News
March 26 2018
Nel marzo 2011 in piena rivolta targata primavera araba, alla vigilia dei bombardamenti della Nato, incontrai Muammar Gheddafi sotto la famosa tenda verde da beduino nel centro di Bab al Azizya, la sua roccaforte a Tripoli. L'ultima intervista concessa a un giornalista italiano prima della sua tragica fine pochi mesi dopo. Alla domanda su cosa pensasse del presidente francese Nicolas Sarkozy, che scalpitava per bombardare Tripoli, rispose secco e provocatorio: "Ha un problema di disordine mentale". E per ribadire il concetto cominciò a battere il dito indice sulla tempia, come si fa per indicare un picchiatello.
Quattro giorni dopo i caccia francesi iniziarono a bombardare, senza neanche aspettare il via libera dell'Onu, trascinando anche l'Italia, malvolentieri, in guerra. Sul primo momento catalogai il gesto del picchiatello di Gheddafi come una delle sue solite stravaganze. Invece molto probabilmente pensava che Sarkozy fosse un pazzo a volerlo attaccare. Se le accuse si dimostrassero fondate, si capisce perché Gheddafi considerava il presidente francese in debito con lui. E oggi verrebbe da chiedersi: i segreti inconfessabili sui fondi libici hanno spinto il capo di stato francese a cavalcare l'azzardo della primavera araba per far fuori un testimone scomodo?
Il fermo e l'interrogatorio a Parigi di Sarkozy sui milioni di euro che avrebbe ricevuto dal colonnello per la sua vittoriosa scalata all'Eliseo nel 2007 potrebbe scoperchiare questo innominabile vaso di Pandora. Fino a condanna definitiva è giusto rimanere garantisti in nome della presunzione d'innocenza, ma se la magistratura francese, che porta avanti l'inchiesta dal 2013, avesse prove inoppugnabili andrebbe riscritta la storia della guerra in Libia.
L'allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, venne tirato per la giacchetta in una guerra che non voleva. Attori pesanti come il capo dello Stato Giorgio Napolitano e interventisti della prima ora costrinsero il premier a bombardare controvoglia il colonnello. Se lo scalpitare francese riguardava anche gli interessi personali di Sarkozy il quadro sarebbe anche ancora più grave. Soprattutto tenendo conto che la caduta del regime di Gheddafi ha provocato il caos in Libia.
Ancora oggi, sette anni dopo, non possiamo che elencare gli stessi disastri evocati dal colonello nella sua ultima intervista. Dal punto di vista dei nostri interessi nazionali, abbiamo perso il Bengodi energetico libico e ci siamo ritrovati con le bandiere nere del Califfato sul Mediterraneo. Per non parlare della bomba umana dei migranti e della Libia condannata a una deriva somala in mano a mille milizie e governi contrapposti.
La pista dei soldi libici a Sarkozy è costellata di morti eccellenti e testimonianze clamorose, finora rimaste in sordina. Seif el Islam, il figlio prediletto di Gheddafi tornato in libertà, era stato il primo a parlare dei fondi per la campagna elettorale di Sarkozy. Ex capi dell'intelligence libica come Abdallah Senoussi, in carcere a Tripoli, e primi ministri decaduti hanno confermato.
E su questa sporca vicenda aleggiano i dubbi sulla fine di Gheddafi. I caccia francesi colpirono la sua colonna in fuga dall'ultima ridotta di Sirte. I ribelli volevano tenere in vita il prigioniero eccellente per esibirlo come un trofeo. Una manina, mai identificata con certezza ma che non si esclude fosse un agente infiltrato della Francia, gli ha sparato il colpo di grazia chiudendogli la bocca per sempre. Se così fosse, il colonnello sta servendo la sua vendetta postuma.
(Articolo pubblicato sul n° 14 di Panorama in edicola dal 22 marzo 2018 con il titolo di "Quelle bombe sui milioni di Gheddafi")