Lifestyle
January 21 2014
di Sergio Meda / Sportivamentemag
Il nome del detentore del primato, Eddy Merckx, incuteva timore, ma chi si mise all’opera perché l’impresa si compisse la considerava difficile, non impossibile. Per primo il professor Enrico Arcelli, responsabile dell’équipe Enervit che aveva messo a punto le soluzioni più opportune per consentire a Francesco Moser di abbattere il primato anche di un solo metro rispetto alla distanza, 49 km e 432 metri, coperta sull’ora dall’asso belga nel 1972.
Quel record Merckx l’aveva stabilito sulla pista in legno del Velodromo olimpico di Città del Messico, quello dei Giochi del ’68, non più agibile sedici anni dopo. Fu giocoforza optare per il Centro Deportivo Olimpico, sempre a Mexico City, una pista in cemento trattata - nella zona nevralgica, alla “corda” - con speciali resine che consentivano una grande scorrevolezza e soprattutto preservavano dalle forature, la iattura peggiore se ti capita a pochi minuti dalla conclusione di un tentativo vincente. Data la presenza di venti trasversali e discontinui, a raffica, che avrebbero potuto infastidire Moser, era stata messa a punto una copertura parziale del velodromo lungo le tribune molto basse, pannellandone con teloni pubblicitari. L’unica controindicazione rispetto all’anno di Merckx era il livello d’inquinamento atmosferico, di molto aumentato.
Un dato, sconosciuto ai più, era che Merckx, mal consigliato anni prima, aveva prodotto il suo sforzo nella giornata che meno si adattava alle sue condizioni, una settimana dopo l’arrivo in Messico. Non a caso aveva chiuso l’ora stremato, al termine aveva detto “mai più”. Francesco per acclimatarsi al meglio si era portato in zona per tempo, a fine dicembre 1983, con la moglie Carla e la piccola Francesca. Nulla era stato lasciato al caso: ben lontani gli empirismi del passato, allenamento specifico e alimentazione accurata confortavano Moser. In più, la bicicletta studiata per il record aveva un assetto aerodinamico migliore e le ruote lenticolari, per l’effetto volano, garantivano da sole un vantaggio di centinaia di metri. Pure il casco, filante, particolarmente aerodinamico, valeva anch’esso metri guadagnati.
Per la prima volta nella storia dello sport, non del solo ciclismo, un uomo era stato posto in una galleria del vento – quella di Pinifarina, nei pressi di Torino, a La Mandria – per testare i materiali già sperimentati al Palasport di Milano, durante gli allenamenti in vista del tentativo di primato. Per Moser un’esperienza traumatizzante, considerate le temperature della galleria, 10 gradi sotto zero, che nessuno aveva attentamente valutato. Le due maglie di lana che indossava non lo esentarono da parecchie maledizioni, nella lingua madre.
Il 19 gennaio 1984 era un giovedì. Come responsabile dell’ufficio stampa del tentativo di record gestivo un centinaio tra giornalisti e fotografi, la gran parte europei. Al velodromo del Centro Deportivo era presente anche il ct azzurro Bearzot, in Messico in quel periodo per preparare l’avventura azzurra al “Mundial” in programma due anni dopo. Folto il pubblico, palpabile il nervosismo in tutti noi, il più tranquillo: Francesco. L’ipotesi era che Moser tentasse l’ora solo se fosse stato, dopo 20 km, in buon vantaggio su Merckx. A quel traguardo parziale aveva già 36 secondi di margine sul belga. La media oraria, dopo 100 giri di pista, faceva presumere un risultato finale strepitoso, oltre i 50 km percorsi per la prima volta in assoluto. Il responso ufficiale fu di 50 km e 808 metri coperti in un’ora.
Trascorsi solo quattro giorni, l’appuntamento del 23 gennaio 1984 prevedeva l’ipotesi di un ritocco del primato, quasi un’esibizione a favore dei molti tifosi trentini che avevano raggiunto il Messico per osannare il loro beniamino. Tre le tabelle di marcia previste dallo staff, la più ambiziosa metteva in conto il superamento del primato del 19 gennaio oltre quota 51 km. Francesco, neanche a dirlo, prese in considerazione solo quella. Alle 10 e 54 era pronto a partire. E le condizioni erano ideali: 20 gradi di temperatura, umidità del 50 per cento. Rispetto ai calzoncini neri del primo record decise di indossare il body intero, che garantiva minore attrito. In più, scelse di montare un rapporto che gli avrebbe fatto guadagnare 14 centimetri a pedalata. Moser partì a tutta, nei primi cinque km la sua media sfiorò i 54 orari, incasellando nuovi primati intermedi; solo il vento che si alzò impetuoso fece vacillare qualche tifoso, non Moser che sembrò non curarsene. La tabella più alta dello staff tecnico prevedeva un risultato vicino ai 51 km e 200 metri. Francesco lo sfiorò, coprendo in un'ora 51 km e 151 metri. E 35 centimetri, per chi ama la precisione.
Sergio Meda, autore di questo articolo, è direttore del sito Sportivamentemag, magazine on line che tutela lo sport e le sue regole, proponendo storie e riflessioni.