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September 27 2017
Preparatevi perché la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il nuovo Codice antimafia e in Italia la “giustizia del sospetto” diventerà la regola.
Sarà anche la maniera peggiore di concludere questa legislatura, forse la peggiore nella storia repubblicana: una legislatura che già verrà ricordata per il varo di continui e notevoli (e inutili) incrementi di pena e di alcune nuove fattispecie di reato, astruse e mal concepite, che intasano i tribunali senza alcun costrutto.
Sarà, insomma, un ultimo malsano successo del “populismo giudiziario”, l’assurdo rigurgito di giacobinismo che sta avvelenando l’Italia.
Varato nel settembre 2011 dall’ultimo governo Berlusconi, e poi esteso da successive leggi (oltre che da una costante giurisprudenza) ai non mafiosi, purché delinquenti abituali, il Codice antimafia approvato oggi alla Camera è quello che arriva dal Senato, dove lo scorso 6 luglio era passato in seconda lettura grazie a 126 voti favorevoli: una maggioranza trasversale che aveva riunito parte del Pd, Alleanza popolare, alcuni parlamentari della sinistra di Mdp, mentre il grosso del Movimento 5 stelle si era astenuto.
Il nuovo Codice dunque entrerà in vigore con la novità che potrà applicarsi non soltanto ai mafiosi, ma a tutti gli indagati di reati associativi contro la pubblica amministrazione, dal peculato semplice alla malversazione, dall’induzione indebita fino alla corruzione (anche in atti giudiziari). E anche agli indagati di stalking.
A nulla sono servite le tante riserve, manifestate anche da soggetti autorevoli come Raffaele Cantone.
Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione aveva detto: “Si rischia di snaturare un sistema di prevenzione che ha il suo carattere eccezionale legato alle mafie. Credo sia poco opportuno inserirlo con riferimento alla corruzione, e si rischia di avere effetti tutt’altro che positivi”. Nessuno ha ascoltato.
Così ora in qualsiasi momento di un procedimento penale, e già durante le indagini preliminari, l’autorità giudiziaria potrà disporre il sequestro e la confisca di tutti quei beni che, anche senza alcuna prova, ritenga frutto di un'attività criminale.
I tecnici lo chiamano “giudizio di prevenzione”: perché non colpisce chi venga riconosciuto colpevole con una sentenza, nemmeno in primo grado, ma la sua presunta “pericolosità sociale”.
Non servono prove. Bastano indizi, congetture. E non è previsto nemmeno il contraddittorio tra l’accusa e la difesa. Insomma, è un obbrobrio giudiziario che di fatto rende praticamente “inutile” il processo, in quanto anticipa la punizione rispetto alla condanna.
L’Italia, in questo unico Paese in Europa, conosce già da tempo altre misure di prevenzione. La più diffusa è la cosiddetta interdittiva antimafia, che consente ai prefetti di agire contro soggetti e imprese: per farla scattare, basta che un’azienda sia “in odore di mafia”.
Il problema è che, a stabilire chi profumi di criminalità organizzata, non è nemmeno un magistrato. Basta una segnalazione al prefetto (che è semplicemente il rappresentante del governo in sede locale), e questi agisce su sua insindacabile valutazione.
Una volta colpita dall’interdittiva, però, l’azienda esce dal novero di chi può lavorare con la pubblica amministrazione. E spesso muore. Altrettanto spesso, capita che successivamente si scopra che quell’azienda non aveva nulla a che fare con la mafia. Ma nel frattempo è stata annichilita. Cancellata.
Il nuovo Codice antimafia va nella stessa direzione: punire prima del giudizio. Il problema, gravissimo (e che il Parlamento pare non comprendere) è che non lo farà con le aziende, ma con le persone.
Carlo Nordio, l’ex procuratore aggiunto di Venezia, ha appena scritto parole sagge, che esattamente come quelle del suo collega Cantone alla camera pare non siano pervenute.
Nordio ha definito il nuovo Codice antimafia “un mostro d’inciviltà giuridica”. Ne ha criticato “l’oltraggio alla presunzione di innocenza che può essere giustificato soltanto da situazioni eccezionali: come, per l'appunto, l'aggressività economica dell'intimidazione mafiosa violenta e assassina”. Per Nordio, “estenderlo ad altre ipotesi, per quanto gravi, significa violare la Costituzione e renderne difficile la definizione applicativa”.
In effetti, le misure di prevenzione sono quanto di più illiberale possa essere immaginato. Costituiscono l'armamentario giuridico del “fine che giustifica i mezzi”. Per questo, il nuovo Codice antimafia ricorda certe fascistissime leggi speciali.
Come se non bastasse, (e nemmeno fosse affollato da dilettanti allo sbaraglio) il Senato ha deciso inserire anche lo stalking tra i reati per i quali sono possibili sequestri e confische.
E anche questo ha dato l'effettiva misura di quanto la nuova norma sia frutto di populismo giudiziario.
Perché è vero che lo stalking è un crimine allarmante, contro il quale la pubblica opinione auspica misure più severe. Ma il Parlamento non sempre può legiferare sulla base delle ondate che arrivano dall’opinione pubblica. Quando lo fa, almeno, dovrebbe cercare di conservare una qualche logica.
Invece basta scorrere gli articoli della riforma per verificare il contrario. Quale collegamento, infatti, quale rapporto potrà mai esistere tra la molestia o la violenza seriale contro una determinata vittima, realizzata dallo stalker, e l'arricchimento indebito che la legge pone come presupposto del sequestro dei beni?
E perché, allora, non allargare da subito il sequestro preventivo dei beni agli indagati per pedofilia, o per violenza sulle donne o a quelli accusati di “omicidio stradale” (che malgrado la follia di questa legislatura resta un reato colposo)?
Viene davvero da chiedersi come un Parlamento e un governo possano abbassarsi a tanto.
C’è chi sostiene che in realtà la convergenza sul Codice antimafia potrebbe consentire al Pd una manovra di riavvicinamento ai gruppi posti alla sua sinistra, in vista di possibili alleanze per il voto politico del 2018.
Fosse davvero così, dovremo tutti ricordare volti e nomi di quanti, in nome di un incerto tornaconto elettorale, stanno svendendo principi fondamentali di questa nostra povera giustizia.