Calcio
January 15 2024
La Roma sconfitta a San Siro dal Milan nel confronto tra deluse (e tecnici in bilico) non ha fatto altro che confermare il suo status dentro questa stagione: si trascina in campionato, fuori dalla Coppa Italia e attende il ritorno dell'Europa League dove non è riuscita a vincere un girone sulla carta abbordabilissimo. La superiorità espressa dal Milan nella sfida terminata con la 7° sconfitta in Serie A (9° complessiva) non deve sorprendere: in fondo i giallorossi oggi sono più vicini alla zona retrocessione, lontana 12 punti, che ai rossoneri distanti 13 lunghezze. Questa è l'unità di misura ed è comprensibile che tutto l'ambiente sia arrivato oltre il limite di sopportazione.
Tra problemi di bilancio, regole Uefa, polemiche e incomprensioni in società, si sta consumando la fine di un rapporto che è stata prima di tutto una grande storia d'amore. Mourinho è entrato nel cuore dei romanisti, ricambiato. Da mesi spinge i Friedkin perché vorrebbe restare, senza ottenere alcuna risposta. I proprietari americani si stanno guardando in giro, come è logico che sia, ma anche questa modalità di distacco non aiuta in un momento in cui in campo la squadra sta lentamente precipitando.
Dello scivolamento progressivo nell'anonimato l'ex Special One non può non essere considerato almeno corresponsabile. E' vero che ha accettato i guidare un gruppo composto da qualche giovane, molti calciatori di medio livello e altri che sono a Roma solo perché portatori di una storia di infortuni e delusioni, ma se al di là dell'intensità e della ferocia agonistica non si è visto gioco qualche domanda va fatta anche al tecnico portoghese che ha pur sempre una rosa con il terzo monte ingaggi della Serie A.
Quesiti rimasti spesso senza risposta se non nella ricerca di alibi: arbitri, problemi fisici, limiti anche mentali dei suoi uomini. Rarissima autocritica. Anche per questo l'immagine di Mourinho si sta logorando ben oltre il dovuto, visto che va sempre ricordato che è il suo carisma ad aver riempito con costanza l'Olimpico negli ultimi due anni. Una cornice fantastica possibile solo perché il capopopolo ha convinto tutti della straordinarietà della sua presenza e dell'impresa da compiere.
Mourinho rifiuta l'idea di non poter essere più l'uomo che guida i romanisti. Ricorda le due finali europee consecutive, il lavoro fatto per far crescere in fretta ragazzini senza alcuna esperienza e l'isolamento cui spesso è stato costretto dal silenzio dei Friedkin. Ha ragione su tutti i punti, visto che la scorsa estate i conti sono stati sistemati in extremis grazie alla valorizzazione dei giovani compiuta da lui nei mesi precedenti. Però ha precipitato la Roma in una guerra totale al sistema che alla lunga non sta pagando e che non può essere l'unica cifra del prossimo progetto tecnico, quello si aprirà a giugno.
Ciò che serve, però, è un finale all'altezza della storia. Trascinarsi così, tra equivoci e fallimenti sportivi, è irrispettoso della storia di JM, dell'amore che la gente ha provato e prova nei suoi confronti e anche degli sforzi e delle ambizioni dei Friedkin. Meglio la chiarezza, spiegare se a giugno sarà addio e chiedersi reciprocamente di vivere l'ultima fase inseguendo risultati credibili e mettendo in campo sforzi adeguati. Per il bene di tutti. Nessuno merita il logoramento di un divorzio che cancelli quanto di eccezionale c'è stato nella parabola di Mourinho nella Capitale. Non Mourinho e nemmeno chi lo ha scelto.