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February 19 2016
- Il punto
- Giulio Regeni, ricercatore italiano, è scomparso al Cairo il 25 gennaio ed è stato trovato morto il 3 febbraio, con evidenti segni di tortura. Le ipotesi sulla sua fine atroce sono molte, ma nessuna è stata confermata. L'ultima è che sarebbe stato rapito da agenti segreti sotto copertura, appartenenti ai Fratelli musulmani.
- Tra gli inquirenti prende subito corpo l'ipotesi di un coinvolgimento dei servizi egiziani. Il governo smentisce, ma le autorià del Paese non condividono con gli inquirenti italiani i risultati delle loro indagini, e non mettono a disposizione i video delle telecamere nella zona in cui Regeni sarebbe stato rapito.
- Secondo un'inchiesta del New York Times, Regeni sarebbe stato fermato da tre funzionari della polizia egiziana il 25 gennaio, anniversario delle rivolte di piazza Tahir.
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Venerdì 19 febbraio
Giulio Regeni "sarebbe stato ucciso da agenti segreti sotto copertura, molto probabilmente appartenenti alla confraternita terrorista dei Fratelli musulmani, per imbarazzare il governo egiziano". È il sito del quotidiano filo governativo egiziano AlYoum7 (lo stesso che pubblicò l'intervista nella quale il titolare delle indagini, il generale Khaled Shalabi, parlò di un incidente stradale) ad annunciare che gli inquirenti egiziani sarebbero vicini a una svolta nel mistero della morte del ricercatore friulano. Una svolta che, almeno al momento, non è stata comunicata agli investigatori presenti al Cairo. Per questo le autorità italiane restano in attesa, di capire se vi sia qualcosa di concreto in quel che scrive Youm7 e, soprattutto, di avere in mano le "prove" che consentano di ricostruire esattamente quanto accaduto e di escludere che si tratti di una versione di comodo costruita ad arte.
Quel che però è già chiaro è che al momento all'Italia nulla è stato comunicato sulla possibile svolta nelle indagini. Anzi: gli investigatori italiani al Cairo sono in attesa degli atti dell'indagine raccolti dagli egiziani e promessi al nostro team, senza però ricevere nulla. Agli egiziani, gli uomini del Ros e dello Sco hanno chiesto il verbale dell'autopsia, che è stato secretato, i verbali delle testimonianze raccolte finora e di poter visionare le immagini delle telecamere. Ulteriori elementi ritenuti fondamentali dal team italiano, sono i tabulati telefonici e l'analisi delle celle agganciate dai cellulari.
Lunedì 15 febbraio
Continuano le indagini sulla tragica morte al Cairo di Giulio Regeni ma con il passare dei giorni si accredita con sempre maggior forza tra gli inquirenti italiani l'ipotesi di un "coinvolgimento" di apparati egiziani nella vicenda. Gli investigatori inviati da Roma al Cairo faticano a raccogliere elementi sulla fine del ricercatore friulano: ciò potrebbe dipendere anche dalle metodologie di indagine utilizzate dagli inquirenti egiziani, molto diverse da quelle italiane. È il caso dei filmati delle telecamere di video-sorveglianza di alcuni negozi nella zona dove Regeni è scomparso: la Procura egiziana li ha acquisiti solo nelle ultime 48 ore, e li sta "vagliando", riferiscono fonti giornalistiche e giudiziarie nella capitale egiziana.
In un comunicato ufficiale pubblicato dal ministero dell'Interno, una fonte del Dipartimento dell'informazione ha smentito le informazioni pubblicate dai media occidentali secondo le quali l'accademico italiano Giulio Regeni sarebbe stato arrestato da elementi appartenenti ai servizi di sicurezza prima della sua morte": lo riportano molti media egiziani tra cui l'agenzia ufficiale Mena
Le ultime rivelazioni
Ha destato clamore il testimone citato dal New York Times, secondo il quale il fermo dell'italiano sarebbe stato "ripreso da quattro telecamere di sorveglianza" di altrettanti negozi del quartiere. Secondo questa ricostruzione, avvalorata da tre fonti della sicurezza egiziana sempre al Nyt, non meglio precisati "agenti" avrebbero fermato il giovane, e dopo l'identificazione e la perquisizione del suo zaino "lo hanno portato via". Ritardi si segnalano anche nell'esame dei tabulati telefonici. "La procura generale ha ricevuto tabulati telefonici che mostrano" come "l'ultima chiamata è stata fatta al suo amico italiano Gennaro Gervasio "ed è durata 20 minuti", scrive l'autorevole al Ahram, il principale quotidiano del Paese. Il telefono di Regeni, come è già noto, è scomparso. Dunque, la raccolta di prove prosegue, in attesta di un quadro più definito di quanto accaduto quella sera del 25 gennaio, quando il giovane è scomparso. Le indiscrezioni pubblicate dalla Reuters sulla perizia medico-legale acquisita dalla Procura di Giza e secretata confermano i segni, terribili e inequivocabili, delle tortura, con altri tremendi particolari: le sette costole rotte e le tracce di scosse elettriche sui genitali.
