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Narendra Modi è il nuovo Premier dell'India, e ora spetta a lui decidere sui marò

Se Narendra Modi riuscisse a ottenere una maggioranza tale da permettergli di governare senza dover contare sull'aiuto di alleati di vario genere sarebbe davvero una rivoluzione per un paese che da anni non riesce ad avere un governo forte. E in fin dei conti, a prescindere da cosa abbia davvero in mente il politico più controverso della storia del Subcontinente, forse un esecutivo un po' più stabile e determinato riuscirà a far uscire la nazione dal difficilissimo momento di impasse che sta attraversando.

In ogni caso, a prescindere da se Modi riuscirà o meno a mettere in piedi un governo monocolore del Bharatiya Janata Party (Bjp), è già un dato di fatto che con la conferma della sua nomina a Primo Ministro si sia aperta per il paese una nuova era. Narendra Modi è diventato Primo Ministro dopo aver già vinto tre guerre. Quella contro il suo partito, che ha iniziato a sostenerlo, e nemmeno completamente, in tempi troppo recenti. E ora, risultati alla mano, qualcosa dovrà certamente cambiare.

Il secondo grande successo di Modi è quello popolare. Nel Gujarat, il paese che ha governato per ben tre mandati consecutivi, è considerato una sorta di divinità. E non solo perché lo ha trasformato in una delle nazioni che crescono più rapidamente in India, ma anche perché lo ha fatto "senza dimenticare nessuno". Vale a dire mettendo in piedi, o almeno di questo sono convinti i suoi sostenitori, un modello di crescita inclusivo. Un successo, questo, che avrebbe indotto molti persino a perdonarlo per l'eventuale ruolo giocato nel terribile massacro etnico del 2002. Perché tutti possono sbagliare, e ciò che importa è come si decide di agire dopo. "Modi non si è mai scusato a parole, ma è riuscito a farlo con i fatti, e nessuno può dimenticarlo", commentano alcuni suoi sostenitori.

Altra vittoria senza precedenti del carismatico leader del Bjp è quella ottenuta dopo essersi scontrato con determinazione e fermezza contro l'Occidente. E in particolare contro quei paesi, come Stati Uniti e Inghilterra, che lo avevano definito persona non grata dopo l'incidente del 2002 e che da allora hanno scelto di intrattenere qualsiasi rapporto con lui. Ebbene, a fronte della sua ascesa politica sono stati costretti a tronare indietro, e senza ricevere nulla in cambio. Dettaglio cui un paese nazionalista come l'India ha dato moltissima importanza.  

Infine, queste elezioni hanno confermato la fine della grande dinastia Nehru-Gandhi. La decadenza degli eredi dei padri fondatori della grande India è forse iniziata dopo l'assassinio di Rajiv Gandhi, nel 1991, ovvero quando, dicono gli indiani, la famiglia più importante della nazione ha smesso di rappresentarla. Tutti sanno che il governo di New Delhi negli ultimi due mandati è stato affidato a Manmohan Singh solo perché Sonia "l'italiana", pur avendo mantenuto la Presidenza del Partito del Congresso, è stata considerata come "troppo poco indiana" per vestire i panni da Primo Ministro. Le due legislature Singh erano state identificate come quelle che avrebbero dovuto permettere ai rampolli della dinastia, Rahul e Pryianka, di farsi le ossa. E invece abbiamo iniziato a sentire parlare di loro sono nel 2012. E va da se' che la lunga assenza dall'arena politica nazionale, sommatasi a un mix ben poco efficace di scarso carisma, poca determinazione e idee non troppo convincenti non li ha di certo premiati in queste consultazioni.

Non è ancora chiaro quanti seggi sia riuscito a guadagnare il Partito del Congresso, ma certamente non abbastanza per infastidire il Bjp o per creare una coalizione in grado di mettergli i bastoni tra le ruote. Ancora incerto è invece il peso del Partito dell'Uomo Comune (Aap), ma anche in questo caso è evidente che anche il paladino dell'anti-corruzione Arvind Kejriwal è stato un po' troppo ottimista in campagna elettorale. Non solo, è interessante il fatto che lo abbiano votato così poche persone. Perché sembra quasi dimostrare che il paese abbia deciso di votare per chi davvero può avere la possibilità di fare qualcosa per cambiarlo, e quindi Modi.

Il nuovo Premier indiano di scheletri nell'armadio ne ha tanti. A partire da quelle scuse che si è sempre rifiutato di porgere, a una moglie tenuta segreta per anni, a un passato da militante in un partito estremista, e a posizioni e atteggiamenti autoritari non sempre graditi. Nonostante questo, il paese ha deciso di affidarsi a lui, chiedendogli sostanzialmente due cose: rilanciare l'economia nazionale, trasformando quindi l'India in un grande Gujarat, e aiutare il Subcontinente a trasformarsi nella grande potenza che merita (o forse solo sogna) di essere. Modi sostiene di avere le idee chiarissime e di sapere bene in che direzione andare. Ma se le sue posizioni non verranno stemperate già in questo primissimo periodo post-elettorale Pakistan, Cina e Stati Uniti rischiano di ritrovarsi nei guai nella gestione quotidiana delle rispettive relazioni con l'India. Idem per l'Italia e i nostri due marò. Perché se il Partito del Congresso, una volta superato l'ostacolo elettorale, avrebbe finalmente potuto mostrarsi più conciliante, di certo non sarà l'autoritario Modi a cercare un compromesso.  

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