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Mosca al centro del riassetto in Medio Oriente e Nord Africa

per Lookout News

Lookout News ha scritto più volte che il fallimento della destabilizzazione siriana si è rivoltato contro i suoi fautori rafforzando sia l’asse sciita (Iran, Siria, Iraq, Hezbollah), la cui frantumazione era l’obiettivo di Arabia Saudita e Qatar, sia la Russia, il cui indebolimento nell’area era obiettivo di Stati Uniti e Regno Unito. Il piano di Washington e Londra, come noto, è però fallito. La Russia ha rovesciato le sorti del conflitto, ha stabilizzato la propria presenza in Siria e si è posta come perno politico-militare delle reciproche garanzie nell’area più conflittuale del mondo.
Questo ha prodotto una lunga serie di effetti a catena ancora in corso, la cui già grande portata potrà produrre capovolgimenti di alleanze e un nuovo quadro geopolitico tendente alla stabilità e non più alle caratteristiche prima permanenti: criticità e conflitto. Una tendenza alla stabilità che, a sua volta, potrà produrre un effetto negativo sul monopolarismo degli Stati Uniti (guerre e supremazia militare) e positivo sul multipolarismo invocato da Russia e Cina (pace e stabilità, economia e circolazione di gas e merci).

Turchia, Hamas ed Hezbollah

Di fronte all’evoluzione del conflitto siriano, la Turchia si è così dovuta riavvicinare a Mosca.

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L'incontro tra Putin e Erdogan

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L'incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

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L'incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

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L'incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

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Il presidente russo Vladimir Putin. agosto 2016

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L'incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

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L'incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

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L'incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

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L'incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

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L'incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

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Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

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L'incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

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L'incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

L'incontro tra Putin e Erdogan

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L'incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

L'incontro tra Putin e Erdogan

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L'incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

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L'incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan al Konstantinovsky Palace di San Pietroburgo, Russia, 9 agosto 2016

Al Cremlino si è avvicinato anche Israele, ma non per affidarsi in toto alla sua protezione bensì per incrementare i commerci (vedi l’accordo sul gas del giacimento israeliano Leviathan con la russa Gazprom) e per verificare quanto effettivamente la Russia possa garantire Israele da possibili attacchi dell’Iran o del gruppo sciita libanese Hezbollah.
Nel generale riassetto in corso, e per il legame con la Turchia che negli ultimi mesi ha dovuto rivedere gli precedenti intenti espansionistici sfociati nella destabilizzazione del regime siriano di Bashar Assad, l’organizzazione palestinese Hamas si è sganciata dalla Fratellanza Musulmana egiziana. Un affratellamento che era per Hamas fondativo e che si era ancora tanto più rafforzato con l’ascesa in Egitto del leader dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsi. Ma Morsi è poi caduto, destituito dal golpe militare guidato dal generale Abdel Fattah Al Sisi nel luglio del 2013, così come è fallito l’assalto alla Siria che Hamas aveva appoggiato. Un appoggio che aveva portato l’organizzazione palestinese alla rottura con l’Iran, cui ora si sta riavvicinando.

Iran
Dal canto suo Teheran, dopo lo sdoganamento sul nucleare supportato dalla Russia, ha notevolmente ridotto i toni bellicisti contro Israele, seguito a ruota dalla derivazione libanese Hezbollah. E allo stato attuale Hezbollah a nord e Hamas a sud sono i due principali nodi per la sicurezza di Israele. Da come si evolveranno, dipenderà per lo Stato Ebraico la fiducia per le funzioni di garanzia assunte dalla Russia nel riassetto di alleanze e protezioni dell’area mediorientale.

La situazione dei curdi

Un’altra area che potrebbe ricadere nella tendenza stabilizzante prodotta dal riassetto di alleanze, e dalla sconfitta della Turchia in Siria, è quella curda. Finita nel mirino delle stragi compiute dallo Stato Islamico in segno di ritorsione, la Turchia dovrà decidere quale sia tra ISIS e il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) il minor pericolo e scenderci a patti. La Turchia è zeppa di basi clandestine dell’ISIS, create fino a quando il territorio turco era passaggio e retroterra sicuro dei miliziani del Califfato. E se con i curdi si può ancora trattare, lo stesso non si può assolutamente fare a questo punto con l’ISIS.

Le mosse di Al Sisi
Recentemente a Mosca non è andato però soltanto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ma anche il presidente egiziano Al Sisi, sia per il nuovo ruolo assunto da Mosca, sia perché dietro la Fratellanza Musulmana, suo principale nemico, c’era l’Occidente (USA, soprattutto, ma localmente anche l’Arabia Saudita). Così mai come ora fin dai tempi di Nasser sono stretti i rapporti tra Egitto e Russia.

A ricaduta del nuovo assetto di alleanze si ha notizia da Israele che l’esercito israeliano sta collaborando con quello egiziano, fatto senza precedenti, per combattere l’ISIS nel Sinai, dato che l’Egitto, proprio per i trattati di pace con Gerusalemme, ha molte limitazioni nel predisporre installazioni militari nella penisola. Così l’esercito israeliano, sulla base di una collaborazione e scambio di informazioni con le forze armate egiziane, sta mandando contro i jihadisti droni da combattimento.

La notizia della collaborazione era stata data dal vice capo di Stato Maggiore dell’IDF (Israel Defense Forces) Yair Golan, e successivamente ripresa dall’accademico in Scienze Politiche Mohamed Kamal, già membro della Camera Alta egiziana.

Gli USA e la questione siriana
Gli Stati Uniti stanno ora considerando la necessità di accettare la proposta di coordinamento dei bombardamenti antiterroristici avanzata da Mosca nel maggio scorso. I bombardamenti riguarderebbero il Fronte al-Nusra, che negli ultimi mesi ha approfittato dei congiunti attacchi contro l’ISIS per rafforzare ed espandere la propria influenza sia ad Aleppo che nella provincia di Idlib. Fatto è però che Al Nusra agisce in collaborazione con altri gruppi cui gli USA non hanno ancora assegnato la patente di terroristi, come Jaysh al-Islam. Inoltre, dopo aver annunciato una pretestuosa scissione da Al Qaeda nelle scorse settimane per formare il nuovo gruppo Jabhat Fateh al-Sham, Al Nusra aspira adesso a essere “accettata” nel tavolo dei negoziati al pari del Free Syrian Army e di altre milizie islamiste che in Siria combattono contro l’esercito siriano.

Al netto di tutto ciò, sembra che gli USA siano disponibili ad accettare l’offerta di coordinamento in cambio della pressione russa su Assad affinché non bombardi più milizie “moderate” da loro supportate. Una richiesta che mostra la sconfitta delle loro ambizioni di regime change e il loro pressapochismo sulle dinamiche mediorientali. Russia e Siria quasi sicuramente accetteranno la richiesta degli USA, a patto che quelle da loro considerate “milizie moderate” si sgancino dal connubio e dalla vicinanza con Al Nusra.

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