Domenica 14 febbraio
Giulio Regeni fu fermato e portato via dalla polizia egiziana il 25 gennaio al Cairo, probabilmente scambiato per una spia "per via di alcuni contatti sul telefono di persone legate all'opposizione anti-governativa". A scriverlo è il New York Times che cita, a sostegno della versione, tre funzionari della sicurezza egiziana coinvolti nelle indagini. Se le testimonianze citate dall'autorevole quotidiano americano trovassero conferma, si tratterebbe della prima ammissione in questo senso da parte di esponenti delle autorità egiziane, seppure in forma anonima.
Le telecamere
Ma c'è di più. Sempre secondo il giornale, un "testimone" sostiene che il fermo dell'italiano sarebbe stato "ripreso da quattro telecamere di sorveglianza" di altrettanti negozi del quartiere: ma la polizia egiziana "non ha ancora chiesto le registrazioni video". Mentre indiscrezioni trapelate sull'autopsia del ragazzo - stavolta esclusiva dell'agenzia Reuters - hanno fatto emergere nuovi agghiaccianti dettagli delle torture subite da Regeni: il corpo, tra le varie sevizie purtroppo già note, presentava sette costole rotte e segni di scosse elettriche sui genitali.
I contatti sulla sua rubrica
I funzionari della sicurezza egiziana citati dal New York Times hanno affermato che Regeni "è stato preso" da alcuni agenti il 25 gennaio, il giorno appunto della sua scomparsa. Una volta fermato, il ragazzo avrebbe reagito "bruscamente", comportandosi "da duro". Tutti e tre i funzionari, intervistati separatamente, hanno riferito che Regeni aveva sollevato sospetti a causa di contatti trovati sul suo telefono di persone vicine ai Fratelli Musulmani e al Movimento 6 Aprile. Chi ha fermato Regeni "ha pensato fosse una spia: chi viene in Egitto a studiare i sindacati?", hanno aggiunto le fonti.
I testimoni
Il New York Times cita poi "diversi testimoni" che raccontano che intorno alle 7 di sera del 25 gennaio due agenti in borghese davano la caccia ad alcuni giovani nelle strade, nelle stesse ore della scomparsa di Regeni. Secondo un ulteriore testimone, i due agenti "hanno fermato l'italiano". "Uno gli ha perquisito lo zaino, mentre l'altro gli ha controllato il passaporto. Quindi lo hanno portato via". Uno dei due "era già stato visto nel quartiere in diverse precedenti occasioni, e aveva fatto domande su Regeni". Il legale della famiglia del ricercatore friulano, Alessandra Ballerini, ha invitato pero' alla cautela: "È difficile avere riscontri su testimonianze egiziane, dobbiamo fidarci delle fonti ma intanto viene pubblicato di tutto", ha detto, esprimendo fiducia nelle indagini condotte dalla Procura di Roma.
L'autopsia
Proseguono infine le indagini. La perizia medico-legale egiziana sulla morte di Regeni è stata consegnata alla Procura di Giza, che ha deciso di non renderla pubblica, almeno per il momento, a causa del carattere di "segretezza delle indagini sul caso". Eppure in serata sono arrivate le indiscrezioni della Reuters, che cita una fonte medico-legale non essendo in possesso del documento. In Italia, il pm Sergio Colaiocco, titolare dell'inchiesta, ha ascoltato la sorella di Giulio, Irene, e un'amica, entrambe nella qualità di persone informate sui fatti. Il Ros e lo Sco avrebbero inoltre acquisito materiale informatico.(ANSA)
Venerdì 12 febbraio
Giulio Regeni, il ricercatore friulano ucciso brutalmente in Egitto, sarebbe stato identificato dalla polizia egiziana prima del 25 gennaio, giorno in cui fu segnalata la sua sparizione. La circostanza è stata riferita agli investigatori, sia al Cairo sia in Italia, da alcune persone la cui attendibilità è ora oggetto di verifiche da parte dei titolari delle indagini. Al vaglio degli inquirenti anche altre informazioni riferite dagli stessi soggetti sui movimenti di Giulio Regeni nei giorni precedenti la morte.
