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January 17 2018
Si formano di notte nei vicoli dei quartieri periferici di Napoli. È nel buio delle strade di Forcella, Scampia o Secondigliano, che i figli dei camorristi creano nuove alleanze, baby gang, e iniziano a "marcare" il territorio.
“Cominciano con il rito d’iniziazione, che è uguale per quasi tutte le baby gang: sparare in aria mentre percorrono, in moto o in scooter, le strade della città. Sparare. Sparare, senza avere la paura di uccidere o ferire nessuno - spiega a Panorama.it,Francesco Emilio Borrelli, consigliere regionale dei Verdi e da decenni impegnato politicamente nella lotta alla camorra - Questi adolescenti non hanno nessun freno inibitore, nessun limite e compiono atti vandalici per lasciare il segno del loro passaggio e del loro potere”.
È nel cuore della notte, quando diminuiscono i presidi delle forze dell’ordine, che questi adolescenti cominciano il loro percorso di “formazione” criminale.
“Come in tutti i clan anche in questi gruppi c’è il leader, la cui età può oscillare tra gli 11 e i 16 anni, che spesso ha già precedenti penali per droga o per danneggiamento - continua Borrelli - ed è lui a decidere dove colpire, in quale zona della città e chi deve materialmente compiere l’atto”.
Non c’è una logica nel loro agire. “Il caso di Pomigliano, infatti, è l’esempio di come queste baby gang agiscano senza una motivazione - prosegue - sono capaci di ridurre in fin di vita un coetaneo solo per il gusto di farlo. Non c’è una spiegazione alla violenza, ammesso che ce ne possa essere una. Colpiscono e basta”.
"Questi giovanissimi criminali sono perlopiù figli di camorristi i cui genitori si trovano in carcere - continua Borrelli - molti di loro si trovano a crescere con i parenti che nella migliore delle ipotesi sono comunque dei pregiudicati. Altri, invece, vivono addirittura da soli. Si arrangiano: chi ruba, chi spaccia, chi rapina” aggiunge Borrelli.
“Queste generazioni purtroppo respirano, vivono e crescono in una subcultura criminale da cui è difficile sfuggire. È impossibile pensare che un bambino oppure una bambina che già a quattro o cinque anni spaccia droga nel quartiere, possa intraprendere un percorso di vita nella legalità”.
Ma, secondo Borrelli, il vero problema legato alle baby gang è l’indifferenza che nasce da una errata valutazione effettuata da chi non conosce la realtà napoletana e che spesso sottovaluta queste formazioni criminali, immaginandole come realtà distinte dai clan camorristici.
“Spesso si tende a pensare alle baby gang e alla criminalità organizzata come due entità differenti o comunque che non abbiano rapporti l’una con l’altra - puntualizza Borrelli - ma questo è un gravissimo errore per due motivi. Il primo è che queste formazioni criminali molto spesso nascono all’interno di quartieri da figli o nipoti di boss arrestati per cercare di conquistare la “piazza” e mutuano, dagli stessi parenti, il modus operandi violento. Il secondo motivo è che, se il boss c’è e non è stato ancora arrestato, quest'ultimo si serve di questi ragazzini per spacciare droga. Dunque queste baby gang sono la manovalanza della Camorra”.
Ma gli ultimi fatti di cronaca hanno mostrato che queste “gang” non sono circoscritte ai soli quartieri che le vede nascere.
“Durante i week end migrano dai quartieri alle zone della movida - conclude Borrelli- mentre nel corso dei giorni feriali, sfogano la loro violenza nei pressi delle loro abitazioni oppure vicino alla metro o alla circumvesuviana”.
Eppure sono mesi che Napoli vive nel terrore per i gruppi di giovani violenti e di bulli. Il Garante per i minori, solo poche settimane fa, aveva dichiarato a Panorama.it, che la situazione partenopea era tra le più difficili e violente d’Italia con ragazzini vittime di bulli che tentano persino il suicidio.
Finalmente con il caso Arturo e quello di Pomigliano, il fenomeno delle baby gang che da settimane insanguina Napoli e provincia è finito all’attenzione del Viminale che dopo un vertice in prefettura ha deciso di inviare cento uomini in più nelle zone della movida napoletana per fronteggiare quella, che lo stesso ministro Minniti, ha definito una "una violenza nichilista" che "colpisce in modo casuale" e caratterizzata da "modalità terroristiche".