Lifestyle
October 24 2014
Lo chiamano "nudge", ovvero "spinta gentile", e viene raffigurato con un’immagine paternalistica: un elefante che, con la proboscide, spinge il suo cucciolo riottoso. Ecco: immaginate che il pachiderma sia lo Stato e il cucciolo siamo tutti noi, i cittadini. Perché forse ancora non lo sapete, ma da qualche tempo è di gran moda il "nudging": una nuova strategia di comunicazione di massa, adottata da Barack Obama nella sua campagna elettorale, da David Cameron e da Angela Merkel per indirizzare i cittadini verso le decisioni che il governo reputa migliori per salute, benessere, gestione del denaro. Servendosi di uno staff composto da economisti comportamentali, antropologi, sociologi e neuroscienziati, che studia le tecniche per influenzare silenziosamente la popolazione nelle scelte. Il nudging è già stato utilizzato, soprattutto in Inghilterra, per convincere i cittadini a non ricorrere al pronto soccorso per ogni minimo malessere, rendendo così più funzionale quel servizio per i casi gravi e veramente urgenti. Ma anche a pagare le tasse: attraverso un semplice cambiamento di tecnica nella scrittura delle lettere di sollecito spedite in prossimità della scadenza. Invece di "hai pagato le tasse?", nella lettera spedita dal fisco britannico è comparsa l’affermazione: "La maggior parte dei cittadini con la tua stessa aliquota ha già pagato".
Tanto è bastato per garantire maggiore puntualità nella presentazione delle dichiarazioni. Ma anche tecniche che utilizzano suoni e colori disciplinano i comportamenti nelle aree di attesa degli aeroporti e delle stazioni inglesi; mentre trompe l’oeil disegnati a terra in prossimità delle scuole convincono gli automobilisti a rallentare. Il nudging viene utilizzato da molto tempo anche nel privato. Se un’azienda preferisce che i dipendenti mangino in modo sano, senza ingrassare, agisce riducendo la misura dei piatti e delle scodelle nelle mense, lasciando però inalterata la libertà di prendere più porzioni. Il nudging agisce in maniera subliminale, limitando il libero arbitrio e quindi la libertà, ma mantenendo intatta l’autonomia individuale. Si basa sul presupposto che le strutture in cui viviamo influenzino le nostre decisioni quanto o forse più dei nostri desideri e delle informazioni che ci arrivano, sempre più numerose e complesse.
Il nudge dunque è più "gentile" di un incentivo, di una legge o di una sanzione, ma anche più pericoloso. "Si è liberi di decidere, ma la neutralità dello stato è minacciata" avverte Julian Rumelin, filosofo dell’Università di Monaco ed ex ministro della Cultura e dei media a Berlino. "Il problema è etico: lo stato non dovrebbe scegliere lo stile di vita dei cittadini, né avviare e orientare decisioni. Per questo il nudging potrebbe diventare un metodo per cambiare la società a piacimento di chi governa, dando l’impressione, falsa, di non intervenire". Per fare un esempio paradossale, un cattivo governo in crisi economica potrebbe impiegare strategie di nudging per indurre i cittadini a ritenere giusto che anziani e malati terminali muoiano presto, per non farli gravare sul sistema sanitario nazionale.
Ad aumentare i rischi per la democrazia potrebbe essere la complessità che i governi si trovano a fronteggiare in quest’era di cambiamenti globali sul fronte finanziario, sanitario, della difesa. "Gestire questa complessità al meglio potrebbe richiedere politiche meno favorevoli ai cittadini" dice Luciano Floridi, filosofo, professore di etica dell’informazione all’Università di Oxford e membro dell’advisory council di Google per il diritto all’oblio. Poi aggiunge: "Ma con il nudging anche i governi corrono rischi. Perché se gli elettori dovessero diventare consapevoli di essere stati manipolati, potrebbero avere reazioni negative contro i loro leader. Un nudging di successo che limiti questi danni è quello che non comporta eccessivi strappi rispetto al comportamento “normale”; un invito a fare solo un po’ di più o di meno di quello che si sarebbe fatto comunque".
La componente subliminale aumenta fino a prendere una piega inquietante se si pensa a cosa sta accadendo con l’utilizzo costante di internet. L’ultima frontiera si chiama "anticipatory computing" ed è la capacità della tecnologia di anticipare il futuro, oltre che di raccogliere e ordinare presente e passato. Giorno dopo giorno, tutti noi infatti lasciamo continuamente tracce dei nostri gusti e orientamenti sul web.
