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March 25 2024
L'Italia, celebre per le sue maestose montagne e le rinomate località sciistiche, sta affrontando una crisi senza precedenti nel settore turistico della neve. Il cambiamento climatico ha portato a una diminuzione della copertura nevosa e a un aumento delle temperature, mettendo a dura prova gli impianti sciistici del paese.
Secondo il report "Nevediversa 2024", il numero di impianti temporaneamente chiusi ha registrato un aumento significativo, con 177 strutture inattive in tutta la Penisola. In particolare, 93 impianti operano in modo discontinuo, con la maggior parte concentrata sugli Appennini. Questa tendenza preoccupante è accompagnata da un aumento delle strutture dismesse e degli impianti sottoposti a "accanimento terapeutico", che sopravvivono solo grazie a consistenti finanziamenti pubblici.
In Piemonte, il trimestre appena terminato, secondo i dati Arpa Piemonte, è stato l’inverno più caldo degli ultimi settanta anni con una media regionale di 4.5°C, quasi 3°C in più rispetto alla norma del trentennio di riferimento 1991-2020. Il bollettino di guerra prosegue con i primati raggiunti dallo zero termico, sempre più in alto anche in pieno inverno, con frequenti piogge in quota al posto delle nevicate.
Lo studio, pubblicato nel 2023 sulla rivista “Nature Climate Change” (Recent waning snowpack in the Alps isun precedented in the last six centuries) e ripreso nel contributo di Luca Mercalli e Daniele Cat Berro, ha rivelato che il manto nevoso sulle Alpi non è mai stato effimero come oggi in almeno seicento anni e che nell’ultimo secolo la sua durata si è accorciata in media di un mese a causa di un riscaldamento atmosferico di circa 2 °C. A febbraio, prima della nevicata di inizio marzo, la Fondazione Cima segnalava che il deficit di Snow Water Equivalent nazionale, ovvero la massa equivalente in acqua del manto nevoso accumulato al suolo, era diminuita del 64%: i dati peggiori si sono registrati per gli Appennini, ma la situazione di scarsità di neve ha caratterizzato tutta la penisola e, sulle Alpi (fondamentali anche per l’approvvigionamento idrico del bacino del Po), il deficit era del -63%, paragonabile a quello dello scorso anno.
Meno neve e più caldo, questo è il trend. E le benefiche nevicate di marzo non saranno sufficienti a invertire la tendenza. “La stagione degli sport invernali, così come la conosciamo e continuiamo a immaginarla, non ha futuro. Bisogna prenderne atto. E agire di conseguenza”. A dirlo è Claudio Visentin, storico del turismo, docente Master in International Tourism dell’Università della Svizzera Italiana (USI) di Lugano.
Dal canto suo ANBI, sottolinea come, allo stato attuale, sulle Alpi, sia nell'area occidentale che in quella orientale, la quantità di neve presente è superiore alla media. In Valle d'Aosta, l'indicatore SWE (Snow Water Equivalent) si attesta intorno ai 1300 milioni di metri cubi, un valore notevolmente superiore alla media. In Lombardia, l'SWE supera la media del 26%. Anche in Veneto, la risorsa nevosa è superiore alle medie del periodo; ad inizio mese l'SWE sul bacino del Piave era di 220 milioni di metri cubi, 140 milioni sul Cordevole, 200 milioni sul Brenta. In Liguria, accumuli di neve più significativi sono presenti solo sulle Alpi Marittime, in provincia di Imperia (35 cm a Monesi). Per quanto riguarda l'Appennino, la neve è presente solo ad alta quota nel modenese (fino a 55 cm) ed a Campo Imperatore in Abruzzo (35 cm ma lo scorso anno, alla stessa data, ve ne erano 47 cm). Per il resto, in questo inverno, le cime appenniniche sono state quasi sempre brulle.
Il finanziamento dell'innevamento artificiale rimane una priorità per molte regioni italiane, nonostante il calo della neve naturale e le crescenti preoccupazioni ambientali legate alla pratica. Ad esempio, in Piemonte sono stati stanziati oltre 32 milioni di euro per il biennio 2023-2025, mentre in Emilia-Romagna sono state destinate risorse considerevoli per indennizzare le imprese danneggiate dalla mancanza di neve.
