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May 04 2018
Il controllo degli arsenali nucleari è diventato più difficile che mai. L'idea che con le armi atomiche si potesse contare su una maggiore sicurezza si è rivelata un'illusione, come testimoniano i casi della Corea del Nord e dell'Iran, e ora è in atto un tentativo di denuclearizzazione. Ma mentre con Pyongyang si intravvedono spiragli, in Medio Oriente la situazione è molto più complicata, senza contare il "caso India", che potrebbe disporre di ben 120 ordigni nucleari.
Nel 2017 sono stati spesi complessivamente 1.739 miliardi di dollari in armi, l'1% in più rispetto all'anno prima. Il budget maggiore spetta agli Stati Uniti, che anche nel 2018 vogliono modernizzare il proprio arsenale atomico. Secondo i dati dell'Istituto internazionale di Stoccolma per le ricerche sulla pace, a seguire si trova la Cina, passata dal 5,8 al 13% della spesa complessiva mondiale e che sta realizzando soprattutto nuovi missili nucleari intercontinentali.
L'Arabia Saudita, impegnata militarmente in modo massiccio contro lo Yemen, ha investito quasi 70 miliardi di dollari in armi ed è seguita dall'India. In calo, invece, le spese della Russia, che però ha puntato ad ammodernare il proprio arsenale nucleare, oltre che le armi convenzionali e quelle cyber. In Europa sono Francia e Svezia (neutrale) ad aver investito di più, insieme a Germania e Regno Unito.
Nell'elenco dei Paesi extra Ue che hanno messo a bilancio ingenti capitali in arsenali si trovano poi anche Israele (19,6 miliardi) e Iran (14,9), entrambi al centro di venti di guerra in queste settimane, proprio a causa del nucleare.
In attesa dell'incontro tra il presidente statunitense Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un, la situazione decisamente migliorata. Sono lontani i tempi delle minacce nucleari tra chi faceva a gara ad avere "il bottone più grosso". Pyongyang sembrerebbe decisa a mantenere l'impegno di fermare l'attività missilistica e a denuclearizzare, ma il problema è ora "come" farlo.
Davvero Kim Jong-un sarebbe disposto a rinunciare al proprio arsenale, che gli ha permesso di ottenere attenzioni (e credibilità) nel mondo? Realmente potrebbe dare ordine di smantellare arsenali realizzati a caro prezzo, affamando la propria popolazione e sfidando la comunità internazionale?
Gli osservatori nutrono forti dubbi. La considerazione diffusa è che i leader del mondo siano stati finora troppo imprudenti nel non fermare la proliferazione delle armi nucleari.
Il pensiero va all'Iran, con l'imminente scadenza dell'accordo sul nucleare. Il presidente statunitense Trump sembra sempre piùtentato di uscire dal documento firmato nel 2015 insieme a Cina, Francia, Germania, Russia, Gran Bretagna e fortemente voluto dal suo predecessore, Obama. Ma le conseguenze potrebbero essere disastrose, tanto che il segretario generale dell'Onu, Guterres, ha parlato di "ipotesi guerra".
L'Iran aveva acconsentito a frenare lo sviluppo del proprio programma atomico in cambio di un ammorbidimento sul fronte delle sanzioni. Se Washington abbandonasse l'intesa, Teheran potrebbe "vendicarsi" danneggiando gli interessi americani e degli alleati in Medio Oriente, in particolare sui fronti di Iraq, Siria, Libano e Yemen, oltre che con l'abbandono del Trattato di Non Proliferazione (NPT), che prevede lo stop alla diffusione di armi nucleari. Nonostante l'Ayatollah Khamenei abbia dichiarato che il suo Paese non è interessato allo sviluppo di armi atomiche, l'uscita dall'NPT suonerebbe come un campanello d'allarme. "Sarebbe sicuramente disastroso" ha commentato Ali Alfoneh, membro del Consiglio Atlantico.
