Calcio
February 28 2022
Il prossimo 6 aprile saranno mille giorni. Mille giorni da quando, affittando l'auditorium del Politecnico di Milano, Milan e Inter presentarono al mondo e alle autorità politiche della città il primo studio di fattibilità per dotare la capitale economica del Paese, la casa di due dei club più prestigiosi del calcio europeo, di un nuovo stadio. Quasi tre anni per restare se non al punto di partenza, qualche passo avanti è stato compiuto seppure a fatica anche causa pandemia, con la sensazione di essere invischiati in un dibattito sterile nel quale non tutti stanno interpretando in pieno il proprio ruolo.
La minaccia nemmeno troppo velata che le due società hanno fatto di guardare altrove nasce qui. E sarebbe una sconfitta per tutti, compresi quelli che oggi avversano un progetto che nel frattempo è stato riscritto quasi totalmente adeguandolo alle richieste del Comune, cioè della collettività che Palazzo Marino rappresenta. A semplice titolo esemplificativo, le volumetrie sono state riportate all'indice originario di 0,35 previsto dal PGT respingendo la richiesta di Milan e Inter di derogare, come previsto dalla legge stadi. Si è chiesto ai club, che hanno accettato, lo sforzo di rinunciare a molto di quanto previsto intorno al nuovo stadio, di rifare disegni e business plan, di accollarsi le spese per la parziale demolizione del vecchio San Siro e di immaginarne una rifunzionalizzazione perché rimanesse almeno in parte in piedi.
Non è bastato nemmeno questo a dare risposte e tempi certi. Mentre i comitati di quartiere, nella peggiore tradizione italiana, raccolgono firme per un referendum che renderebbe di fatto inutile il ruolo di rappresentanza delle istituzioni, il sindaco Beppe Sala è impegnato a organizzare il dibattito pubblico. Quanto durerà? Per legge il massimo è 12 mesi, un'eternità, ma si può anche fare in meno. Il problema, però, è cosa si vuole mettere dentro questo momento di confronto e la sensazione è che gli oppositori immaginino di trasformarlo in una trincea che ricominci dal punto uno del gioco dell'oca del nuovo stadio di Milan e Inter: si fa o non si fa?
Il tutto immaginando che le due proprietà, fondo Elliott e gruppo Suning, accettino passivamente di osservare dalla finestra un balletto che costa tempo e denaro e che allontana il momento della soluzione. Sul piatto ci sono 1,2 miliardi di investimenti, la metà per lo stadio e il resto sul comparto intorno. L'idea di fare entro il 2026 è morta per inedia, affogata nella palude dei tempi della politica che ha dovuto anche chiedere una tregua per le elezioni amministrative prima di tornare a prendere in mano il dossier. La nuova dead line è il 2027 perché l'impianto sia pronto, rinviando il resto a dopo. Tutti d'accordo, o almeno sembrava, ma dopo il via libera all'interesse pubblico si è tornati a marciare piano piano, quasi fermi.
Il problema di Milan e Inter è che, intanto, il mondo va avanti e la Milano del pallone rischia di perdere per sempre il treno della competitività. Le ripercussioni del non potersi dotare di un impianto nuovo e di proprietà sono già state analizzate: il cammino europeo delle squadre di Pioli e Inzaghi lo certifica. Interessa a qualcuno dalle parti di Palazzo Marino? L'apertura a soluzioni al di fuori dei confini di Milano (Sesto San Giovanni è di fatto l'unica vera alternativa) segna un punto di non ritorno, la massima forma di pressione che gli investitori possono giocare sul tavolo della trattativa perché qualcosa si sblocchi.
Il sindaco Sala fa sapere che un addio al quartiere San Siro non è contemplato, anche perché lascerebbe al Comune la gestione del vecchio stadio (10 milioni all'anno) in perdita e all'area intorno l'attuale situazione di landa desolata senza nemmeno la valorizzazione degli eventi calcistici. Una soluzione lose-lose per il Comune che ha, però, l'onere della prossima e decisiva mossa. La scadenza simbolica dei mille giorni si avvicina e con essa la sensazione che Milano possa fare la fine di Roma che settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno ha finito col far scappare la proprietà della Roma. C'è chi ha brindato, di sicuro chiudendo gli occhi per non guardare al confronto con quello che accade nelle città di mezzo mondo.