Economia
September 24 2019
Ogni anno il 40% dei profitti delle grandi multinazionali viene dirottato verso paradisi fiscali che permettono alle aziende di eludere la fiscalità nazionale e di guadagnare circa 5 euro su ogni euro di tasse pagate.
Si tratta del fenomeno della cosiddetta tax ruling, accordi fiscali tra le multinazionali e paesi a tassazione ridotta che accolgono il denaro delle grandi imprese concedendo una tassazione agevolata che si traduce in maggiori profitti per le aziende.
Sono i dati che arrivano da una ricerca congiunta dell'Università di Berkeley e di Copenhagen e che riportano le considerazioni di The missing profits of Nations (I profitti perduti delle nazioni), pubblicato dal National bureau of economic research degli Stati Uniti, considerato il più autorevole centro di ricerca economica mondiale.
Si tratta di analisi politico economiche che dimostrano come la vera piaga globale sia la grande elusione fiscale compiuta dalle aziende a livello mondiale. Si parla di 200 miliardi di euro di tasse che dovrebbero finire negli erari nazionali e che invece si volatilizzano nei paradisi fiscali.
Guardando all'Italia ogni anno il 19% dei profitti realizzati dalle multinazionali sul suolo nazionale viene spostato all'estero per un totale di oltre 24 miliardi di euro dei quali 20 restano in Europa in uno dei sei paradisi fiscali comunitari: Lussemburgo, Irlanda, Olanda, Belgio, Cipro e Malta.
Se tutto quel denaro venisse tassato in Italia frutterebbe allo Stato oltre 6 miliardi di euro l'anno, denaro più che sufficiente per non sforare il deficit ed evitare che a qualcuno venga in mente di tassare persino le merendine pur di far quadrare i conti.
E invece continua il teatrino della guerra tra i poveri e mentre si alzano tasse e balzelli ai danni dei contribuenti si chiudono entrambi gli occhi sugli spostamenti di denaro delle aziende multinazionali.
La Commissione europea ha tentato di fare qualche goffo (e neanche troppo convinto) tentativo di arginare il fenomeno, ma invano visto che la materia fiscale è di appannaggio squisitamente nazionale.
E così mentre nessuno fa niente volano i miliardi da una parte all'altra del globo. E se del tesoretto nazionale meno di 5 miliardi finiscono tra Svizzera, Cayman e Isole Vergini il grosso dell'eluso resta in Europa con una sorta di furto di profitto tra vicini di casa.
E mentre i piccoli paradisi del vecchio continente ingrossano le proprie casse le grandi nazioni perdono gettito.
In Italia si parla di 24 miliardi l'anno, ma altrove non va meglio. I profitti societari drenati all’estero ammontano a 54 miliardi di euro per la Gran Bretagna, 48,4 per la Germania e 28,2 per la Francia.
E a livello mondiale il tax ruling muove cifre enormi: 616 miliardi di dollari, pari a circa 550 miliardi di euro.
I metodi utilizzati dalle grandi aziende multinazionali per fare questo "giochetto fiscale" sono diversi. Uno dei più utilizzati dai gruppi è quello di creare una holding o sussidiaria in un paese con minor tassazione e trasferirvi profitti delle altre società manipolando artificialmente il prezzo delle transazioni infragruppo (transfer pricing).
Oppure la multinazionale può aggiustare i prezzi, organizzare prestiti o cedere marchi e brevetti all’interno dello stesso gruppo per abbassare gli utili nei paesi ad alta tassazione. Il terzo metodo è quello di acquisire il controllo su sussidiarie residenti in paradisi fiscali che distribuiscono dividendi senza che siano tassati né nel paese estero, né nel paese Ue.
E poi c'è il problema delle grandi multinazionali digitali che gestiscono tutto dai paradisi fiscali, ignorando le tasse nazionali in toto.
Il dato che sconvolge gli analisti è che, a esclusione degli USA, quello dell'elusione fiscale è un gioco di vasi comunicanti interno all'Europa visto che, spiegano: "Ogni cento euro di profitti spostati fuori da un singolo paese europeo, ottanta finiscono nei paradisi fiscali della stessa Ue".
Secondo lo studio a livello mondiale le multinazionali trasferiscono in Lussemburgo, Irlanda, Olanda, Belgio, Cipro e Malta circa 290 miliardi di dollari l'anno. Di questi il 35 per cento proviene da altri Stati europei a tassazione più alta, il 30 per cento da nazioni in via di sviluppo, il restante 25 dagli Stati Uniti.