Politica
March 03 2024
In via Giulia a Roma, nel suo ufficio, un tenente della Guardia di finanza, aveva deciso di fare le pulci a decine di politici soprattutto di centro-destra. Un profiler seriale di presunti mariuoli.
Chi conosce Pasquale Striano lo descrive come dedito al lavoro in modo quasi ossessivo, un cacciatore di mafiosi come non ce ne sono quasi più. Tanto che i direttori dell’Antimafia si affidavano a lui come a un rabdomante di cosche. Ma poi deve essere successo qualcosa. Forse la frequentazione dei cronisti antimafia dal ciglio perennemente imbronciato potrebbe averlo convinto a trasformarsi in una sorta di vendicatore dell’Italia migliore, quella che schifa tutto ciò che non è di sinistra. I perenni allarmi mediatici sui rischi di infiltrazioni della criminalità organizzata nell’area conservatrice, devono averlo reso sensibile alle lusinghe dei «segugi» del giornalismo progressista. In particolare di quelli del Domani, giornale fondato da Carlo De Benedetti, i quali hanno trasformato in inchieste giornalistiche le ricerche dell’investigatore nelle banche dati dell’Antimafia, da quelle delle segnalazioni di operazioni sospette a quelle di Serpico, legate all’Agenzia delle entrate.
Una simbiosi che è stata fotografata dall’inchiesta di Perugia secondo cui non ci troveremmo di fronte a giornalisti che chiedevano carte d’indagine a un investigatore, ma a un investigatore che si sarebbe messo a lavorare per i cronisti, pur senza chiedere mai denaro o altre utilità in cambio dei suoi servigi. Al punto da consegnare ai superiori atti di impulso o dossier preinvestigativi compilati su file creati dai giornalisti del Domani, come risulta dalle investigazioni. Nell’autunno del 2022 Striano ha indagato sulla supposta impresentabilità di alcuni soci del ministro della Difesa Guido Crosetto e sulle dichiarazioni dei redditi dello stesso. Dopo poco il quotidiano di Cdb ha pubblicato alcuni puntuti articoli e il fondatore di Fratelli d’Italia ha sporto denuncia. Il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, chiamato in causa per il coinvolgimento di un magistrato negli accessi abusivi, ha iniziato le indagini e in pochi mesi ha scardinato il sistema. Arrivando a iscrivere sul registro degli indagati 16 persone, tra cui cinque giornalisti, una toga dell’Antimafia e alcuni personaggi minori.
I reati contestati a vario titolo sono quattro: accesso abusivo a sistema informatico, rivelazione di segreto, falso e abuso d’ufficio. Alla fine gli accessi effettuati non per ragioni d’ufficio sarebbero ben più di 800 e i capi di imputazione contestati sono in tutto una quarantina. Striano ha dovuto lasciare il suo ufficio e il sostituto procuratore Antonio Laudati ha perso la guida del servizio Sos della Dna. Sono stati iscritti sul registro degli indagati per accesso abusivo e rivelazione di segreto anche tre giornalisti del Domani, Giovanni Tizian, Stefano Vergine e Nello Trocchia, i primi due cacciatori di leghisti in servizio permanente effettivo, dalla storia della presunta truffa sui rimborsi elettorali da 49 milioni alla vicenda del Metropol.
Nelle carte emerge come soprattutto Tizian abbia ricevuto centinaia di file riservati da Striano, a partire, addirittura dal 2014. La Procura di Perugia ha contestato a entrambi il reato più grave (l’ingresso abusivo nei database, pene da 3 a 8 anni) per una settantina di accessi «on demand» (ma i file visionati sono molti di più), la rivelazione di segreto (da sei mesi a tre anni) per i 337 file trasferiti al cronista, sempre su richiesta di quest’ultimo, di cui è rimasta traccia. Il direttore del Domani Emiliano Fittipaldi, già processato e assolto per Vatileaks e beneficiario in passato di altre rivelazioni, in questo caso ha lasciato fare il «lavoro sporco» allo stakanovista Tizian, il collettore delle presunte informazioni top secret, per poi firmare gli articoli a quattro mani. Ieri Fittipaldi ha scritto: «Mai era accaduto che fosse indagato l’intero pool d’inchiesta di uno dei pochi giornali d’opposizione del paese». Ma a mettere sotto indagine il suo team è stato un magistrato progressista, di cui per anni ha cantato le gesta. Adesso che quel magistrato fa il proprio dovere anche con i suoi giornalisti, diventa improvvisamente un nemico della libera informazione. Tanto da far strillare al direttore: «Dare notizie di rilievo su politici, aziende di Stato e criminali è diventato un lavoro a rischio. Ma promettiamo ai nostri lettori, unici nostri padroni, di continuare a farlo».
Ma questo «giornalismo investigativo», difeso dalla maggior parte dei colleghi e dalle associazioni di categoria solo quando pende a sinistra, sembra piuttosto strabico. Sfogliando le imputazioni della Procura scopriamo che questi campioni della libertà di stampa hanno investigato praticamente a senso unico.
È vero che molte ricerche sui politici sono contestate solo a Striano, ma è difficile credere che l’ufficiale le facesse per il proprio uzzolo. A volte, è la difesa dell’ufficiale, la richiesta sarebbe arrivata dai suoi superiori, come in occasione di un appunto su Matteo Renzi o su alcuni soggetti considerati vicini a Silvio Berlusconi, ma negli altri casi si tratterebbe di ricerche apparentemente non giustificate da ragioni d’ufficio.
Alla fine negli accessi considerati illeciti dalla Procura sono entrati in pompa magna, per l’area leghista, la più colpita, ministri come Giuseppe Valditara, viceministri come Federico Freni, senatori come Claudio Borghi, Claudio Durigon, Massimo Garavaglia, deputati come Giulio Centemero, europarlamentari come Susanna Ceccardi ed Erika Stefani. Nel mirino pure l’inner circle di Matteo Salvini, da Gianluca Savoini all’intera famiglia Verdini.
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