Tecnologia
September 04 2023
Le parole che Matteo Salvini ha pronunciato al Forum Ambrosetti di Cernobbio a proposito delle intenzioni del governo sull’energia nucleare stanno scatenando reazioni d’ogni tipo: dai soliti ecologisti cari alla sinistra secondo i quali i reattori di quarta generazione non esisterebbero ancora, fino a chi grida al ribaltone perché considera sacro il referendum del novembre 1987. "Siamo tra i pochi Paesi al mondo ad aver detto no, ma io ritengo che l'Italia debba, entro quest'anno, riavviare la propria partecipazione al nucleare, poiché l’Italia non si può chiamare fuori” ha detto il ministro “conto che entro il 2023 questo governo abbia la forza di spiegare agli italiani perché, nel nome della neutralità tecnologica, non possiamo dire di no a nessuna fonte energetica”. Speriamo che altre parole, quelle del premier Giorgia Meloni a Monza “Dobbiamo correre di più” siano applicate proprio al futuro della politica energetica, con il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica dell'Italia Gilberto Pichetto Fratin che si augura: “Se ben abbiamo lavorato, confido che ci saranno altri cinque anni successivi a questo governo e che la prima produzione di nucleare potrà essere inaugurata da questo governo”.
Di certo per ora c’è che il 21 settembre prossimo istituzioni e imprese si riuniranno in occasione del primo incontro della “Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile”, un evento che sulla carta dovrebbe quantomeno rappresentare l’impegno del governo nell’intraprendere una lunga e complessa marcia per tornare a produrre energia dall’atomo. Certo, per i reattori di quarta generazione ci vorrà tempo, ma se in patria l’Italia si è fermata alla seconda metà degli anni Ottanta, quando a progetti internazionali stiamo partecipando alla corsa verso la fusione nucleare come alla costruzione di nuovi componenti e reattori di nuova generazione, come quelli piccoli e modulari. Nell’intento del governo la “Piattaforma” sarà quindi il punto di incontro tra tutte le realtà che si occuperanno di nucleare, dalla progettazione delle future centrali fino allo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Anche perché le competenze sul nucleare nostrano sono suddivise tra molti (troppi) organismi, ovvero Isin, Ispra, Enea, Sogin, Rse, le cui comunicazioni e procedure diventano lente e farraginose. Vediamo perché: a coordinare i lavori della Piattaforma sarà direttamente il ministero diretto da Pichetto Fratin coadiuvato dall’Rse spa, società fondata nel 2005 come Ricerca sul Sistema Energetico, controllata dal Gestore dei servizi energetici con lo scopo di sviluppare attività di ricerca nel settore elettro-energetico, e naturalmente con l’ex Ente nazionale per l’energia atomica (Enea) che oggi si chiama “Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile”.
Il lavoro è immane: innanzi tutto sarà necessario verificare quanto fatto da Sogin, la società che si dovrebbe occupare dello smantellamento delle vecchie centrali e dello smaltimento delle nostre vecchie scorie, magari rivedendone i compiti e i costi. Poc prima della pausa estiva è stato nominato il nuovo Cda, oggi guidato dal presidente Carlo Massagli e composto dai consiglieri, Gian Luca Artizzu (Ad), Barbara Bortolussi, Fiammetta Modena e Jacopo Vignati. Purtroppo, il nostro nuovo nucleare parte condizionato non soltanto dai tanti dubbi di molti italiani, specialmente di quelli che votarono lo stop quasi quarant’anni fa, ma anche perché ancora non sappiamo dove sorgerà il deposito nazionale delle scorie radioattive. Soltanto qualche giorno fa l’Isin (Ispettorato per la sicurezza nucleare), ha comunicato che l’avanzamento dell’iter di approvazione della Cnai, la carta delle aree idonee a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi – luogo che ci serve perché quelli esistenti (ben 22) sono pieni, perché usiamo anche nucleare per medicina, e infine perché il ritorno del nucleare è necessario per la sovranità energetica - , costituisce “un sostanziale cambio d’orizzonte’” per la soluzione del problema, ma “si deve tuttavia riconoscere che permane ancora l’incertezza sui tempi di realizzazione e su quanto tempo e quali investimenti pubblici saranno necessari per gli interventi d’adeguamento delle strutture provvisorie e per la realizzazione di nuovi depositi temporanei”.
Il deposito dovrà ospitare almeno 90.000 metri cubi di scorie e sarà giocoforza localizzato nella Cnapi, ovvero la carta delle aree potenzialmente idonee approvata lo scorso anno, che ha individuato 65 luoghi le cui comunità locali hanno già reagito con un no secco. Così la carta continuava a viaggiare dall’Isin alla Sogin fino a quando alla fine di luglio, con la Sogin commissariata e in attesa di nuovo Cda, è arrivata sulla scrivania di Pichetto Fratin, il quale non è ottimista come il suo predecessore Roberto Cingolani, che contava di chiudere la pratica entro la fine del 2023. Ma che conta di procedere accettando auto-candidature dai comuni che vorranno diventare sede dei depositi. Una procedura che però allungherebbe i tempi, stante la necessità di verificare le caratteristiche geologiche e non soltanto, a cura dell’Ispra, che dovrà eseguire la cosiddetta valutazione ambientale strategica (Vas). Intanto il tempo passa e rimane ancora aperta la questione del deposito Avogadro di Saluggia, alla confluenza tra Po e Dora Baltea, dove le piscine che ospitano il materiale irraggiato (13 tonnellate) risalgono agli anni Sessanta. Insomma, in Italia il nucleare che funziona non l’abbiamo, ma ci sono troppi enti che se ne occupano e che, ovviamente, costano ai contribuenti. Ecco, forse il governo Meloni dovrebbe innanzi tutto mettere ordine, e speriamo che questo nuovo ente chiamato “Piattaforma” serva almeno a questo.