L'ultimo sms
Nel suo ultimo sms Giulio Regeni aveva informato la sua amica di nazionalità ucraina che si stava recando a piazza Tahrir per incontrare il suo tutor Gennaro Gervasio. Lo riferisce il sito internet egiziano filo-opposizione al Mesryoon. "Alle 19:41 del 25 gennaio 2016, Regeni ha inviato un messaggio di testo alla sua fidanzata ucraina, dicendole che si trovava in metropolitana e che stava per incontrare il suo amico Gennaro Gervasio in piazza Tahrir. Poco dopo, lei ha risposto invitandolo ad avere cura di sé", riferisce ancora la stampa egiziana. Il ricercatore italiano non è mai arrivato all'appuntamento con il connazionale e il suo corpo è stato trovato senza vita sul cavalcavia di una strada in un sobborgo del Cairo.
Il Guardian: "Dittatura militare"
L'Egitto è nel pieno di una "spirale autoritaria" che sta facendo scivolare il Paese verso una "dittatura militare". Parole molto dure quelle usate in un editoriale del Guardian secondo cui l'omicidio di GiulioRegeni si potrebbe inquadrare in un contesto di repressione portata avanti dalle autorita' governative del Cairo nei confronti degli oppositori. Anche se non c'è la certezza di questo, per il giornale "i segni di torture trovati sul suo corpo fanno ricordare i metodi usati nelle prigioni egiziane, e Regeni era stato molto attivo nel denunciare le misure repressive del regime di al-Sisi". Il Guardian lancia quindi un appello affinché si faccia luce sulla "tragica e scioccante" vicenda del giovane ricercatore a Cambridge, i cui funerali si tengono oggi a Fiumicello in Friuli, e allo stesso tempo chiede che i Paesi occidentali non chiudano gli occhi su quanto sta facendo il governo del Cairo ai propri cittadini in nome della lotta al terrorismo.
Il New York Times: " Gli abusi dell'Egitto non possono essere più tollerati"
''La verità è che è ora che tutti gli alleati dell'Egitto, inclusi gli Stati Uniti, chiariscano'' al presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi ''che gli abusi che ha incoraggiato non possono essere più tollerati''. Lo afferma il New York Times in un editoriale dedicato al caso di Giulio Regeni. ''L'Italia ha inviato una squadra di investigatori in Egitto per assistere nelle indagini sulla morte di Regeni. Il governo egiziano deve assicurare una piena e trasparente cooperazione'' mette in evidenza il New York Times, precisando che ''sotto il governo Sisi migliaia di egiziani sono stati catturati. Torture e sparizione sono la normalita'. Accademici, attivisti per i diritti umani e giornalisti sono stati presi soprattutto di mira'
Giovedì 11 febbraio
Giulio Regeni fu fotografato da uno sconosciuto l'11 dicembre scorso in un'assemblea di un sindacato indipendente egiziano e questo fatto lo aveva impaurito. Lo hanno riferito al pm Sergio Colaiocco tre ricercatori universitari, colleghi di Regeni, sentiti nel pomeriggio in procura. La pista seguita ora dagli inquirenti è che il delitto possa essere legato all'articolo scritto dal giovane, con un pseudonimo, il 14 gennaio successivo e pubblicato su Nena News, in cui riferiva anche di quella assemblea.
I tre ricercatori sentiti oggi lavorano presso l'American University del Cairo, la stessa in cui Regeni era impegnato in studi sulla situazione socio- economica dell'Egitto alla luce dei cambiamenti avvenuti dopo la cosiddetta Primavera Araba. I tre testimoni, a loro volta impauriti e rientrati in tutta fretta in Italia dopo la morte del loro amico-collega, hanno ricostruito il quadro di relazioni ed il contesto ambientale in cui lavorava e viveva Regeni. Parlando dell'episodio della foto scattata al friulano, probabilmente unico occidentale presente all'assemblea, da un soggetto definito dal ricercatore fuori dal contesto della riunione sindacale, i tre ricercatori hanno aggiunto che quella circostanza lo aveva scosso, anche se, dopo il rientro al Cairo successivo alle vacanze natalizie, sembrava meno preoccupato. Gli stessi testimoni hanno anche aggiunto di non aver mai avuto la sensazione di trovarsi, nonostante il clima teso che regna al Cairo, in situazione di pericolo.
