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'Ndrangheta, i tentacoli della cosca Piromalli sui rifiuti

Le mani e gli affari dei Piromalli sulla costruzione e la gestione del termovalorizzatore di Gioia Tauro, l'unico presente in Calabria.

Non è una novità che l’Ndrangheta riesca ad infiltrarsi nell’apparato dello Stato e a gestire dall’interno il settore dei rifiuti, delle acque e degli impianti di depurazione con appalti e gare truccate, ma è sicuramente la prima volta, che una tra le più potenti cosche calabresi riesce ad “appropriarsi” completamente, dalle fondamenta all’amministrazione, di una struttura di trasformazione dei rifiuti.

Il deus ex machina delle infiltrazioni mafiose nelle attività del termovalorizzatore di Gioia Tauro, compresa la sua realizzazione, è l'avvocato Gioacchino Piromalli, nonché il boss dell’omonima cosca.

Un sistema basato sulle estorsioni

Era lui  che “dettava legge” sulla gestione del termovalorizzatore  attraverso un consolidato sistema di attività estorsive ai danni delle società che, nel tempo, si sono alternate nella gestione la struttura di trasformazione dei rifiuti.  

Era sempre lui, il boss laureato in Giurisprudenza, che aveva deciso che i fanghi tossici e cancerogeni prodotti dal termovalorizzatore venissero trasformati in fertilizzanti destinati al settore agricolo, con conseguente pericolo per la salute pubblica.

Ma le mire espansionistiche del boss Gioacchino Piromalli, già condannato per associazione mafiosa, non si erano limitate al termovalorizzatore. Infatti, aveva deciso di adottare lo stesso modus operandi estorsivo anche lcon la Iam, Iniziative Ambientali Meridionali, società per azioni con sede a Gioia Tauro che opera nel settore della depurazione delle acque.

Dai rifiuti alle acque reflue

I Piromalli, infatti, erano riusciti ad acquisire con le estorsioni persino il controllo della società Iam e a gestire le acque reflue dei comuni di Anoia, Cinquefrondi, Feroleto della Chiesa, Cittanova, Melicucco, Polistena San Giorgio Morgeto, Taurianova, Laureana di Borrello, Galatro, Gioia Tauro, Rosarno, Palmi, San Ferdinando e Rizziconi, per un bacino di utenza di oltre 150 mila persone.

Dunque, acqua e rifiuti. Anche per la ‘ndrina Piromalli, queste due risorse erano diventate strategiche sia come investimento che come riciclaggio di denaro sporco.

L'operazione Metaurus

Ma all'alba di questa mattina con l’operazione "Metauros" della Questura di Reggio Calabria, l’“amministrazione Piromalli” è saltata. Gli agenti della Digos e della Squadra Mobile hanno fatto scattare le manette ai polsi di sette persone affiliate alla cosca, tra cui il boss Giacchino e l’ex sindaco di Villa San Giovanni, Rocco La Valle, in carica dal 2010 al 2015.

Proprio l’ex primo cittadino, avrebbe avuto un ruolo di tutto rilievo: sarebbe stato scelto come l'unico interlocutore delle cosche "beneficiarie" delle estorsioni imposte alle società che hanno gestito nel tempo il termovalorizzatore.

Ma le manette sono scattate anche per l'avvocato Giuseppe Luppino, ex presidente della società "Piana Ambiente" e persino consulente esterno dell'ufficio legale del Commissario straordinario per l'emergenza rifiuti in Calabria.  

Luppino era considerato l'uomo politico di riferimento della cosca Piromalli per gli affari che ruotavano attorno al termovalorizzatore e che faceva attraverso l'impresa dei fratelli Giuseppe, Domenico e Paolo Pisano, anche loro sottoposti a fermo dalla procura di Reggio Calabria. Tra i fermi disposti della Dda calabrese, anche una ispettrice della Polizia di Stato di Firenze, moglie di Paolo Pisano, accusata di rivelazione di segreto d'ufficio e indebito accesso alla banca dati interforze. 

Solamente un anno fa, a luglio 2016, con l'operazione "Reghion", condotta dai carabinieri furono arresati 10 tra boss e affiliati alla ‘ndrangheta e sequestrate 15 società sempre operanti nel settore della depurazione delle acque e di fornitura di servizio idrico integrato.

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