nucleare
(Getty Images)

Ci serve il nucleare per non dipendere dagli altri paesi (spesso poco democratici)

Nella giornata di ieri l'Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec), insieme alla Russia e ad altri produttori, ha annunciato che ridurrà gli obiettivi di produzione di due milioni di barili al giorno, un'azione che potrebbe aiutare Mosca a pagare la sua guerra con l'Ucraina, perché venderebbe il greggio a un prezzo superiore, e al tempo stesso danneggerà tutto l'occidente facendo aumentare il costo dei carburanti. Niente di nuovo, si potrebbe dire, ma un'ulteriore prova che a livello energetico occorre una politica nazionale differente, che non si illuda di poter contare sull'inesistente unità europea e al tempo stesso ci traghetti rapidamente verso un futuro di indipendenza. L'Opec ha affermato che il taglio della produzione, da 43,8 milioni di barili al giorno a 41,8 milioni, entrerà in vigore a novembre, ed è la prima volta che l'organizzazione annuncia una riduzione dal marzo 2020, sebbene quest'anno la coalizione sia stata sotto il suo obiettivo di 3 milioni di barili al giorno. I produttori di petrolio sperano di frenare il calo dei prezzi mondiali del greggio, che è salito oltre i 100 dollari al barile all'inizio dell'anno ma era sceso del 32% negli ultimi quattro mesi prima di aumentare a più di 93 dollari nella sola giornata di ieri. Non a caso il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan e il direttore del Consiglio economico nazionale Usa, Brian Deese, hanno dichiarato insieme che “tagliare le quote di produzione mentre l'economia globale sta affrontando il continuo impatto negativo dell'invasione russa, in un momento in cui mantenere una fornitura globale di energia è di fondamentale importanza, produrrà l'impatto più negativo sui paesi a basso e medio reddito che stanno già vacillando per i prezzi elevati dell'energia”.

Purtroppo qui ci sentiamo chiamati in causa ed è facile collegare questo avvenimento con la necessitò di riavviare rapidamente la costruzione di nuove centrali energetiche, nucleare compreso. Difficile invece è realizzarle, anche perché seppure nel novembre 1987, data del primo celebre referendum antinucleare, fossimo il terzo stato al mondo per produzione di energia dall'atomo, la chiusura delle quattro centrali allora esistenti (Latina, Garigliano di Sessa Aurunca, Trino e Caorso), e l'abbandono al 70% della costruzione di quella di Alto Lazio, sono irreversibili. Sommando le potenze elettriche prodotte allora da tutte le centrali, oggi avremmo a disposizione 3500 megawattora, pari soltanto a circa il 10% di quanto occorre in Italia (fonte Terna). Ma sarebbe energia nostra, ovvero prodotta nelle vicinanze di chi la deve consumare, a basso costo, pulita e soprattutto indipendente da fonti energetiche offerte da democrazie traballanti o fasulle.

Tolti gli Stati Uniti, che conservano il primato mondiale – ma la loro produzione interna non è sufficiente a soddisfare i consumi nazionali – a produrre troviamo Russia, Arabia Saudita, Iraq, Iran e Cina. Questa considerazione in un Paese normale sarebbe già sufficiente per rivedere le decisioni prese nei referendum del 1987 e del 2011, ripartendo dal disegno di legge 1441Ter presentato dal governo Berlusconi il 5 agosto 2008, nella quale si prevedeva “il riassetto delle normative recanti i criteri per la disciplina di localizzazione di impianti di produzione di energia elettrica nucleare”.

Le previsioni nazionali per il 2050, calcolate lo scorso anno e presentate alla conferenza di Parigi, prevedono che in quell'anno serviranno 700 Terawattora (Twh) di energia, quasi il doppio rispetto a oggi. Una potenza tale che, in uno scenario di produzione bilanciata (con almeno il 25% derivante dall'atomo) per essere prodotta necessiterebbe di quasi una decina piccole centrali nucleari con reattori sicuri di terza generazione. Ma la pancia degli italiani è ancora sottosopra dopo gli eventi di Chernobyl e Fukushima anche se in Italia non sarebbero mai potuti accadere. Siamo un popolo che non si fa problemi ad affidare la propria vita a un solo conducente di un treno, o a transitare sotto ponti in condizioni pessime, ma non si fida a far gestire una centrale nucleare da una squadra di tecnici specializzati. Abbiamo perso il treno e seppure nel mondo partecipiamo ai più importanti progetti internazionali in fatto di nuovi reattori e di fusione, a casa nostra non vogliamo vedere la realtà. Ma una buona notizia c'è: fa ben sperare l'accordo firmato tra Westinghouse e Ansaldo Nucleare per gli Lfr (Lead-cooled Fast Reactors), reattori realizati con una tecnologia tra le più interessanti oggi disponibili. Piccoli reattori modulari, raffreddati a piombo fuso, che utilizzano le “scorie” come combustibile e che oltre a generare elettricità possono contemporaneamente produrre idrogeno senza emissione di anidride carbonica né costi aggiuntivi. Ansaldo Nucleare, partecipata al 100% da Ansaldo Energia, continua la collaborazione con Westinghouse Electric per lo sviluppo di reattori veloci al piombo (Lfr, appunto). Roberto Adinolfi, Presidente di Ansaldo Nucleare, ha dichiarato: “Condividiamo con Westinghouse una visione comune. Ansaldo ha fortemente creduto e investito nella tecnologia Lfr dall'inizio del secolo e siamo ansiosi di iniziare un altro viaggio di collaborazione con Westinghouse verso la sua realizzazione. Rita Baranwal, direttore tecnico di Westinghouse, ha commentato: “Il lavoro congiunto che abbiamo già svolto servirà da trampolino per accelerare lo sviluppo della tecnologia Lfr, stiamo sviluppando una centrale nucleare economicamente competitiva, versatile e sostenibile che sarà utilizzata per soddisfare le esigenze di diverse comunità e mercati energetici in evoluzione, tra cui il teleriscaldamento, la generazione di idrogeno e la desalinizzazione dell'acqua”.

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