Tecnologia
January 24 2023
Presidente Minopoli, dovremo realizzare nuove centrali, come?
«L’energia nucleare è caratterizzata da un percorso che porta a impianti innovativi: oggi ci sono le centrali dilarga potenza di terza generazione attualmente in costruzione nel mondo, gli Smr (piccoli reattori modulari) saranno pronti già alla fine di questo decennio; alla quarta generazione entro la fine del prossimo, e infine alla fusione nucleare intorno al 2040. Sono impianti caratterizzati da un impressionante fattore di durata, dai 60 anni delle centrali di oggi ai 100 di quelli futuri. E saranno versatili. Negli attuali, ma soprattutto nei futuri reattori modulari e di quarta generazione, gli usi elettrici saranno accompagnati da altri, altrettanto e in alcuni casi persino preponderanti: la generazione di idrogeno, gli usi industriali del calore, la cogenerazione termica, la propulsione navale e spaziale, la realizzazione di un ciclo chiuso dei propri rifiuti, i reattori “breeder” che consumeranno i rifiuti come nuovo combustibile. Infine, il crescente uso delle tecnologie nucleari nella produzione di macchine per la medicina, di diagnosi e cura delle malattie».
Come può fare l’Italia a rientrare in questo percorso?
«Anche se non possediamo centrali attive ne facciamo largo uso attraverso l’importazione (14% del nostro fabbisogno elettrico). Siamo quindi vitalmente interessati all’orientamento europeo affermato nel RePowerEu, di “aumentare, nei prossimi 5-10 anni di 44 terawattora la produzione di energia nucleare”. Nei 27 paesi dell’Unione, tra impianti in costruzione, decisi e programmati, si contano 29 centrali aggiuntive. Noi plaudiamo alla proposta della Federacciai, che vuole inserire l’Italia in questo orientamento del RePower Eucon l’ipotesi che utilizzatori italiani possano entrare nel capitale di nuove centrali europee a partire da quelle ai nostri confini, per importare elettricità a prezzi stabili e per lunghissimi periodi. Non possiamo più nascondere il costo che abbiamo pagato, 35 anni fa, per la scellerata decisione presa solo da noi nel mondo dopo l’incidente di Chernobyl, di azzerare la nostra produzione di energia nucleare. Da quel momento iniziò il pericoloso affidamento alle fonti fossili; importazione che ci ha consegnato il sistema energetico più dipendente, più costoso per imprese e famiglie, meno diversificato e meno sicuro dell’Occidente».
Che cosa farà il resto del mondo e in campo internazionale, quanto contiamo?
«Nel 2050, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, la potenza installata del nucleare nel mondo, oggi circa 390 Gigawatt, è destinata a raggiungere i 800 Gigawatt. Le imprese italiane, le strutture pubbliche della ricerca (Enea, Cnr, Infn, le Università raccolte nel Consorzio Interuniversitario per la RicercaTecnologica Nucleare (Milano Pavia, Torino, Padova, Bologna, Pisa, Roma, Palermo), dal referendum del1987 a oggi hanno garantito il mantenimento di uno straordinario presidio in campo nucleare. Con leUniversità e i Centri di ricerca l’industria ha continuato la progettazione sui piccoli reattori avanzati. Questop residio è stato protagonista in Europa nella progettazione della quarta generazione dei reattori, assumendo la leadership in una delle tecnologie più promettenti, quella del raffreddamento a piombo.Infine, queste aziende, enti di ricerca e università sono oggi tra i protagonisti del percorso verso la realizzazione della fusione nucleare. Le imprese italiane che lavorano alla costruzione del reattore Iter si sono aggiudicate i due terzi delle forniture tra 35 paesi concorrenti nel mondo; il cuore del grande reattore Tokamak, i magneti superconduttori, i sistemi di controllo, i complessi sistemi elettrici del più grande impianto di sperimentazione della fusione in costruzione. Con l’Eni siamo l’azionista privato principale del progetto di un reattore di fusione compatto tra i più promettenti al mondo. Ospiteremo, con il Dtt a Frascati, un esperimento tra i più decisivi e delicati della fattibilità della fusione; con le Università, l’Enea e l’Rfx di Padova siamo posizionati nel cuore strategico della dimostrazione fisica della fusione. Occorre tornare a una politica energetica nazionale che indichi il cambiamento e ci faccia uscire dalla dipendenza, realizzando la sicurezza energetica del Paese. Questo significa smetterla con i piani energetici (come il Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima 2030), che si limitano a indicare gli obiettivi emissivi, e tornare a ragionare in termini di programmazione delle fonti con cui realizzare insieme obiettivi che garantiscano anche la sicurezza e la continuità delle forniture. Una volta avevamo un ente nazionale, l’Enel, che aveva il compito di promuovere la programmazione elettrica ed energetica».