Massimo Carraro e Morellato: noi italiani dobbiamo fare i cacciatori di bellezza

Il 18 luglio scorso Massimo Carraro, 54 anni, presidente e amministratore delegato del Gruppo Morellato, aveva un ospite speciale: il ministro francese per il Rilancio produttivo Arnaud Montebourg, in delegazione per visitare alcune selezionate eccellenze del made in Italy nel Padovano. Ma una volta tanto non c’è alcuna cessione in vista a imprenditori d’oltralpe. Perché Massimo Carraro, per dna e filosofia imprenditoriale, non è preda bensì cacciatore. Lo è da quando, nel 1990, ha deciso di rilevare la Morellato, azienda dove il padre, con due soci, produceva cinturini per orologi a Santa Giustina in Colle, nel Padovano. E oggi, all’attacco dei colossi francesi del lusso, che stanno arricchendo i loro gruppi di griffe nostrane (ultima mossa quello di Lvmh su Loro Piana) e al pressing di nuovi gruppi arabi, cinesi e coreani a caccia di aziende italiche, Carraro risponde con un progetto ambizioso. «Voglio diventare il campione italiano della gioielleria e dell’orologeria nel mondo» afferma.

Eccesso di ottimismo? La sua storia conferma che, con acquisti mirati, è già riuscito a trasformare la piccola Morellato (25 anni fa valeva l’equivalente di circa 6 milioni di euro di fatturato, tutto di cinturini di orologi) nel più importante gruppo in Europa di orologi e gioielli a capitale totalmente italiano, con un fatturato di 190 milioni e 1.200 dipendenti, di cui 800 in Italia. Un polo che, oltre al marchio Morellato, comprende Sector (orologi che nascono dall’incontro fra design e tecnologia), Chronostar, Philip Watch (la più antica marca di orologi Swiss made presente in Italia), la catena di orologeria e gioielleria Bluespirit (220 negozi nel mondo) e dal 2013 Pianegonda, azienda vicentina di gioielli artigianali in argento e pietre naturali. Marchi di proprietà a cui si aggiungono in licenza Cavalli, John GallianoMaserati e Miss Sixty. «I brand sono molti ma vogliamo preservarne l’identità, così lavoriamo con quattro gruppi diversi» precisa Carraro. Qualcuno dice che in questa scelta si sia ispirato a Bernard Arnault, patron della Lvmh, per il quale la separazione dei marchi è una vera ossessione. Di sicuro la parola sinergia non è nel vocabolario di Carraro.

Il quale, proprio come Arnault, non ha alcuna intenzione di fermare la sua campagna acquisti. «Per conquistare nuovi mercati lontani servono dimensioni importanti, mentre nella gioielleria in Italia ci sono realtà aziendali iperframmentate. Ecco perché come gruppo Morellato vogliamo fare da polo di aggregazione» sostiene l’imprenditore. Lui, del resto, all’estero conta già nove società commerciali, da New York a Shanghai, da Mumbai a Dubai.

Certo, la concorrenza è forte e ha risorse economiche enormi. Ma più che di numeri Carraro preferisce parlare di valori e idee. «Se Morellato è diventato la prima marca di gioielleria moda in Italia, è perché abbiamo capito che la nuova consumatrice vuole gioielli che abbiamo chiamato “da vivere”, accessibili nel prezzo e portabili tutti i giorni. Il fatturato è la conseguenza dei valori che esprimi» dice convinto. E tra questi valori spicca la tradizione italiana. Racconta Carraro: «Sa cosa ho fatto vedere come prima cosa alla manifestazione di chiusura dell’Expo di Shanghai ai potenziali clienti di Morellato? Slide che mostravano i quadri di Tiziano, Raffaello, del Perugino. Perché è da lì che nasce il made in Italy».

Così il nuovo spazio Morellato aperto a fine luglio 2013 a Hong Kong nell’ iSquare mall di Tsimshatsui (30 piani dedicati ai migliori marchi internazionali di moda, lusso e tecnologia) riprende i motivi architettonici del Palazzo Ducale di Venezia, la città in cui il marchio è nato nel 1930. E per le nuove collezioni di gioielli e orologi Morellato, con ispirazione all’arte della città lagunare e nomi evocativi come Venezia, Ducale, Notti, Burano, si punta su una campagna pubblicitaria firmata Fabrizio Ferri che ha come set Venezia, sinonimo dei valori di stile ed eleganza del made in Italy nel mondo. «Concordo con Coco Chanel: il lusso sono le cose belle, non quelle costose» conclude Carraro. «E chi più di noi italiani sa cosa è la bellezza?».

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