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March 14 2025
Nella bozza del decreto sull’Accordo Collettivo Nazionale delle Farmacie, attualmente in fase di discussione e destinata a passare al Consiglio dei Ministri, viene delineata una radicale trasformazione del ruolo delle farmacie nel sistema sanitario nazionale. Le farmacie, infatti, non saranno più solo luoghi di distribuzione di farmaci, ma diventeranno presìdi sanitari sempre più integrati con il Servizio Sanitario Nazionale. Un cambiamento che, se da un lato promette di rendere più accessibili i servizi sanitari, potrebbe però comportare costi aggiuntivi per i cittadini.
Secondo quanto indicato nella bozza, firmata dalla Conferenza Stato-Regioni, i farmacisti potranno eseguire test diagnostici (sia di prima che di seconda istanza), somministrare vaccini, firmare referti e offrire servizi di telemedicina. Le farmacie saranno anche abilitate a gestire prenotazioni per visite ed esami specialistici, riscuotere ticket sanitari e fornire referti.
Ma, la parte più delicata del provvedimento riguarda proprio l’aspetto economico. Se da un lato la riforma mira a rendere i servizi sanitari più accessibili e capillari, dall’altro resta il problema di come verranno remunerati questi nuovi compiti e servizi. La bozza lascia spazio alle Regioni per stabilire le modalità di compensazione economica, ma è ancora incerto come queste misure possano evitare un aggravio dei costi per i cittadini e garantire una sostenibilità per le farmacie.
Anche la questione della gestione dei dati sanitari è un tema delicato. Il decreto prevede che le farmacie si connettano al Sistema Pubblico di Connettività (SPC) per accedere ai dati dei pazienti, ma la protezione della privacy e la sicurezza delle informazioni potrebbero diventare argomenti di discussione durante il percorso di approvazione.
Infine, l’estensione delle competenze dei farmacisti che potranno firmare i referti, ha suscitato non poche perplessità da parte di medici e biologi, che temono una sovrapposizione di ruoli e un abbassamento della qualità dell’assistenza sanitaria. Un aspetto che sicuramente sarà al centro del dibattito nelle prossime settimane.
A parlarcene due esperti del settore Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (Fofi), e Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione microbiologi clinici italiani (Amcli). Entrambi sono concordi sulla necessità di un cambiamento, ma le loro visioni sul futuro delle farmacie nel Sistema Sanitario Nazionale sono molto diverse.
Andrea Mandelli presidente di Fofi difende il decreto.
Cosa ne pensa dell’accordo?
«Innanzitutto, posso dire che questo rinnovo fosse doveroso. Aspettavamo da 26 anni e, per usare una battuta, quando lo abbiamo scritto eravamo ai tempi dei fax, mentre oggi siamo nell’era delle email. Era un aggiornamento necessario, perché il vecchio testo descriveva una realtà che ormai non esisteva più.
Si tratta, quindi, di un passo avanti molto positivo, non solo dal punto di vista del professionista farmacista, ma soprattutto per il salto di qualità che la collettività ha chiesto a tutti i sanitari dopo l’esperienza del Covid.»
Cosa cambia concretamente?
«Si introducono cambiamenti significativi, tra cui uno particolarmente rilevante: l’istituzione ufficiale del dossier farmaceutico.
Si tratta di un sistema che crea una rete tra tutti i professionisti della salute, consentendo loro di scambiarsi informazioni cliniche fondamentali, naturalmente sempre con il consenso del cittadino.»
Saranno necessari investimenti governativi?
«Le infrastrutture di base esistono già. Basti pensare alla ricetta elettronica dematerializzata, che è già una realtà. Non si tratta di sviluppare un software da zero, ma piuttosto di regolamentare l’integrazione tra le varie professioni sanitarie.
Inoltre, grazie ai fondi del PNRR, molte cose sono realizzabili in tempi brevi. Quindi, più che un’idea futuribile, questa è una necessità imminente.
Far dialogare i professionisti della salute non è solo una direttiva del DM77, ma un’esigenza reale. La carenza di farmacisti, medici e infermieri è sotto gli occhi di tutti. Per garantire un servizio sanitario all’altezza delle esigenze dei cittadini, dobbiamo fare squadra, collaborare e trovare soluzioni concrete.»