Ma se anche non si ritirasse dal Trattato di Non Proliferazione, l'Iran potrebbe intensificare l'attività di arricchimento dell'uranio, fortemente limitata dagli accordi del 2015 perché potrebbe essere usata per produrre materiale per bombe atomiche. L'intesa in vigore fissa nel 3,6% i livelli massimi consentiti (rispetto al 20% del periodo precedente il 2015). Questo perché si ritiene che il 5% sia il valore normalmente richiesto per attività civili.
Secondo la Reuters, che cita il capo della Iran's Atomic Energy Organization, Ali Akbar Salehi,l'Iran è già ora in grado di arricchire l'uranio fino a livelli persino superiori rispetto al periodo precedente agli accordi sul nucleare. Dunque Teheran sarebbe pronta a una contromossa, a seconda della reazione degli altri firmatari, in caso di abbandono dell'accordo da parte degli Usa.
L'Iran potrebbe decidere di "vendicarsi" nei confronti degli Usa, cambiando le proprie strategie nei paesi mediorientali, a partire dall'Iraq, dove sostiene i miliziani sciiti che sono raggruppati sotto il nome di Popular Mobilization Forces (PMF). Teheran potrebbe incoraggiarli a organizzare azioni di propaganda o militari per far sì che gli Stati Uniti lascino il Paese.
Lo stesso vale per la Siria dove, secondo Israele, l'Iran conterebbe su 80.000 combattenti sciiti. Se il Libano resta un fronte caldo, anche in Yemen si sta consumando uno scontro diretto tra le forze sciite, sostenuta dall'Iran, e quelle sunnite appoggiate dall'Arabia Saudita (e dagli Usa).
Le attenzioni sono rivolte anche e soprattutto alle intenzioni degli altri firmatari dell'accordo. Francia, Germania e Gran Bretagna potrebbero continuare a mantenere scambi commerciali con l'Iran, sotto lo "scudo" di un accordo internazionale ratificato dall'ONU. Fondamentale anche il ruolo diplomatico della Russia, che in Siria è al fianco dell'Iran. La Cina, poi, è già legata a Teheran nel suo programma di investimenti e scambi commerciali in Medio Oriente.
Si tratta dunque di un test importante per capire fino a che punto l'amministrazione Trump sia decisa a reintrodurre sanzioni che potrebbero portare eventuali trasgressori fuori dal sistema bancario statunitense.
Corea e Iran non sono le uniche potenze che detengono armi nucleari. Tra quelle che rappresentano fonte di maggiori preoccupazioni c'è l'India, lo Stato democratico più popoloso al mondo, con 1 miliardo e 300 milioni di abitanti e un arsenale atomico di oltre 100 ordigni, tra terra, aria e mare. Il programma nucleare indiano è partito nel 1948, un anno dopo la proclamazione di indipendenza, con la creazione di un'apposita Commissione per l'Energia Atomica. Naturalmente povero di uranio, il Paese ha puntato al plutonio, realizzando il primo reattore con l'aiuto del Regno Unito.
Inizialmente l'India non puntava a dotarsi di armi atomiche: come stato "non allineato", è rimasto a lungo a osservare la corsa al nucleare di Usa e Urss. E' stato, però, con la guerra con la Cina nel 1962 che le cose sono cambiate. Nonostante sia firmataria della No Firt Use policy, che impegna a non usare per primi le armi atomiche, il suo potenziale rappresenta un elemento di instabilità.
Oggi l'India può contare su un deposito di 520 kg di plutonio, sufficienti a realizzare "tra 100 e 120 dispositivi nucleari", secondo la Arms Control Association. New Delhi lo considera il "minimo deterrente" nei confronti dei vicini come Cina e Pakistan.
La Cina, che mira a superare il primato militare al momento detenuto dagli Usa, disporrebbe di materiale per realizzare tra 200 e 250 bombe atomiche, mentre il Pakistan conterebbe su un potenziale di 110-130 ordigni. A questi Paesi vanno poi aggiunti Israele, Russia e Paesi europei che, sebbene non siano intenzionati a ricorrere al nucleare, non hanno alcuna intenzione di disfarsene, in chiave di deterrenza e difesa preventiva.