Tuttavia, gli investimenti nell'innevamento artificiale sollevano dubbi sulla sostenibilità a lungo termine e sull'impatto ambientale delle pratiche di innevamento. L'uso intensivo di acqua e energia, insieme alla necessità di costruire nuovi bacini per l'innevamento, comporta una perdita di suolo in territori naturalmente preziosi. Come sottolineato più volte da ANBI, "le nevicate che interessano il territorio italiano diventano potenzialmente inutili nel momento in cui, a causa delle elevate temperature, non esistono bacini in cui far confluire la neve che si scioglie e raccogliere l'acqua per un momento successivo in cui i territori potrebbero trovarsi in difficoltà e abbattere, almeno in parte, il problema impellente della siccità nel nostro Paese".
In risposta a questa crisi, molti esperti e attivisti chiedono un cambiamento di rotta nella gestione del turismo invernale, promuovendo pratiche più sostenibili e un approccio dolce alla montagna. Si invita a superare la dipendenza dall'innevamento artificiale e a lavorare per una riconversione degli impianti, puntando su un turismo invernale che rispetti l'ambiente e le comunità locali. Gli ultimi decenni hanno visto un costante declino della quantità di neve sulle Alpi, accompagnato da un precoce scioglimento del manto nevoso. Questo trend allarmante è stato ampiamente documentato dagli studi scientifici, che indicano una tendenza destinata a peggiorare nel corso degli anni a venire. Tuttavia, nonostante queste evidenze, una significativa parte dell'industria della neve continua a investire massicciamente in impianti di risalita, neve artificiale e bacini di accumulo, spesso facendo ricorso a risorse economiche pubbliche.
Ma perché questa persistente tendenza a investire in un settore minato dalla crisi climatica? Qual è il pensiero dei principali attori dell'industria dello sci riguardo all'economia, alla crescita e alle misure di adattamento al cambiamento climatico?
Uno studio condotto dall'Università di Vienna, pubblicato recentemente sulla rivista New Political Economy, ha cercato di rispondere a queste domande intervistando 22 protagonisti dell'industria sciistica in una parte delle Alpi strettamente legata alla pratica dello sci, sul versante austriaco. Secondo questo studio, l'industria della neve sembra concentrarsi più sulla percezione sociale legata alla crescita economica piuttosto che affrontare direttamente la crisi climatica. Per molti operatori, il cambiamento climatico rappresenta più un rischio di transizione che non un rischio fisico immediato. Questa distinzione riflette il modo in cui la Banca Centrale Europea valuta i rischi climatici per il sistema bancario dell'UE: il rischio fisico deriva dagli eventi climatici estremi, mentre il rischio di transizione è legato alle politiche volte a ridurre le emissioni di gas serra.
Secondo lo studio, l'industria dello sci sembra considerare la pressione dei consumatori come il principale driver dell'attuale situazione. Se il cambiamento climatico fosse percepito come un rischio fisico, ciò richiederebbe un adattamento e una mitigazione immediata. Tuttavia, l'atteggiamento prevalente sembra orientato a mantenere lo status quo, puntando sull'incremento degli investimenti e sulla produzione di neve artificiale per continuare a sfruttare le risorse montane.
Questo approccio, sebbene possa garantire una sopravvivenza temporanea del settore, manca di una visione a lungo termine e di una comprensione approfondita della crisi climatica. Gli attori dell'industria della neve sembrano essere intrappolati in una logica che separa il cambiamento climatico dalla necessità di mantenere la crescita economica, rifugiandosi in strategie di legittimazione che valutano solo i costi economici immediati e trascurano gli impatti a lungo termine sulle comunità locali e regionali.
I numeri del turismo sulla neve in questo 2024 parlano chiaro con aspettative altissime e sold out quasi ovunque per la "neve in ritardo" che dovrebbe arrivare nel fine settimana di Pasqua. Le importanti nevicate previste sul nostro Paese da una nuova perturbazione dovrebbero imbiancare le montagne italiane per la gioia di sciatori e lavoratori nel settore.