Che tipo di macchinari dovranno avere le farmacie per eseguire questi test?
«Esistono diversi macchinari, tutti certificati e conformi agli standard europei. Se entra in una farmacia, noterà che su questi dispositivi è presente il marchio CE, che garantisce il rispetto delle normative di sicurezza e affidabilità.»
Questi macchinari saranno sottoposti a controlli?
«Assolutamente sì. Alla luce della nuova convenzione, essendo noi un ente di diritto pubblico sotto il controllo dello Stato, stiamo predisponendo una linea guida ufficiale. Questa servirà a supportare i farmacisti nella gestione di questi test, assicurando che siano utilizzati correttamente e nel rispetto delle normative.»
Quali test potranno essere eseguiti?
«Si tratta di esami di base, eseguibili tramite dispositivi point-of-care, quindi con valore orientativo e non diagnostico. Tra questi:
• Glicemia
• Emoglobina glicata (HbA1c)
• Colesterolo totale
• Trigliceridi
• LDL e HDL (colesterolo “cattivo” e “buono”)
Questi test possono offrire al paziente un’indicazione generale sul proprio stato di salute, ma ovviamente non sostituiscono un’analisi di laboratorio completa.»
Ma quali saranno i costi per il cittadino?
«I costi variano a seconda del tipo di test. Si parte da pochi euro per i test più semplici, fino ad arrivare a circa 15 euro per esami più complessi, come la PCR o la misurazione di LDL e HDL.
Per il momento, questi test saranno erogati in regime privato, quindi non rimborsabili dal SSN».
Saranno fatti dei corsi di aggiornamento?
“Sì, sui corsi di aggiornamento ci sono due aspetti da considerare. Il primo riguarda il tema delle vaccinazioni. La legge prevede che i farmacisti laureati possano ottenere l’autorizzazione per somministrare vaccini tramite un corso specifico organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità, che si svolge anche tramite le piattaforme della Federazione degli Ordini.
Con l’introduzione delle nuove lauree, abbiamo dovuto rispondere tempestivamente alle necessità derivanti dalla pandemia. Durante quel periodo, abbiamo semplificato l’esame di stato, non solo per i farmacisti, ma anche per medici, tecnici e altre professioni sanitarie, al fine di far fronte alla carenza di professionisti. Abbiamo avviato una riforma molto importante del corso di laurea in farmacia, che ha reso il farmacista ancora più centrale nel campo della salute. Durante il percorso universitario, i futuri farmacisti acquisiranno una formazione mirata, che risponde alle esigenze moderne della professione, evitando che questa formazione venga ottenuta in un secondo momento, tramite corsi post-laurea.»
Pierangelo Clerici presidente di Amcli Ets ritiene che l’accordo possa abbassare la qualità dei servizi.
Che idea si è fatto del nuovo decreto?
«Se questa operazione andrà in porto, il costo economico per il Servizio Sanitario Nazionale sarà enorme. Stiamo assistendo a una manovra che rischia di spostare una fetta importante della diagnostica dai laboratori specializzati alle farmacie, senza garanzie sulla qualità e sull’affidabilità dei risultati.»
I test saranno attendibili?
«Questi test potrebbero essere adeguati solo in un contesto di monitoraggio per pazienti con patologie croniche, come il diabete o le dislipidemie. Ma attenzione: strumenti di questo tipo sono sempre esistiti e sono già utilizzati sia in ambito domestico, sia in altri contesti sanitari.
Ad esempio, i pazienti diabetici hanno da anni il glucometro per monitorare la glicemia a casa, così come esistono strisce reattive per altri parametri biochimici. La presenza di questi test nelle farmacie, quindi, non rappresenta una novità né un progresso reale, ma piuttosto un’operazione commerciale che potrebbe avere gravi conseguenze sulla qualità della diagnostica e sul sistema sanitario.»
Cosa potrebbe accadere?
«Il problema è che non si tratta dello stesso tipo di analisi. Prima di tutto, perché si parla di un prelievo capillare e non di un prelievo di sangue intero, il che comporta differenze significative in termini di accuratezza e affidabilità del risultato. Il sangue capillare, infatti, è soggetto a molte più variabili rispetto al sangue intero, e questo influisce direttamente sulla qualità del dato analitico.
