La confusione europea sul nucleare

Il nucleare sbarca a Bruxelles. Oggi i leader europei si riuniscono per discutere del ruolo dell’atomo, sempre più fondamentale nella sfida alla decarbonizzazione e al raggiungimento delle zero emissioni. L’incontro arriva dopo la decisione presa alla COP28 di triplicare la capacità nucleare mondiale entro il 2050. “Nell’Unione ci sono opinioni diverse sull'energia dell'atomo, ma le tecnologie nucleari possono svolgere un ruolo importante nella transizione verso l'energia pulita", ha dichiarato a inizio vertice Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea.

L’ultimo rapporto Eurostat ci dice che il 21,8% della produzione di elettricità nei Paesi comunitari è stata prodotta nel 2022 con le centrali nucleari presenti nell’Unione. Un dato in diminuzione rispetto al 2021, ma un calo dovuto soprattutto alla manutenzione e riparazioni dei reattori della Francia, primo produttore di energia nucleare in Europa. A incidere anche la chiusura di tre reattori tedeschi e di uno in Belgio. In Europa si contano 103 reattori operativi in tredici Stati membri su ventisette. I primi quattro produttori europei sono Francia, Spagna, Svezia e Belgio e da soli rappresentano il 73,7% della quantità di energia nucleare prodotta. Nel 2023 c’è stato un lieve aumento di produzione in Francia e crescite significative in Paesi che non erano considerati grandi produttori: Paesi Bassi +19,8%, Repubblica Ceca + 19,1%, Ungheria +17.5% e Finlandia + 10,6%.

La situazione ad oggi. La Francia, che guida la classifica, sta incrementando la scelta nucleare dopo gli anni di calo e attendismo. Abbandonato, con una legge, l’obiettivo di ridurre dal 60/70% al 50% la quota di nucleare nel mix energetico Parigi dovrebbe rendere attivo entro il 2024 il suo reattore nucleare di terza generazione, Epr. E il governo ha parlato di 6/8 nuovi reattori da mettere in lavorazione nei prossimi anni. La Francia produce quasi la metà dell’energia nucleare totale dell’Unione Europea (intorno al 48%) e per il fabbisogno di energia generata fa affidamento al 62,8% sull’atomo con 19 impianti e 56 reattori.

La Spagna è il secondo produttore: rappresenta il 9,6% nell’Unione e con il nucleare copre il 20% del suo fabbisogno nazionale. Ma ha intrapreso una strada diversa: chiuderà entro il 2035 le cinque centrali nucleari attualmente attive per sostituirle con fonti rinnovabili. Ci sono poi la Svezia che produce l’8,5% del nucleare europeo con sei reattori e altri due in costruzione entro il 2035 e il Belgio che rappresenta il 7,2% nell’Unione con cinque reattori attivi e ha investito 100 milioni di euro nella ricerca sui piccoli reattori modulari. La Slovacchia con cinque centrali produce così il 60,2% dell’energia generata.

Ci sono diversi Paesi al lavoro per aumentare il nucleare. In Olanda l’unico reattore in azione avrà altri due colleghi entro il 2035. In Slovenia un referendum in autunno deciderà le sorti di un secondo reattore da installare nella centrale nucleare di Krško che ora produce un terzo dell’energia elettrica del Paese. In Ungheria si lavora su due nuovi reattori da aggiungere ai quattro già operativi.

E c’è poi chi, come la Germania, sta lasciando l’atomo. Lo scorso aprile sono stati spenti gli ultimi tre reattori nucleare in funzione nel Paese. E l’Italia? È stata pioniera del nucleare con quattro centrali (Trino, Caorso, Sessa Auruna e Latina), chiuse dopo il referendum del 1987. Oggi si torna però a parlare di nucleare. Il ministro dell’ambiente Pichetto ha lanciato la Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile e sul tavolo delle discussioni ci sono in particolare gli small modular reactor per centrare l’obiettivo di un futuro libero dai carburanti fossili entro il 2050.

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