Del Movimento resta solo il maxi ego di Conte

Alla fine, delle 5 stelle che dovevano brillare nel firmamento della politica non ne è rimasta nemmeno una. Non parlo dei leader o aspiranti tali spazzati via nell’arco di una o due legislature. Di quelli si è perso il conto, a cominciare da Roberta Lombardi e Vito Crimi, i due capigruppo che umiliarono Pier Luigi Bersani in uno streaming che doveva aprire la nuova fase al servizio del popolo, e sui quali da tempo è sceso il buio. La prima ha aperto uno studio di consulenza per la transizione energetica, il secondo si accontenta di un impiego dietro le quinte del Movimento piuttosto che tornare al lavoro di impiegato in tribunale. E anche la stella di Luigi Di Maio, rappresentante speciale della Ue nel Golfo dopo aver fatto il ministro di Draghi, con la nuova Commissione europea rischia di spegnersi, mentre la sola luce che ancora brilla per Alessandro Di Battista è quella delle telecamere di qualche trasmissione tv che gli concede cinque minuti di notorietà. Sì, le stelle cadenti del Movimento sono davvero tante, perché ai già citati si aggiungono Virginia Raggi, Danilo Toninelli, Alfonso Bonafede, Lucia Azzolina, Barbara Lezzi, Elisabetta Trenta, eccetera. Tutti con la speranza che per loro, dopo il tramonto, cominci una nuova alba grazie al conflitto tra Conte e Grillo.

No, quando dico che delle 5 stelle non ne è rimasta neppure una non penso ai volti della primissima ondata pentastellata e nemmeno ho in testa le facce dei ministri dei governi Conte. Il mio pensiero semmai va alle promesse e agli slogan della stagione politica che vide il Movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio sfiorare il 33 per cento. Ve li ricordate? Non c’era solo il dogma dei due mandati, dopo i quali qualsiasi eletto avrebbe dovuto farsi da parte per tornare alle precedenti attività (per chi ne aveva una, mentre gli altri avrebbero dovuto cercarsi un impiego), ma addirittura per distinguersi dall’odiata casta dei politici di professione i 5 stelle si facevano chiamare «cittadini», sottolineando il loro essere gente del popolo, destinata prima o poi a tornare fra il popolo. Cittadino ormai è un titolo caduto in disuso, proprio come le stelle. Se prima, a ogni domanda preceduta da onorevole, l’eletto rettificava rifiutando sdegnosamente di essere etichettato come tale, ora nessuno si indigna più se viene chiamato senatore o deputato. Anzi, alcuni di loro ci tengono a sottolinearlo. Tramontato anche l’impegno a versare una frazione dello stipendio a favore delle casse del partito per finanziare le piccole imprese in difficoltà. Dopo aver escogitato ogni genere di escamotage per sottrarsi all’obbligo di aprire il portafogli e restituire parte dei soldi ricevuti, ora non c’è parlamentare che si ricordi del dogma. Via anche il proposito di ignorare le trasmissioni televisive, che pure all’inizio era stato rispettato rigorosamente, in ossequio al Vaffaday con cui Grillo aveva mandato all’inferno i servi di regime, vale a dire i giornalisti. Oggi ogni grillino (ma possono essere ancora chiamati così?) supplica di avere un invito in tv e, messo da parte Rocco Casalino, ognuno prova a ingraziarsi il conduttore o gli autori del programma.

Eh, sì, le stelle comete hanno abbandonato gran parte delle loro intenzioni, ma soprattutto fanno i conti con i fallimenti delle loro iniziative. Non parlo, per carità, della misura che avrebbe abolito la povertà. Come è a tutti noto, il Reddito di cittadinanza ha moltiplicato i poveri, o quanto meno li ha fatti crescere per incassare richiedenti il sussidio, con il risultato che la sola povertà che è stata abolita è quella dei pentastellati che prima di essere eletti o non avevano un reddito o ne avevano uno minimo.

Tuttavia, il principale fallimento delle velleitarie battaglie grilline restano i tagli alla Casta. Dopo aver cancellato i vitalizi si scopre che il Parlamento piano piano li ha reintrodotti, ma il peggio è che dopo aver dimezzato o quasi i senatori, con la promessa di ridurre i costi della politica, Palazzo Madama costa esattamente come prima, né più né meno. Altro che mettersi a dieta. Gli onorevoli dopo la epocale riforma (così la definirono i cittadini a 5 stelle) sono tornati a mangiare e spendere come prima e forse addirittura più di prima. Insomma, anche l’ultima battaglia grillina è finita nel nulla. E nel firmamento del Movimento non brilla altro che Giuseppe Conte, un democristiano dall’ego espanso che è pronto a qualsiasi giravolta pur di non fare la fine di Toninelli. Grillo permettendo.

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