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October 10 2017
Il fantasma di Barack Obama continua a tormentare l'irrequieto Donald Trump, che già poche settimane fa ha dovuto sperimentare, dopo i fatti di Charlottesville, come l'appeal del suo predecessore sia ancora molto più luminoso del suo.
Ma il tycoon, risoluto, continua per la sua discussa via, ostinatamente mirata a rompere col passato (e con l'ex presidente degli Stati Uniti, il suo incubo ricorrente). Ecco così che la sua amministrazione è a un passo dal cancellare l'eredità di Obama nella lotta ai cambiamenti climatici. Il capo dell'agenzia federale dell'ambiente (Epa), Scott Pruitt, ha annunciato che tutto è pronto per rottamare il "Clean Power Plan" che taglia le emissioni degli impianti a carbone.
Dalla posizione contro i suprematisti bianchi al dialogo con Cuba fino ai rapporti con la Russia, ecco tutti i passi indietro e i tentatvi di rottura di Trump, nell'ombra di Obama.
Ci mancava solo il tweet dei record. Quello con cui l'ex presidente Usa Barack Obama ha detto la sua sui fatti di Charlottesville. Poche parole, chiare, "rubate" a Nelson Mandela, che hanno conquistato il mondo con 3,1 milioni di like, il numero più alto mai ottenuto sulla piattaforma social.
No one is born hating another person because of the color of his skin or his background or his religion... pic.twitter.com/InZ58zkoAm
Barack Obama (@BarackObama) 13 agosto 2017
Ci mancava solo questo tweet a far saltare ulteriormente i gangheri a Donald Trump, attuale presidente Usa. Coincidenza vuole che sia dopo la pubblicazione del messaggio di Obama che ha deciso di cambiare ancora idea nel condannare i suprematisti bianchi di ideologia neonazista per dire che sì sono responsabili ma "anche la sinistra" lo è.
A pensar male si fa peccato, è vero, e quindi ci teniamo il beneficio del dubbio ma che Donald Trump, come Macbeth vedeva Banquo, scorge ovunque il fantasma di Barack Obama, è quasi certo.
E, come l'eroe negativo di Shakespeare, è l'unico a vedere questo spirito, sin da quando accusò l'ex Presidente d'avergli messo sotto controllo i telefoni durante la campagna elettorale. Smentito dall'intelligence in merito a quest'accusa assurda ?" ?bad (or sick) guy!? scrisse addirittura Trump di Obama ?" il fantasma tuttavia non smette di perseguitarlo nella palese ossessione di voler rovesciare i principali pilastri della politica obamiana, nessuno escluso.
Il Soft-power è stato il criterio base della politica estera di Obama (e di Hillary Clinton). La consapevolezza insomma che in un mondo multipolare, quello dei BRICS e delle potenze regionali, non può più essere l'America il poliziotto globale.
L'unilateralismo divenuto anacronistico con Obama torna invece in voga con Trump: la super bomba sganciata sull'Afghanistan (trincea che presto tornerà sulle prime pagine) è stato il messaggio ai naviganti. E il Pentagono, in effetti, tra i poteri forti di Washington sembra al momento il più allineato alla dottrina muscolare Trump.
Gli USA fuori dagli accordi sul clima. Per Obama erano il risultato minimo, la base di partenza. Trump va oltre, capovolgendo il paradigma, dal momento che il meccanismo del Cop21 per punire chi supera le soglie d'inquinamento è il metodo del ?name & shame?, cioè della reputazione compromessa.
Un assillo mai pervenuto alla Trump Tower prima, e nemmeno alla Casa Bianca oggi. Reputazione?
Forse la riforma più obamiana di tutte, ossia la sanità come diritto inalienabile a dispetto del censo. Trump, seppur con pochissimi voti, era riuscito a dare una prima picconata all'impianto, ma al secondo passaggio al Senato non c'è stato verso. Molti i repubblicani contrari.
La riforma non si farà. Nemmeno tra le fila dei repubblicani c'è unità d'intenti, forse perché l'Obamacare messo alla prova dei fatti non è il diavolo che i conservatori inizialmente temevano, né il cavallo di troia della socialdemocrazia all'europea.
Obama, specie nel primo mandato, si occupò molto del pivot asiatico, ma sempre con uno sguardo rivolto all'Europa travolta dalla crisi dei debiti sovrani. Il suo ministro del tesoro, Tim Geithner, volava spesso a sorpresa nel Vecchio Continente per vederci chiaro. E l'Europa di questi anni è sinonimo di Germania. I legami tra i due Paesi, lo abbiamo imparato alle elementari, sono l'architrave del mondo post seconda guerra mondiale.
Trump, alla Casa Bianca, prima riesce a non stringere la mano a Frau Merkel e poi la contraddice sul diritto d'asilo ai migranti. All'ultimo G7 rilancia accusando i tedeschi di gioco sleale nel commercio. La Cancelliera, centrista moderata, è così costretta a dire: ?l'Europa si prepari a farcela da sola?.
Obama, e con lui Hillary Clinton e John Kerry, con la Russia di Vladimir Putin hanno sempre tenuto una linea coerente. Nonostante gli smacchi subiti (Crimea, Snowden, Siria) hanno continuato con decoro a tenere il punto: sostegno a Kiev e sanzioni a Mosca.
Trump invece ha dapprima fatto capire che con Putin si poteva parlare eccome (e il Russiagate ci dirà se i suoi già lo stavano facendo), ma nel frattempo le cose si sono deteriorate a tal punto che Rex Tillerson parla ora di rapporti ai minimi storici e Putin, non riuscendo a star serio, offre al Congresso le trascrizioni dei colloqui avvenuti? nello Studio Ovale.
Obama, ci si ricorda, arrivò a non accompagnare sulla porta della Casa Bianca un Benjamin Netanyahu a fine visita ufficiale; era un sottile rimprovero verso la reiterata politica d'insediamenti colonici nei Territori.
Ora invece Donald e "Bibi" sembrano parlare una lingua comune, e Tel Aviv può tornare alla Casa Bianca senza temere reprimende.
Già, l'Iran. Ora che Netanyahu può ribadire la netta opposizione d'Israele all'accordo sul nucleare iraniano, regista indiscusso Obama, gli ayatollah tornano in castigo. Il Muslim Ban, infatti, li investe in pieno. Ma hanno rialzato la testa e in risposta alle sanzioni firmate dagli Usa verso Corea del Nord, Iran e Russia il governo iraniano ha minacciato: basta sanzioni o abbandoniamo l'accordo sul nuleare "in poche ore".
Trump vuole revocare la politica di apertura verso Cuba, che fu l'ultimo successo di Obama. Washington ha deciso di ritirare oltre il 60% dei suoi funzionari dalla rappresentanza a L'Avana, invitando anche i turisti americani a evitare l'isola.
Cuba rappresenta il Novecento ?secolo breve? che Trump si ostina invece a leggere come ?secolo lungo?: cioè un mantra ideologico senza fine.
È forse questa la spiegazione. Trump non è l'uomo pragmatico che si pensa, bensì uno spirito ideologico: le sue strategie sono quindi labili, le sue idee possono cambiare o radicarsi senza preavviso; di certo il fantasma del predecessore continuerà ad ossessionarlo e nell'immediato futuro potremmo attenderci, ennesimo dietrofront, un surge afghano invece del ritiro progressivo disegnato da Obama.