Inoltre, non esiste una fase preanalitica controllata. Nei laboratori, la fase preanalitica è fondamentale per garantire la qualità del campione e quindi del risultato finale. Con il sangue capillare, invece, non c’è alcun controllo, e la variabilità può essere enorme. Gli studi scientifici hanno dimostrato che l’errore analitico, rispetto a un prelievo eseguito e processato in modo corretto, può variare dal 10-15% fino addirittura al 50%, con evidenti ricadute sulla precisione diagnostica.
Un altro aspetto critico riguarda gli strumenti utilizzati in farmacia. Non sappiamo quali controlli vengano effettuati su queste apparecchiature e, al momento, non esiste alcun obbligo di legge che imponga un monitoraggio di qualità. Di fatto, si tratta di strumenti che funzionano sulla base delle indicazioni fornite dal produttore, senza verifiche indipendenti.»
Nei laboratori sono soggetti a verifiche?
«Nei laboratori ospedalieri e nelle grandi catene private accreditate, invece, gli strumenti vengono sottoposti quotidianamente – spesso più volte al giorno – a rigorosi controlli di qualità. Si verifica il corretto funzionamento del sistema, si controllano i reagenti e si confrontano i risultati con i valori attesi per garantire la massima affidabilità. C’è un intero processo strutturato dietro ogni esame di laboratorio, che nelle farmacie semplicemente non esiste. Non a caso, esiste una disciplina specifica, la medicina di laboratorio, che richiede una formazione approfondita. Se così non fosse, per quale motivo un medico, un biologo o un chimico dovrebbero laurearsi e poi specializzarsi per quattro anni in questa materia?
Se una persona vuole lavorare in un laboratorio ospedaliero come medico, biologo o chimico, deve avere una laurea specifica e una specializzazione in medicina di laboratorio. Non si può banalizzare una professione sanitaria.»
Che ne pensa della possibilità di refertare le analisi da parte dei farmacisti?
«Chi firma il referto non si limita a leggere un numero: ha una visione completa del quadro clinico del paziente e sa interpretare quei valori nel contesto della sua salute. Un valore anomalo può avere significati diversi a seconda della storia clinica del paziente.
E allora cosa si fa? Si consegna al paziente un risultato di glicemia con scritto 200, 100 o 102 senza alcuna interpretazione? Questo non è fare medicina di laboratorio, è dare numeri a caso senza alcuna responsabilità clinica.»
A livello tecnico, quali macchine sarebbero necessarie per eseguire i prelievi previsti dall’accordo? E quali sarebbero i costi?
«Non basta un’unica macchina. Se si eseguono test su sangue, servono i cosiddetti POCT (Point of Care Testing) specifici per le analisi ematiche. Se invece si vogliono effettuare test per la diagnostica infettivologica, servono strumenti completamente diversi, come quelli basati su immunofluorescenza o biologia molecolare. Ma introdurre queste tecnologie in farmacia aprirebbe un vortice di rischi e una voragine di inappropriatezze.
Anche noi, che lavoriamo nel settore da 40 anni, quando ci troviamo di fronte a una nuova tecnologia diagnostica dobbiamo studiarla, testarla e valutarne l’affidabilità prima di utilizzarla. Non oso immaginare chi si improvvisa in questo ambito.
Abbiamo già visto i disastri del Covid, specialmente nell’epoca del Green Pass, quando le persone facevano la fila fuori dalle farmacie, ammassate una sull’altra, aumentando il rischio di contagio. Anche chi indossava la mascherina non era realmente protetto in quelle condizioni.
Nei laboratori e nei drive-through, invece, abbiamo adottato protocolli di sicurezza rigorosi:
• I pazienti non scendevano nemmeno dall’auto per evitare contaminazioni.
• I test erano eseguiti con metodiche affidabili, principalmente in biologia molecolare, che garantiva risultati precisi.
E in farmacia? Si facevano test rapidi da due euro, venduti a 20 euro, che spesso davano falsi negativi. Il risultato? Metà di quei pazienti, pochi giorni dopo, arrivavano in ospedale con sintomi gravi, perché erano stati dichiarati negativi quando invece erano positivi.»