Oggi, intanto, la delegazione di investigatori italiani inviati nella capitale egiziana ha svolto un sopralluogo, insieme con gli omologhi del Cairo, dove è stato trovato il cadavere di Regeni.
Mercoledì 10 febbraio
Gli inquirenti egiziani avrebbero scoperto Giulio Regeni "è stato ucciso in un appartamento al centro della capitale e, dopo, il suo corpo è stato trasportato sulla strada desertica" Cairo-Alessadria dove è stato ritrovato: lo sostiene il sito del quotidiano indipendente egiziano Al Masry Al Youm senza citare fonti ma dando conto delle "indagini della squadra di ricerca della Prefettura di sicurezza di Giza". La squadra" di investigatori "ha osservato gli ultimi movimenti della vittima prima della sua scomparsa la sera del 25" e ha "visto le ultime chiamate prima della chiusura del telefono", premette il sito.
I precedenti per tortura dell'investigatore
Una nota attivista egiziana, Mona Seif, ha sostenuto su Twitter e Facebook che l'investigatore capo del caso Regeni ha un precedente per tortura. "Khaled Shalaby, l'ufficiale cui è stato assegnato il caso di Giulio Regeni, fu condannato da un Tribunale penale di Alessandria nel 2003 per falsificazione di rapporti di polizia e - assieme a due altri funzionari - per aver torturato a morte un uomo", scrive in inglese Seif sulla sua pagina Facebook cui rimanda un suo tweet. Shalabi "fu condannato a un anno di prigione - la sentenza fu sospesa", si limita ad aggiungere il testo che allega un link a un blog e al sito dell'Ong Arabic Network for Human Rights Information (Anhri).
L'incidente "stradale"
Il generale Shalabi è l'inquirente che, presentato col titolo di "direttore dell'Amministrazione generale delle indagini di Giza", in dichiarazioni rilanciate giovedì da un sito egiziano aveva sostenuto che per Regeni "le indagini preliminari" parlavano "di un incidente stradale". Seif è sorella di Alaa Abdel-Fattah, uno dei più importanti attivisti e blogger egiziani che nel febbraio dell'anno scorso è stato condannato a cinque anni di reclusione per aver partecipato nel novembre 2013 a un raduno "non autorizzato" sfociato anche in violenze contro la polizia. Seif è diventata famosa per il suo attivismo durante e dopo la rivoluzione egiziana del 2011.
Il "Times": "Omicidio vergognoso"
"Un omicidio vergognoso" avvenuto in un Paese, che a 5 anni dalla "primavera araba" di piazza Tahrir, si ritrova sotto il tallone dell'ex generale Abdel Fattah al-Sisi immerso nel "terrore di polizia". Così il Times oggi, in un commento dedicato all'uccisione brutale di Giulio Regeni. Il giornale britannico ricorda la lettera aperta firmata da 4600 accademici di decine di Paesi per chiedere giustizia, ma nota che "non c'è da farsi illusioni" a dispetto del fatto che le autorità del Cairo "smentiscano ogni responsabilita'". La verità, secondo il Times, è che il Paese è tornato a essere quello che era, "che migliaia di civili sono detenuti senza accuse, e che il semplice sospetto di dissenso e la repressione di una minoranza estremista sono usati per giustificare una dittatura militare vecchio stile".
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Martedì 9 febbraio
L'incubo di Giulio Regeni si sarebbe consumato in poco meno di 40 minuti, a due passi da casa sua: è lì, tra le 19.40 e le 20.18 del 25 gennaio, quinto anniversario della rivoluzione di piazza Tahir, che il ricercatore friuliano viene inghiottito in un buco nero dal quale ricomparirà, cadavere, 9 giorni dopo, gettato lungo un'autostrada dopo esser stato picchiato e seviziato.
