Lifestyle
May 26 2022
Ma che ne sapeva Ernesto Calindri del logorìo della vita moderna, quando seduto in mezzo al traffico in una réclame del ‘66 raccomandava di farsi un aperitivo Cynar contro forme di stress che oggi potremmo considerare addirittura naïf.
Da allora è cambiata l’Italia e con essa questo rito collettivo arrivato a un valore di mercato di 4,5 miliardi di euro nel 2019 (fonte: Osservatorio Wine & Spirits Federvini) e che adesso, dopo la pandemia, è tornato a un fermento raro. Si reinventa sotto forma di novità tra marketing e mixology, spunti e spuntini, l’estro dell’ospitalità e distese di tavolini all’aperto che prima del Covid non c’erano. In nuovi luoghi, modi, mode, perdurando nella sua funzione quasi taumaturgica del bere la cosa giusta al momento giusto, si direbbe esasperata dalla necessità di esorcizzare in compagnia i «mala tempora». Fuori o a casa.
«L’uscita dalla pandemia ha generato la voglia di recuperare il tempo perso» dice a Panorama Julka Villa, head of marketing del Gruppo Campari. «Assistiamo a un vero e proprio fenomeno di “revenge conviviality” che nel primo trimestre 2022 ha permesso ad Aperol di crescere del 101,4 per cento in Italia».
Non è un caso se la tendenza dei drink «pronti da bere» per allietare aperitivi casalinghi, nata anni fa, ai tempi del Covid è letteralmente scoppiata. Citando soltanto gli ultimi arrivati: quelli della gastronomia milanese Peck da ordinare con delivery, gli «Aperitivi in salotto» della pasticceria Clivati (dove i bon vivant in caccia di atmosfere d’antan vanno a godersi ottimi cocktail) che arrivano a casa accompagnati da stuzzichini vari, o quelli dei canali «horeca» Lurisia e Alpex Spritz, analcolici.
Anche i bartender più intraprendenti creano le loro linee take away o delivery, come di recente ha fatto la romana Valeria Sebastiani che affina in botte o in bottiglia i suoi premiscelati prêt-à-porter The Key.
Ed è anche boom di bollicine, «le cui vendite crescono tre volte più veloci di quelle del vino» rileva Sibylle Scherer, presidente di Maison Chandon, brand del gruppo del lusso Lvmh fresco di lancio di un aperitivo «ready to serve», Chandon Garden Spritz, base cuvée brut cui viene aggiunto un liquorino all’arancia made in Argentina. Per non parlare delle tante etichette di champagne che si stanno facendo conoscere in Italia. Come Comte de Montaigne, usato anche per i cocktail del bar manager del St. Regis di Venezia, Facundo Gallego.
È diventato ampio questo mondo. Se negli anni Settanta un aforista come Marcello Marchesi scriveva «Un popolo con una così grande varietà di aperitivi come il nostro non può morire di fame», oggi si è andati oltre. Le offerte sono infinite, le novità dell’anno inarrestabili.
Tra le ultime, l’apertura dell’aperitivo in giardino del Cinema Anteo a Milano, con lista cocktail ispirata ai film; la Loggetta di Villa Bardini a Firenze, con strepitosa vista sulla città. La terrazza dell’Otto Rooftop, nuovo bar panoramico dell’hotel W Roma; i Pic-Drink dei giardini della Villa Reale di Monza, aperitivi sul prato con dj-set per un déjeuner sur l’herbe rivisitato. Alla cantina Feudi di San Gregorio di Avellino si fanno gli aperitivi praticamente in vigna nel suo Darjeeling bar, mentre non si contano le aziende vinicole dei Castelli Romani che portano tra i filari con bicchieri e taglieri.
In tema di vini, a Castelfalfi (FI) l’agognato pre-cena è servito sulla terrazza del Bar Ecrù all’interno del resort 5 stelle lusso. Tiziano Frontini, il bar manager, spiega di utilizzare molti «prodotti home made per la creazione dei cocktail, come gin, vermouth e grappe di nostra produzione». Quella dei distillati a chilometro nullo è una delle mille tendenze di chi fa cocktail ed esercita in località baciate dalla natura. Al bar del boutique hotel J.K. Place di Capri si combina il Solaro Gin, ottenuto da botaniche raccolte a mano sull’isola, con sciroppo di rosmarino fatto in casa e succo dei limoni del giardino per fare una nuova versione dell’Aviation, il Capriation. Mentre al Villa Treville di Positano da quest’anno c’è un Botanical bar dove si sposano spirits classici e miscele distillate da erbe, fiori, radici ed estratti vegetali provenienti da botaniche coltivate nel proprio orto.
A Milano la forza dell’aperitivo è così dirompente da aver convinto l’iconica catena di casual food Panino Giusto ad andare oltre il binomio pranzo/cena e inventarsi Aperitivo Giusto. Per loro il guru della mixology Edoardo Nono, del Rita, ha creato una decina di drink premiscelati che ora sono serviti comme il faut in 18 locali. «La pandemia ha cambiato i comportamenti di chi fa l’aperitivo» analizza Nono con Panorama. «È finita l’epoca dei grandi buffet dove con pochi euro bevevi e cenavi: già in calo prima del Covid, sono tramontati con le norme igienico sanitarie. Oggi si dà attenzione alla qualità dei drink e del cibo. Inoltre» continua «come conseguenza dalle regole del lockdown che stabilivano aperture limitate, sono cambiati gli orari. Sempre più persone bevono aperitivi fin dal pomeriggio. E durante la settimana si tende a chiudere prima».
Vale la pena di ricordare che i drink del momento sono ben più sofisticati, grazie ad anni in cui l’arte della mixology è andata crescendo. Tendenza nella tendenza, l’aperitivo si fa in bar focalizzati su distillati «esotici». Il romano La punta usa solo quelli ricavati dall’agave, a Varazze (SV) La Pesa è un campione di Tiki cocktail (combinano alcol tropicale e frutta), mentre a Milano si parla del nuovo Norah was drunk, dove i classici sono rivisitati utilizzando l’assenzio, che poi è l’ingrediente base del vermouth, ovvero il vino aromatizzato inventato nel 1786 da Carpano e diventato pietra angolare dell’«aperitivo italiano». Due parole buttate lì come uno spritz, ma che in realtà costituiscono un enorme patrimonio nazionale di cui ci si sta rendendo conto adesso.
Federico Gordini, già anima della Milano Food week e della Milano Wine Week, ha organizzato il primo World aperitivo day, il 26 maggio. «L’aperitivo rappresenta una enorme opportunità per il nostro settore agroalimentare» racconta a Panorama. «Ed è fatto di bere quanto di mangiare: la sfida è marcarne l’italianità ed esportarlo all’estero in una cornice precisa». Per far questo Gordini (sostenuto da istituzioni e grosse aziende) ha pensato a un Manifesto dell’Aperitivo, che include valori fondanti e regole per certificare l’impiego di prodotti del nostro territorio. Con un punto centrale: «L’abbinamento deve essere almeno al 50 per cento con prodotti made in Italy. Nel 2023 girerò Stati Uniti, Inghilterra, Europa e Oriente per divulgare la cultura dell’aperitivo italiano e seguire l’applicazione di quello che potremmo chiamare un disciplinare. Non è mai stato fatto ed è strano, considerando quanto è importante». Prosit.