Nasce Epik, un nuovo modo di fare pubblicità

Il nome sembra inglese, invece contiene un omaggio voluto a Omero, il capostipite dell'arte di raccontare storie. È «Epik», come l'epica, il genere letterario delle leggende e delle emozioni. Intrattenimento allo stato audio e video, l'essenza di una start-up che rifiuta l'etichetta di agenzia di comunicazione: è un laboratorio di talenti a disposizione delle aziende desiderose di fare storytelling di qualità. Di raccontare il loro savoir-faire, la loro eccellenza o peculiarità, senza cadere nell'autoreferenzialità dello spot, nella retorica compiaciuta dello slogan a effetto. «Com'erano gli eroi, aiuteremo i brand a essere rilevanti e credibili. A uscire allo scoperto, sposando logiche e approcci più simili al linguaggio cinematografico. Vogliamo fare in modo che la narrazione riprenda un ruolo da protagonista» spiega Massimo Costa, già executive di livello internazionale per diversi gruppi di comunicazione, al centro del parterre di soci e partner saliti a bordo con lui in questa iniziativa svelata ufficialmente oggi a Milano.

Tra loro ecco Nicola Lampugnani, direttore creativo per importanti agenzie italiane, specializzato in contenuti, consapevole di quello che non funziona più o funziona meno in quest'universo di immagini e parole: «I marchi sono diventati un po' degli stalker. Sono sempre lì in agguato a interrompere il pubblico perché grazie alla pervasività degli strumenti digitali riescono ad arrivare ovunque. Il nostro obiettivo è fare in modo che tornino a essere seduttori». Che lo spettatore sia talmente affascinato da un format (vale tutto, dalla serie al podcast, dalla clip al sito web), o se lo ritrovi necessariamente sotto il naso attraverso il passaparola, che voglia scoprirlo di sua spontanea volontà. Desideri vederlo, interagire con esso. Da scocciatrice, da corteggiatrice, la pubblicità ambisce a essere a sua volta corteggiata. A conquistare tramite il suo magnetismo.

Non è un'utopia, se si ragiona con strategia. Se si coinvolgono innanzitutto i testimonial adatti, in particolare gli influencer, che costruiscono un legame perenne e quotidiano con i loro seguaci. Sono scelti consapevolmente per il tono di voce dei loro post: «Le persone vanno approcciate come pubblici, non come target. Non bisogna ragionare per principi sociodemografici, ma costruire connessioni emotive basate su valori come la vicinanza, la rilevanza, l'autenticità» elenca Giorgia Crepaldi, arrivata da Vice Media, dove si è specializzata nel parlare ai più giovani.

In Epik s'intuisce ed è esplicitata l'impronta internazionale, rappresentata anche da Dan Wheeldon, un passato da digital strategist nei social media, con un background doppio in Australia e a Londra, prima di approdare tre anni fa a Milano: «Temi chiave» dice «devono essere il wellness, divenuto cruciale durante la pandemia, e poi il fintech, le automobili, il fashion». Quest'ultimo è il territorio specifico di Aurora Deidda, di ritorno dagli Stati Uniti. Oltreoceano ha lavorato per dieci anni per alcuni tra i più noti brand del lusso e dello sportswear.

Barbara Labate, uno dei nomi più competenti, schietti e solidi nel mondo digital tricolore (già dieci anni fa Panorama la includeva tra le startupper italiane più promettenti), si occuperà invece del versante e-commerce, per tentare di svecchiarlo, smontarne le liturgie. Fare in modo che riempire un carrello non sia la classica noia mortale. «Bisogna andare oltre lo stanco catalogo di immagini e descrizioni, allargare il branded content al momento dell'acquisto finale. Unire emozioni e sensazioni» illustra Labate. Nulla di troppo vago, anzi: chi è intenzionato a comprare un'automobile, potrebbe trovarsi l'opzione gratuita di ricevere a casa un campione del pellame degli interni, per sentirne l'odore. E chissà quante altre porte la tecnologia andrà a spalancare. La sfida e l'ambizione di Epik è proprio qui: ragionare a livello di piattaforme, non solo di media; non sovrapporre l'innovazione e il contenuto, ma trasformare il digitale in un pennello, in uno strumento per dipingere storie dai colori se non ipnotici, perlomeno non tristi e stravisti. Fare «storytelling di marca», riprendendo un felice doppio senso – volutamente sottile – evidenziato da Massimo Costa: l'azienda parla di sé, lasciandosi guidare da chi saprà fornirle gli strumenti giusti per riuscirci.

«Ricordiamoci che il nostro è un tessuto manifatturiero» rimarca Costa «costituito da imprese che fanno cose magnifiche, ma non riescono a comunicarle. Se il piastrellista di provincia ha riempito gli hotel di lusso di Dubai con le sue proposte e i suoi unici interlocutori sono stati gli architetti, è giusto che venga scoperta pure in Qatar oppure altrove, dove potrebbe trovare nuovi clienti e investitori». Affascinandoli, magari con un video dietro le quinte o altri metodi dal giusto ritmo e un'adeguata profondità espressiva, non le solite slide che narcotizzano già al secondo o terzo grafico illeggibile.

MassimoCosta, partner di EPIK

Tra gli altri nomi parte di Epik c'è Domenico Grandi, chiamato a gestire le attività del gruppo e le relazioni con i partner esterni: «Dobbiamo fare una rivoluzione, perciò è necessario uscire anche dalla logica strutturale delle classiche agenzie, che è la stessa da sempre. Abbiamo pensato a un'organizzazione orizzontale» commenta. Organizzazione di cui fa parte Francesca Sottilaro, giornalista specializzata di temi economico-finanziari. Tra i collaboratori, un network che include la società di consulenza Long Term Partners/Occ Strategy, la casa di produzione Indiana production, la digital native agency Caffeina. «Con loro» conclude Costa «racconteremo quello che siamo. Intanto, possiamo già riassumere ciò che non saremo: i soliti consigli per gli acquisti».

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