Nuove carte sul Lodo Moro e sul mistero di Ustica
di Maurizio Tortorella e Dimitri Buffa
I due appunti «riservatissimi» sono datati Roma 12 maggio 1980 e a produrli è il Sismi, il servizio segreto militare dell’epoca. Intitolati «Minacce contro gli interessi italiani», e fin qui inediti, i due appunti sono molto interessanti, perché confermano una volta di più l’esistenza del «Lodo Moro», il patto di «pacifica convivenza» con il terrorismo palestinese siglato qualche anno prima dal ministro degli Esteri Aldo Moro.
I due appunti sono importanti anche perché segnalano l’imminenza di attentati da parte del terrorismo palestinese, e quindi lanciano ombre sulle origini della strage di Ustica del successivo 27 giugno, e sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Destinati al direttore del Sismi dell’epoca, il generale Giuseppe Santovito, i due appunti contengono un riassunto molto dettagliato di quanto il colonnello Stefano Giovannone, capo-struttura del Sismi in Medio Oriente e basato a Beirut, ha appena trasmesso agli uffici di Roma in una serie di allarmati cablogrammi.
Nelle settimane precedenti, Giovannone (nome in codice “Maestro” e tra i più competenti ufficiali del Sismi in Medio Oriente) ha saputo dalle sue fonti nel terrorismo palestinese che il processo penale in quel momento in corso a Chieti contro Abu Anzeh Saleh, capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina in Italia (FPLP) di base a Bologna, e contro tre militanti di Autonomia operaia, sta creando gravissimi rischi per la sicurezza italiana.
L’antefatto giudiziario è cruciale per capire che cosa stia avvenendo. Nel novembre 1979, Saleh e i suoi compagni sono stati inopinatamente arrestati dai carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Ortona (Chieti), e dal successivo dicembre sono finiti sotto processo per direttissima, con l’accusa di aver introdotto in Italia due missili terra aria Sam-7 di fabbricazione sovietica. Il 25 gennaio 1980, il Tribunale di Chieti li ha condannati in primo grado a sette anni di reclusione per porto e detenzione d’arma da guerra.
L’esistenza di un qualche «patto» tra Italia e terrorismo palestinese è già emersa proprio durante il processo di primo grado, per l’esattezza nell’udienza del 10 gennaio 1980, quando i legali degli imputati leggono in aula un paradossale comunicato del Fplp che pretende la restituzione dei due missili. L’organizzazione ricorda all’Italia che i Sam-7 «stavano solo transitando» per il nostro Paese e che «non c’è mai stata intenzione alcuna da parte nostra di usarli in Italia». Il Fplp segnala che dopo l’arresto di Saleh ci sono stati «contatti con l’ambasciata italiana in Libano» (più che probabilmente con lo stesso Giovannone) e che a Roma il nostro governo è «informato di tutto». «Noi» conclude il testo del Fplp «siamo e vogliamo restare amici del popolo italiano».
Nel maggio 1980, quando gli appunti del Sismi vengono redatti, sta per partire il processo d’appello contro Saleh e soci. Uno dei due appunti fa un esplicito riferimento al rischio che «il Fplp potrebbe riprendere dopo sette anni la propria libertà d’azione nei confronti dell’Italia e dei suoi interessi, con operazioni che potrebbero coinvolgere anche innocenti». È un chiaro riferimento al Lodo Moro, che sarebbe stato siglato proprio sette anni prima, tra la fine del 1973 e i primi mesi del 1974, dopo un mostruoso attentato palestinese che il 17 dicembre 1973 a Fiumicino ha fatto 34 morti.
In base all’intesa, favorita da Moro e ovviamente segreta, da quel momento l’Italia avrebbe garantito piena libertà di movimento ai terroristi su suo territorio – anche con il trasporto di armi - in cambio dell’impegno della galassia palestinese a non compiere più attentati contro il nostro Paese. Malgrado il Lodo Moro sia stato più volte confermato da fonti autorevoli, la magistratura che ha indagato sulle stragi di Ustica e di Bologna ne ha sempre negato l’esistenza.