Lo facciamo attraverso i social network come Facebook, Twitter, Google, Whatsapp… I dati vengono raccolti e utilizzati per costruire modelli previsionali su cui aziende e governi possono contare per proporci di acquistare cose che ci piacciono, o per indirizzarci nei comportamenti. Un po’ come un vecchio amico che dice "quello lì lo conosco bene, farà così", l’algoritmo suggerirà le nostre prossime mosse a chi avrà interesse, economico, politico, o per salvaguardare la sicurezza nazionale, a prevenirle. Come se qualcuno raccontasse al venditore di granite che un ciclista pedala tutti i giorni da casa al fiume alle 8 di mattina e che ama la granita al limone. Il venditore si farà trovare lungo l’argine con una granita al limone pronta tutte le mattine, con grande soddisfazione di tutti e due. Tutto questo, sulla Rete, avviene tramite finestre pubblicitarie che si aprono da sole, con video virali che influenzano i nostri umori, attraverso associazioni di parole sulle stringhe dei motori di ricerca.
E accade nei social network (che sono aziende private globali) che invitano tutti a mettere il privato nel diario pubblico, che è allo stesso tempo di loro proprietà e permeabile dai servizi segreti nazionali. «Se qualcuno non condivide il privato nel social network, ormai, è fuori dalla comunità e rischia l’emarginazione» dice Rumelin. «La decisione di offrire elementi della propria vita a Facebook, Twitter o Instagram solo apparentemente viene presa dall’utente: in realtà l’ha presa il social network, condizionando l’utente stesso con la paura dell’isolamento. Chi accetterà quell’etica di condivisione otterrà dei benefici e soddisferà il senso di appartenenza partecipando ai giochi comuni, ma perderà il suo privato». Secondo Rumelin, questo sistema condizionante ci sta spingendo inconsapevolmente verso un nuovo Medioevo: quando le città non esistevano, la gente viveva nei feudi o nei villaggi e tutti sapevano e vedevano in diretta ogni momento della vita degli altri. Non c’era privacy, e anche per questo non c’era democrazia. Sentenzia lo studioso tedesco: «Poiché la democrazia ha come presupposto la distinzione tra pubblico e privato, dove lo stato non deve intervenire, a mio avviso la democrazia oggi potrebbe essere a rischio». Floridi va oltre, abbandona le categorie nelle quali siamo abituati a ragionare, e guarda al futuro, che altrove nel mondo è già presente. «Quello che potrebbe avvenire è la scomparsa di ciò che abbiamo sempre inteso per politica.
Il politico si sta legando sempre di più al commerciale e al massmediatico nella creazione di consenso e dissenso. Questo perché stanno rapidamente cambiando le ragioni stesse della politica. Negli anni Sessanta, per esempio, quando la politica era il punto di partenza di tutto e tutti eravamo dentro dinamiche politiche, un legame “commerciale” sarebbe stato inconcepibile. Oggi viviamo e operiamo fuori dalla politica e ci entriamo solo se chiamati. I flussi d’informazioni locali e globali sono sotto il controllo di grandi aziende e di organizzazioni sovranazionali. Consenso e dissenso cambiano di giorno in giorno, la mediazione del politico diventa sempre più sottile, e il distacco tra sociale e politico, privato e pubblico, diventa sempre più labile». Il pensiero va alla recente nomina da parte di Obama di Megan Smith, già vicepresidente del segretissimo laboratorio tecnologico Google X, dove il colosso informatico studia progetti futuristici, al ruolo di technology chief officer del governo Usa.
Ma ci sono esempi anche europei. Secondo Floridi stiamo assistendo all’accettazione del fatto che gli stati, o la stessa Unione europea, non siano più nel controllo di quelle che sono le politiche nazionali di base. «La sentenza della Corte europea che forza Google al diritto all’oblio la dice lunga sull’intersezione tra mondo aziendale globale e mondo politico locale. Il nudging e l’anticipatory computing non sono negativi di per sé; bisogna solo imparare a usarli correttamente». Certo, siamo lontani da un Grande Fratello che abbia un piano preciso in testa. Quello che manca in questo accumulo imponente di informazioni è proprio un progetto umano. Ma questo crea un vuoto, grave, che rischia di essere riempito dai fondamentalismi.
* Nudge letteralmente significa «spinta gentile», «gomitatina», «pungolo». È il titolo di un libro scritto nel 2008 dall’economista comportamentale americano Richard H. Thaler. Consiste in una strategia dei governi o delle aziende per orientare scelte e decisioni dei cittadini o dei consumatori in una direzione virtuosa. Sfruttando la parte irrazionale e inconscia della mente umana.
Anticipatory computing è la capacità della tecnologia di anticipare il futuro basandosi sull’esperienza delle azioni del passato. I dati che lasciamo nei social network o nei motori di ricerca o più in generale su internet vengono raccolti, organizzati in algoritmi e in schemi previsionali per essere utilizzati dalle aziende e dai governi.