Lifestyle
September 04 2016
Nella festa di Monza, culla e fortino di una Formula 1 che sulla pista brianzola ha tracciato il confine tra la storia e la memoria, ha preso forma la resa definitiva della Ferrari, battuta per l'ennesima volta da una Mercedes che continua a imporre lo spartito da suonare. Primo Nico Rosberg, secondo Lewis Hamilton, marziani per gentile concessione della scuderia tedesca, che non sbaglia un colpo dal 2014, da quando arrivò il motore ibrido e a Maranello iniziò il tango della passione, due passi indietro e uno avanti. La Ferrari ha timbrato il cartellino con Seb Vettel, terzo, e Kimi Raikkonen, quarto, lontani, anzi, lontanissimi dalla coppia di testa, che non ha mai dato la sensazione di temere l'assalto degli uomini in rosso. Il divario tra le due monoposto c'era e c'è ancora. Altro che rincorsa al titolo mondiale: nella Formula 1 non s'improvvisa alcunché dalla notte dei tempi. Si corre oggi per vincere domani, più spesso dopodomani. Ora ne sono convinti anche ai vertici del Cavallino.
"No, non sono soddisfatto di questa Ferrari. Detto questo, considerando quello che abbiamo riconosciuto come un problema all’inizio della stagione, la risposta è sì. Lo sviluppo è fatto bene, abbiamo portato più del massimo che potevamo portare qui a Monza. Bisogna finire la stagione e bisogna finirla bene". Sergio Marchionne, presidente della Ferrari, definisce da Monza il confine tra l'avrei voluto e la realtà. Tra i desideri dell'autunno scorso, quando diceva che il 2016 doveva essere "l'anno del rilancio della Ferrari in Formula 1" e i numeri del campionato in corso, un'alternanza poco entusiasmante di rincorse e rincorsine, piazzamenti e crolli. Le responsabilità? Di tutti e di nessuno, come sempre accade in avventure al limite del possibile. Di tutti e di nessuno, quindi anche di Marchionne.
"Tre vittorie nel 2015, siamo arrivati forse un po' troppo ottimisti nel 2016, pensando che la macchina ci fosse - aveva ammesso il numero uno di Maranello alla vigilia del Gran premio d'Italia - In Australia sembrava che potessimo fare grandi cose, ma gli altri hanno migliorato molto nella stagione e noi siamo rimasti fermi. Era veramente ora di dare uno scossone alla scuderia, abbiamo atteso troppo per il cambio di guida tecnica: con Binotto siamo nelle mani giuste". E allora, viva Mattia Binotto e la sua voglia meravigliosa di fare bene. Viva Maurizio Arrivabene e il suo desiderio di rilanciare la sfida alla Mercedes. Viva anche Vettel e Raikkonen, perché se è vero che in alcuni casi avrebbero potuto fare meglio, va riconosciuto che la monoposto tedesca è ancora di un altro pianeta. Per il resto, meno rivoluzioni e più convinzioni. Nella Formula 1 si vince con la programmazione, non con le dichiarazioni di inizio stagione, che talvolta provocano più danni (leggi ansia, tensioni, attese e sospiri) di una tempesta in piena estate.