Anche per questo, i due appunti del Sismi sono importanti. A leggerli, si capisce che nel maggio 1980 Giovannone segnala l’estrema irritazione del Fplp per l’arresto del suo capo in Italia e per la condanna che ha subìto cinque mesi prima. A quel punto, il terrorismo palestinese pretende dall’Italia che il processo d’appello contro Saleh venga rinviato da giugno a settembre-ottobre, e chiede anche di far visitare Saleh in carcere da un suo inviato (il quale si presenterebbe alla fine di maggio 1980, fittiziamente, come «suo congiunto).
In uno dei due appunti si parla di «impegni delle autorità italiane verso il Fplp»; si conferma che l’ultimatum al governo italiano scadrà il 16 maggio 1980, e che il ricorso all’azione violenta avverrebbe di comune intesa con la Libia, ma che «nessuna azione avrà luogo prima della fine di maggio». L’altro appunto suggerisce di informare urgentemente il premier (Francesco Cossiga, certamente il politico democristiano meno disponibile a intese con il terrorismo palestinese) e i ministri della Difesa e della Giustizia.
I due documenti pubblicati oggi da Panorama.it sono molto importanti: non soltanto perché confermano quanto Panorama aveva scritto lo scorso ottobre sui messaggi spediti da Giovannone a Roma tra la fine 1979 e la prima metà del 1980 (carte che sono state sottratte al segreto di Stato dal governo Draghi e cinque mesi fa erano state finalmente depositate all’Archivio di Stato, e rese pubbliche), ma anche perché fanno capire che parte della magistratura possa essere stata coinvolta nella gestione del «Lodo Moro».
In uno dei due appunti del Sismi si legge infatti che un ostacolo alle richieste del Fplp potrebbe venire da «mutamenti nella composizione della corte giudicante» che si sta occupando di Saleh e dei suoi compagni, e in quella degli organi giudiziari che decideranno dell’eventuale distruzione dei missili sequestrati.
Di seguito, il testo di tre dei cablogrammi che il colonnello Giovannone nel 1980 ha spedito al Sismi da Beirut (e di cui Panorama ha scritto lo scorso ottobre)
12 maggio 1980 – Il 16 maggio scade l’ultimatum quale termine ultimo per la risposta da parte delle autorità italiane alla richiesta del Fronte. In caso di risposta negativa la maggioranza della dirigenza e la base dell’Fplp intende riprendere, dopo sette anni, la propria libertà di azione nei confronti dell’Italia, dei suoi cittadini e dei suoi interessi con operazioni che potrebbero coinvolgere anche innocenti. L’interlocutore ha lasciato capire che il ricorso all’azione violenta sarebbe la conseguenza di istigazione della Libia, diventata principale sponsor dell’Fplp. Ha affermato che nessuna operazione avrà luogo prima della fine di maggio e probabilmente senza che vengano date specifiche comunicazioni.
16 giugno 1980 – La Corte d’Appello dell’Aquila ha respinto il 29 maggio la richiesta di scarcerazione di Abu Saleh. Dalla preoccupata reazione dell’esponente Fplp c’è motivo di ritenere che si riprendano libertà di azioni. Non si può più fare affidamento sulla sospensione dell’operazione terroristica in Italia e contro interessi e cittadini italiani decisa da Fplp nel 1973 e si può ipotizzare una situazione di pericolo a breve scadenza anche in coincidenza dell’Appello del 17 giugno. Fonte fiduciaria indica due operazioni da condurre in alternativa contro obiettivi italiani:
1) Dirottamento di un Dc Alitalia;
2) L’occupazione di una ambasciata.
Non si può escludere che la notizia sia stata diffusa allo scopo di coprire i reali obiettivi e i luoghi delle suddette operazioni, non si può escludere che Fplp, attualmente controllato da esponenti filolibici, possa garantire l’Olp, ma faccia egualmente effettuare operazioni minacciate, utilizzando elementi estranei che potrebbero usare nella circostanza una etichetta non qualificata”.
27 giugno 1980 – Fplp avrebbe deciso riprendere totale libertà di azione senza dare corso ulteriori contatti a seguito mancato accoglimento sollecito nuovo spostamento processo. Se il processo dovesse avere luogo e concludersi in modo sfavorevole mi attendo reazioni particolarmente gravi in quanto Fplp ritiene essere stato ingannato e non garantisco sicurezza personale ambasciata Beirut.
(NB: Nella serata di quello stesso 27 giugno, il Dc9 Itavia decollato da Bologna precipitava nel mare di Ustica).
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