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November 13 2024
In pochi giorni, Napoli ha visto spegnersi tre giovani vite: Arcangelo Correa, Santo Romano ed Emanuele Tufano. Tre nomi, tre volti, tre storie che raccontano un fenomeno sempre più preoccupante: la spirale di violenza che affligge i quartieri più poveri di Napoli e che coinvolge giovani provenienti dallo stesso ambiente criminale.
Arcangelo Correa aveva appena compiuto 18 anni. Era un ragazzo come tanti, senza precedenti penali eppure, il 9 novembre, un colpo di pistola alla testa gli ha strappato via la vita. L’assassino, Renato Caiafa, ha raccontato agli inquirenti che il colpo sarebbe partito accidentalmente. Renato è il fratello di Luigi Caiafa, ucciso nel 2020 a 17 anni da un poliziotto durante una rapina, mentre suo padre Ciro Caiafa, è stato ucciso nel 2020 in un agguato. Stessa sorte toccata solo una settimana prima, a Santo Romano, che ha perso la vita per una discussione. Ad ucciderlo con due colpi di pistola un ragazzo di 17 anni. Il padre di Santo detenuto in carcere ha avuto un malore in seguito alla notizia. Infine c’è la morte di Emanuele Tufano, 15 anni il più giovane dei tre, un ragazzino del rione Sanità colpito da un proiettile in una sparatoria tra bande di adolescenti.
Morti assurde che rivelano come Napoli non sia solo una città segnata dalla criminalità, ma anche da una crisi culturale alimentata anche da serie televisive come Gomorra o Mare fuori, usate come modelli di riferimento da molti ragazzi perché hanno reso l’immagine del camorrista una figura affascinante da emulare. Così i giovani , impugnano armi come fossero giocattoli e le usano per procurarsi denaro.
Armi che a Napoli, non si trovano in rete come è stato raccontato in questi giorni, ma nelle strade e nei mercati, vendute clandestinamente, e nelle case. Mercati come quello della Resina o di Recale a Caserta, dove per poche centinaia di euro è possibile acquistare un’arma. Tra il 2023 e il 2024 secondo i dati che Panorama ha potuto visionare a Napoli e provincia sono stati sequestrati 155 fucili nel 2023, cifra che è salita a 217 al 31 ottobre 2024. A questi si aggiungono 172 armi da taglio (2023) e 278 (2024) e 322 colpi di pistola sequestrati, oltre a circa un centinaio tirapugni, mazze e katane.
Ma la violenza che strappa via queste vite non nasce dal nulla. Le sue radici affondano nella povertà, nella criminalità e anche in una narrativa distorta che celebra figure come Luigi Caiafa, morto nel 2020 durante una rapina. Proprio in questi giorni, dopo le morti di Arcangelo, Santo ed Emanuele, sono riapparse scritte che celebrano la sua memoria. Caiafa non è stato dimenticato: il suo volto, che era stato immortalato in un murales nel suo quartiere successivamente rimosso, era un’immagine che non raccontava una vita spezzata, ma sembrava glorificare la scelta della criminalità come una strada possibile, forse l’unica.
Un contesto, dove il traffico di droga è diventato l’unico vero ascensore sociale per molti ragazzi dei quartieri popolari che vengono arruolati come vedette o corrieri, o sono cani sciolti che entrano rapidamente nel giro, affascinati dalle moto potenti, dagli abiti firmati, e dalla sensazione di essere finalmente qualcuno.
A parlarcene Sergio Nazzaro giornalista e scrittore esperto di criminalità organizzata.
Cosa può dirci di queste morti?
Affrontiamo un problema complesso, che richiede un’analisi seria e soluzioni concrete. Esistono giovani che potrebbero essere salvati, come già dimostra il lavoro silenzioso di molte associazioni nelle periferie di Napoli. Tuttavia, un omicidio fa sempre più rumore del contributo quotidiano di mille volontari. C’è una responsabilità nel modo in cui l’informazione viene trattata: un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce. Il ragazzo che ha sparato sarà presto dimenticato, ma se non interveniamo per offrire alternative reali, non muore solo la vittima, ma anche chi preme il grilletto, intrappolato da un sistema che lo ha abbandonato.
Dove si ritrovano oggi i giovani a Napoli?
Ci sono punti di riferimento positivi come parrocchie, gruppi dell’Azione Cattolica e i Boy Scout, ma purtroppo anche le bande criminali svolgono questo ruolo. A Napoli circolano troppe armi, e molte finiscono nelle mani di ragazzini di appena 15 anni. Se in città ci sono cento pistole illegali, i camorristi le usano come strumenti di lavoro. La domanda da porci è: com’è possibile che queste armi arrivino ai minorenni? Viviamo tempi davvero pericolosi. L’economia di Napoli è fortemente legata al traffico di droga: il consumo di cocaina è dilagante e le piazze di spaccio producono enormi guadagni. Si uccide per soldi e per il controllo di queste aree. Pensiamo a questo dato: se a Napoli ci sono centomila persone che consumano cocaina solo nel weekend, spendendo in media cento euro, parliamo di un giro d’affari di mezzo miliardo di euro l’anno. Con cifre simili, ci sono interessi enormi a mantenere lo status quo, e nessuno tra chi trae profitti è interessato a promuovere la legalità. I giovani coinvolti in questo contesto provengono spesso da famiglie povere, immerse in una realtà dove la miseria è la norma. Sono attratti da moto potenti, smartphone di ultima generazione e auto lussuose. Per ottenere ciò che desiderano, vedono nella criminalità una via di fuga. Le organizzazioni malavitose li reclutano, e mettono armi nelle loro mani, sapendo che i minorenni rischiano pene più lievi. Questi ragazzi passano le giornate sui motorini, facendo da corrieri per un mercato della droga con rischi che considerano minimi rispetto ai guadagni promessi.