A fornire la nuova versione sono le autorità egiziane, con il procuratore di Giza titolare delle indagini Ahmed Nagi, i media egiziani e la testimonianza dell'amico di Regeni, Gennaro Gervasio. Quest'ultimo era il tutor di Giulio, docente di scienze politiche all'università britannica del Cairo, con il quale il ragazzo aveva appuntamento quella sera per andare a cena in un ristorante nella zona di Bab al Louq con un'altra persona. Gervasio è rientrato in Italia ed è stato sentito sia dagli investigatori egiziani che da quelli italiani. È lui che fa scattare l'allarme quella stessa sera del 25 ed è lui ha ricostruire gli ultimi movimenti conosciuti di Regeni. Che, ha ribadito anche oggi il direttore del Dis Giampiero Massolo, non era né uno 007 né collaborava con i servizi segreti italiani. Dice dunque Gervasio di aver parlato al telefono con Giulio alle 19:40: "mi ha detto che si sarebbe mosso da casa verso le 20 per raggiungere la fermata della metropolitana di Dokki (circa 6-7 minuti da casa) e che sarebbe sceso alla fermata Mohamed Naguib, da dove sarebbe venuto a piedi fino al ristorante".
Piazza Tahir
La fermata si trova a poca distanza da piazza Tahir e quella sera, vista la ricorrenza, c'erano centinaia di uomini delle forze di polizia in strada, per evitare che vi fossero assembramenti e manifestazioni. "Erano preoccupate - ha detto in un'informativa alla Camera il sottosegretario agli Esteri Benedetto Dalla Vedova - di possibili questioni di sicurezza". Una situazione tesa, dunque, che ha fatto preoccupare anche Gervasio visto che fa ben tre tentativi di contattare Regeni. Nel caso del primo, alle 20.18, e del secondo, alle 20.23, il telefono squilla a vuoto; al terzo, alle 20.25, il telefono di Giulio è muto: da quel momento in poi non verrà mai più riacceso e non sarà mai ritrovato. "È sparito 25 minuti dopo esser uscito di casa" ha detto Gervasio. Secondo quanto riporta il quotidiano Al Masry al Youm, l'accertamento sulle celle telefoniche avrebbe confermato che il ragazzo non si è mai spostato dalla zona in cui abitava: il telefono cellulare sarebbe infatti "stato localizzato" per l'ultima volta "nella zona di Dokki, nei pressi del suo appartamento". Cosa è dunque accaduto in quei 40 minuti? Qualcuno ha prelevato Giulio direttamente a casa sua o lì nei pressi? Qualcuno lo aspettava alla stazione della metropolitana o lungo il percorso? C'è stata una qualche retata in cui Giulio è rimasto coinvolto o magari è finito nelle mani di qualche squadraccia? Oppure, ancora, qualcuno che sapeva bene chi era lo stava aspettando per farlo sparire?
L'allarme alle autorità
Qualche risposta, forse, potrebbe arrivare dalle telecamere di sorveglianza, ma allo stato gli investigatori italiani non hanno ancora visionato nulla. Sperano di poterlo fare domani, ma al momento non c'è alcuna certezza. L'allarme scatta due ore dopo. Gervasio contatta "tra le 22.30 e le 23" direttamente l'ambasciatore italiano sul cellulare il quale, a sua volta, si attiva immediatamente "interessando formalmente - ha detto il sottosegretario Dalla Vedova in un'informativa alla Camera - le autorità locali e verificando contemporaneamente tutti i possibili canali di contatto per rintracciare Giulio". Ma gli egiziani non si muovono subito: lo conferma la vicenda del pc di Regeni, ora in mano agli inquirenti italiani. Nessuna autorità va infatti a casa del giovane per diversi giorni tanto che, quando sabato 30 arrivano al Cairo i genitori, trovano tutti i suoi effetti personali, compreso il computer. "Lo hanno preso loro - ha raccontato il coinquilino, l'avvocato Mohamed Al Sayad - assieme a tutti i file contenenti le sue ricerche e i suoi abiti". Ora quel pc è nelle mani degli investigatori, che sperano di trovare qualche risposta alle tante domande senza risposta. Come sperano di trovarle sentendo gli accademici e i ricercatori che verranno in Italia per il funerale per raccogliere il maggior numero di informazioni sul lavoro di Giulio e sulla sua rete di informatori. L'obiettivo è in particolare uno: la riunione dell'11 dicembre dei sindacati indipendenti che si è tenuta al Centro servizi per i lavoratori e sindacati. Di quella riunione Regeni scrisse per Nena News, lo stesso pezzo che inviò anche al Manifesto con uno pseudonimo: gli inquirenti non escludono che all' incontro, a cui hanno partecipato un centinaio di persone, possano aver preso parte anche 'infiltrati' che potrebbero aver notato la presenza di un italiano. E magari segnalarla a qualcuno. O, peggio, ancora, l'abbiano venduto a chi, poi, l'ha ucciso in quella maniera atroce.
