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May 22 2018
I soliti sospetti, cioè i giornalisti di regime che hanno appena servito Renzi come garzoni di barbiere e gli hanno poi dato il calcio dell'asino, scrivono che non bisogna essere Cassandre apocalittiche, in questo momento "il giornalismo deve rendersi utile".
In effetti il governo nascente ha bisogno di giornalisti con il senso dell'utile, perché si ha la netta impressione che stavolta, a sorpresa, si attacca il padrone, cioè gli editori 5Stelle, gli anchor, e tutta quella bella gente, dove vuole l'asino, cioè la nuova classe dirigente.
Non avessimo un debito pubblico da sballo, non ci fosse la gabbia dorata dell'Unione europea e della Banca centrale, coltivassimo un'economia fondata sul lavoro e la produttività, fossimo un sistema istituzionale in cui si vota ogni due anni con pesi e contrappesi, dalla Corte suprema al Congresso alla stampa libera, dovremmo augurarci che questo governo della bullaggine, prodotto da una lotteria elettorale a sorpresa, riesca in imprese come quelle di Trump: mentre una pornostar lo sculaccia con la rivista Forbes, tra un tuìt e l'altro lui fa la pace in Asia, riduce le tasse alla Reagan, sposta l'ambasciata a Gerusalemme, mette in mutande i profeti di sventura del climate change, abolisce virtualmente la globalizzazione con le tariffe doganali, cementa un finto muro con il Messico. Dobbiamo sperare di vivere tra delirio e sogno.
Sembra difficile invece che un governo di gente riperticata, fondato sull'incompetenza come vanto e programma di vita, riesca a districarsi nel bosco del potere.
Il potere qui da noi ha almeno due facce. Il potere europeo è fatto di regole che non prevedono l'autochthonya, un mitico regime di indipendenza dentro l'unione monetaria e la dinamica dei trattati, magari fondato sulle svalutazioni competitive. I trattati sono una lettura lunga, faticosa, impervia, e stabiliscono criteri di convergenza e cooperazione all'interno di una sovranità nazionale condivisa nella logica intergovernativa, criteri che sono certo in crisi, che dovrebbero essere rivisti con giudizio e spirito riformatore, ma prima di tutto esigono che qualcuno li legga, ne sappia qualcosa. Bisogna avere ministri capaci di lavorare con burocrazie raffinate, multilinguistiche e multiculturali, che hanno una storia, una genealogia, che rispondono a centri di potere e di coordinamento non così facili da eludere.
Lo hanno constatato i greci, che con Syriza volevano ristrutturare alla meglio il loro debito truccato dalle loro abitudini levantine, e volevano farlo per decisione politica, anche loro con il bullismo di un referendum, e si sono ritrovati con i bancomat chiusi, ermeticamente chiusi, e 60 euro al giorno massimo da ritirarea testa, prima di ritornare sui loro passi con molta fatica. Non è che non ci si possa provare, intendiamoci, ma mettere Bruxelles o Berlino o Parigi al posto di Roma ladrona, per dare una verniciatura nazionalista a un blocco sociale padano o sudista, può essere solo una trovata buona per le elezioni, per scassare tutto. Gestire manovre finanziarie multimiliardarie, il sistema delle pensioni e dei conti pubblici, il fisco e il lavoro, specie in una dimensione sovranazionale, è un altro affare, e non basta, a occhio e croce, predicare e razzolare con le solite parole e nei soliti meandri dell'insoddisfazione nazionale e regionale con le retoriche della diseguaglianza e le sanatorie a reddito garantito.
Fa bene Grillo, che da sempre usa della cialtronaggine per forzare una leva plateale di consenso, a dire che lui scherzava, che la governabilità serve a niente, che ora andrà tutto bene perché tutto prima è andato male. Poi però esiste il problema di trasformare un esecutivo che più abborracciato e sghimbescio non si può immaginare, frutto di un travisamento delle regole costituzionali e di un negoziato da farsa tutto giocato oltre i tempi di recupero, in un organismo decisionale, dunque in un luogo di mediazione, di definizione degli affari legislativi, di scelta dei tempi e dei linguaggi utili a convincere, a motivare gli apparati, a disperdere la nebbia della guerra elettorale in un clima che consenta il minimo necessario di visibilità mentre si naviga tra gli scogli.
Si può sempre imparare, è vero, ed è altrettanto vero che la Lega ha una tradizione di governo e amministrativa non disprezzabile, ma sempre esercitata finora in società con altri, e con un personale che oggi definiremmo "d'altri tempi". Governare con Gianni Letta è altra cosa dall'esercitare il potere con Rocco Casalino, s'immagina.
La platea del nuovo teatrino è volubile, si stanca presto, non si lascia algoritmizzare negli schemi digitali della società privata Casaleggio e Associati intitolata a Rousseau e alla sua volontà generale. E così anche i corpi intermedi, che insieme a media e magistrati hanno lasciato correre, in un'ansia generalizzata di sfascismo, ma ora si trovano politiche gridate e ossessive sull'immigrazione ignare del fatto che gli sbarchi sono calati del 90 per cento a maggio, soluzioni fiscali senza copertura accettabile, riforme delle riforme che comportano il possibile fallimento dell'Inps, esborsi a pioggia complicati da giustificare e da erogare.
Governare vuol dire schiacciare bottoni in una stanza, anche quando i bottoni non ci siano, come disse notoriamente Pietro Nenni all'epoca del primo centrosinistra. Qui l'aria è che non ci sono i bottoni, e nemmeno le dita per schiacciarli.
(Articolo pubblicato sul n° 22 di Panorama, in edicola dal 17 maggio 2018 con il titolo "Con i comizi non si governa, la stanza dei bottoni è una cosa seria)