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July 14 2017
Liu Xiaobo è morto. L'attivista democratico e premio Nobel per la Pace 2010, l'ex eroe di Tiananmen, l'uomo che dal 2009 era in cella per aver osato chiedere più democrazia per la Cina non è riuscito a sopravvivere all’ultima sua più grande battaglia: la malattia. 61 anni e sofferente da tempo di un cancro al fegato era stato ricoverato nel Primo Ospedale di Shenyang, dopo la scarcerazione per motivi di salute.
Critico letterario e docente universitario, tra il 2003 e il 2007, Liu aveva ricoperto il ruolo di presidente dell'Independent Chinese Pen Centre, organizzazione no-profit che sostiene la libertà di espressione degli scrittori cinesi, oltre che di direttore della rivista di orientamento democratico Minzhu Zhongguo ("Cina democratica") fondata negli anni Novanta.
Prima dell’arresto per Charta 08, Liu aveva già passato diverso tempo nelle carceri cinesi per le sue posizioni contrarie alla linea del Partito Comunista. Ritornato in Cina dagli Stati Uniti per partecipare alle manifestazioni studentesche di Tiananmen nella primavera del 1989, era riuscito a convincere alcuni degli studenti ad abbandonare la piazza prima dell'arrivo dei carri armati.
Dopo la repressione da parte dell'esercito cinese, era stato condannato a 19 mesi di detenzione per il suo ruolo nelle manifestazioni pro-democratiche.
"Il massacro del 1989 ha lasciato in me una profonda impressione", aveva raccontato qualche anno più tardi ai microfoni della Bbc. Ritornato in libertà, Liu insegnò Letterature Comparate all'Università Normale di Pechino, ma nel 1996 fu di nuovo arrestato e condannato a tre anni di carcere e lavori forzati per le sue posizioni contrarie alla linea del Pcc: durante il periodo di detenzione aveva sposato la scrittrice Liu Xia, da sette anni gli arresti domiciliari, senza che alcuna accusa formale sia stata spiccata nei suoi confronti.
Fermato poi nel 2008, due giorni prima della pubblicazione di Charta 08, il manifesto che sostiene le libertà democratiche e le riforme costituzionali, e processato il giorno di Natale del 2009, era stato condannato a undici anni di carcere per "incitamento alla sovversione dell'ordine statale".
Nel 2010 era stato insignito del Premio Nobel per la Pace, che non ha mai potuto ritirare, per la sua "lunga e non violenta lotta per i diritti umani fondamentali in Cina". L'assegnazione del premio aveva portato a uno stallo diplomatico i rapporti con la Norvegia, che si era prolungato fino al dicembre scorso, quando una delegazione guidata dal ministro degli Esteri di Oslo, Boerge Brende, era giunto a Pechino per ripristinare le relazioni. La visita aveva permesso di firmare una dichiarazione nella quale veniva specificato che le due parti avevano raggiunto negli ultimi anni un livello di fiducia tale da permettere la ripresa di una relazione.
Charta 08, di cui Liu Xiaobo fu promotore, è il documento sottoscritto anche da altri trecento fra intellettuali, attivisti, avvocati e artisti cinesi usa toni molto duri nei confronti della Cina contemporanea che chiedono una magistratura indipendente dal potere politico e le libertà di parola, di stampa, religiosa, di assemblea, di associazione e di sciopero definendo apertamente "autoritario" il sistema cinese.
Nel documento si fa riferimento ai diritti umani, all'uguaglianza tra esseri umani, alla democrazia, il cui significato principale è che "la sovranità appartiene al popolo e il governo è eletto dal popolo": la garanzia di questi diritti, si legge su Charta 08, deve essere definita nella carta costituzionale. Il manifesto promuove anche la separazione dei poteri per creare un "governo moderno", l'indipendenza della magistratura dal potere politico e l'elezione diretta dei rappresentanti del popolo sulla base del principio "una persona, un voto".
Uno degli ultimi casi in cui il governo cinese aveva fatto riferimento diretto alla condanna inflitta all'attivista era stato nel giugno 2015, in occasione della prima visita in Cina di un altro Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, oggi consigliere di Stato del Myanmar, quando il Ministero degli Esteri aveva ribadito che la sentenza non sarebbe stata soggetta a revisione. E così è stato.