Le risposte dell'Egitto
L'Egitto smentisce con forza qualsiasi coinvolgimento dei suoi apparati nell'atroce morte di Giulio Regeni. Già ieri il ministro dell'Interno egiziano Magdi Abdel Ghaffar in una conferenza stampa tenuta nel blindatissimo quartier generale della Sicurezza nazionale al Cairo, aveva dichiarato: "Abbiamo confermato ripetutamente che il signor Regeni non è stato imprigionato da alcuna autorità egiziana".
"Il corpo è stato fatto ritrovare nel giorno della visita in Egitto del vostro ministro Guidi - ha spiegato poi questa mattina in un'intervista a Il Messaggero l'ambasciatore egiziano in Italia, Amr Helmy, commentando la morte del giovane italiano al Cairo. Si vuole colpire le relazioni tra Italia ed Egitto. Puntare il dito, senza alcuna prova, contro le nostre forze di sicurezza, è inaccettabile. Giulio Regeni non è passato mai nemmeno per un istante nelle mani di alcun apparato di sicurezza egiziano", sottolinea. "E se mai qualcuno vuole insistere che invece sia stato vittima di agenti di stato dovrebbe chiedersi perchè non hanno fatto sparire il corpo. Non sarebbe stato certo difficile. Con questo non voglio dire che questo possa avvenire".
"Anche noi come il vostro governo, come i genitori di Giulio, come i suoi amici abbiamo solo voglia di arrivare alla verità, senza nascondere nulla. Ed è per questo che per la prima volta nella storia del nostro Paese abbiamo accettato di affiancare un team di investigatori italiani a quelli egiziani. Dateci tempo e troveremo i responsabili di questo atto orrendo", assicura.
Le giustificazioni del ministro dell'Interno
"Respingiamo tutte le accuse e le allusioni", "deprimenti" per l'Egitto, "di un coinvolgimento della sicurezza", ha insistito il ministro nello smentire che il caso di Regeni sia trattato anche solo ipotizzando che il giovane fosse una spia. È stato "un atto criminale", ha assicurato Ghaffar, affermando che "gran parte" degli "apparati" egiziani si stanno concentrando su questo caso".
Ignorando poi le accuse mosse da attivisti egiziani e ong autorevoli come Amnesty International e Human Right Watch, il ministro ha negato che l'"apparato" egiziano sia coinvolto in violazioni di diritti umani e ha sostenuto anzi che "è conosciuto per la sua trasparenza".
Sul caso Regeni comunque, secondo Ghaffar "non bisogna precipitarsi ad evocare ipotesi senza prove". Le indagini, ha avvertito, richiederanno tempo perchè tutte le ipotesi sono aperte e il dottorando di Cambridge aveva molti contatti in Egitto.
Intanto il caso Regeni - che ha acquisito una dimensione mondiale - è entrato anche nelle conversazioni tra i presidenti Barack Obama e Sergio Mattarella, che si sono visti ieri alla Casa Bianca.
I due presidenti ne hanno parlato al termine del loro incontro e, riferiscono fonti italiane, Obama ha confermato che gli Usa collaboreranno per la ricerca della verità. Inoltre, il caso potrebbe essere sollevato in incontri tra esponenti Usa e egiziani, secondo quanto scrive il New York Times, segnalando un'imminente visita del ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry a Washington, dove fra gli altri vedrà il segretario di Stato John Kerry. Quello su Regeni, per il Nyt, è "un altro segnale allarmante di abusi da parte della forze di sicurezza in un Paese dove detenzioni arbitrarie e torture stanno diventando sempre piu' comuni".
In serata il Dipartimento di Stato non ha voluto confermare l'apertura di questo fronte diplomatico ma ha avvertito che gli Usa "osservano" le indagini in corso "con la partecipazione degli investigatori italiani". Gia' in agosto al Cairo funzionari americani avevano criticato la situazione dei diritti umani in Egitto sotto la presidenza di Abdel Fattah al-Sisi. L'amministrazione Obama aveva congelato - ma poi e' tornata a concedere - 1,3 miliardi di dollari in aiuti militari per rafforzare questo baluardo anti-Isis nella regione.