesa».
Contattato da Panorama per sapere se voleva aggiungere qualche altro elemento sulla sua versione dei fatti, monsignor Viganò ha preferito non rispondere. Ma c’è qualcosa che addolora Rosanna assai più delle questioni economiche: «Da circa sei anni non ho più contatti con mia figlia Chiara che vive negli Stati Uniti. Fu Carlo Maria a convincerla a sposare un suo primo cugino, cioè il figlio di mia sorella, Polvani, senza alcuna dispensa, convincendoci che non vi sarebbero stati problemi per i figli. Poi l’ha convinta a mettersi contro di me. Mi ha tolto ciò a cui tenevo di più». Chissà se il monsignore raccoglierà l’accorato appello della sorella e le questioni economiche saranno messe da parte per riunificare la famiglia. Sarebbe il gesto che Papa Francesco apprezzerebbe di più.