Economia
May 25 2015
Odio Piero Tony. Odio che abbia aspettato di arrivare a 73 anni per tirare fuori il marcio del nostro sistema giudiziario. Odio che un uomo come lui, giudice istruttore, poi giudice di Corte d’assise, poi giudice minorile, poi procuratore, che ha indagato su quasi tutto, dalle Br al mostro di Firenze, non abbia avuto il coraggio e la spina dorsale di denunciare tutto quello che ha visto (ma mai subìto) nei suoi 45 anni di lavoro. Odio che mentre pochi, pochissimi giornalisti garantisti venivano messi ai margini delle redazioni perché criticavano le indagini pilotate, la magistratura politicizzata, le correnti che decidevano carriere, le sentenze dettate dall’ideologia, la giustizia stuprata da personaggi equivoci, lui se ne sia stato zitto. Per convenienza, per quieto vivere, per aprofittare dell’onda lunga del conformismo giudiziario. E odio che oggi dica, a due anni dalla pensione, che quello che dicevano quelle persone quando avevano 30 anni era tutto vero. Solo che all’epoca lui di anni ne aveva 50 e stava dall’altra parte. Tacendo. Pensando, forse, che bastasse fare bene il proprio mestiere per essere in pace con la propria coscienza, mentre invece, oggi si scopre che in pace con la sua coscienza non lo è mai stato visto che ha scritto un libro straordinario: “Io non posso tacere” (Einaudi), dove scoperchia il verminaio che è diventata la giustizia italiana.
Odio che qualcuno, per sostenere le tesi che Piero Tony conferma giuste, sia dovuto morire, schiacchiato da inchieste popolari atte a realizzare quella uguaglianza delle classi che nulla ha a che vedere con la giustizia. Odio che dica, ora, che i magistrati parlano con gli atti e non con le conferenze stampa, che le intercettazioni non vanno sventolate davati alle bocche fameliche e salivose dei giornalisti manettari, che gli atti processuali sono cose serie e non il palco sul quale mandare in scena un indecoroso avanspettacolo giudiziario con lo scopo di aizzare l’odio popolare. Odio che Tony oggi dica che “il processo in Italia non è più un semplice processo ma è spesso una grande gogna”; che “le correnti della magistratura sono diventate il male della nostra professione”; che tutta la sinistra si è sdraiata a corpo morto sui magistrati e inzuppato tutta la politica italiana di giudici e procuratori usando la loro supposta, molto supposta, superiorità etica per ammazzare moralmente tutti gli altri partiti; che la magistratura persegue “non più solo i reati ma anche i fenomeni”; che la Corte Costituzionale è spesso preoccupata di “entrare in sintonia con il mainstream, con la pubblica opinione”; di aver visto “magistrati passare con scioltezza dall’aula di un tribunale all’aula del Parlamento per poi tornare di nuovo, fischiettando allegramente, in un’aula di tribunale”; che “il garantismo è estraneo al dna di Magistratuta Democratica” (ma questo l’avevamo capito anche da soli); che “il grande problema di oggi è che il funzionamento dell’intero sistema giudiziario è capillarmente condizionato dalle correnti”; che “la situzione di oggi è questa: una magistratura corporativa e politicizzata, vistosamente legata ai centri di potere”.
Odio che per decenni Tony abbia fatto parte di quella parte della magistratura, quella peggiore, quella giacobina, quella che vuole raddrizzare la spina dorsale del genere umano attraverso quella gigantesca puttanata che va sotto il nome di “obbligatorietà dell’azione penale”. Odio che oggi scriva che Magistratura Democratica, della quale ha fatto parte per decenni, non abbia come fine la giustizia, ma “una singolare missione socioequitativa realizzabile non con la difesa dei più deboli ma con l’attacco ai più forti”. Odio di averlo sempre saputo, di averne sempre avute le prove, di essermi sentito rinfacciare, solo per il fatto di dirlo, la “contiguità” con “ambienti” che, essendo “ambienti” erano “oscuri”, cioè “inquinati” perciò “forti”.
Odio che sia stato necessario arrivare a due anni dalla pensione per dire che i garantisti di ieri, e quelli di oggi, hanno sempre avuto ragione avendo però permesso che si prendessero sputi in faccia dai magistrati della sua stessa corrente e da una politica cacasotto. Odio tutto. Odio questo libro. Odio chi l’ha scritto. Odio scoprire ora che ciò in cui ho creduto e credo ancora sia sempre stato giusto e odio che a dirmelo sia uno che per mezzo secolo è stato dall’altra parte, mentre i suoi compagni di corrente massacravano quelli come me. Quelli come noi. Odio non essere riuscito a finire il suo libro perché arrivato a metà non ho resistito alla tentazione di lanciarlo contro il muro e odio dover dire che, nonostante questo, “Io non posso tacere” è un libro che tutti, tutti!, dovrebbero leggere soprattutto a scuola, nelle Università, nei bar, nelle piazze, nei luoghi di lavoro e nelle famiglie perché diventi chiaro a tutti a quali loschi figuri abbiamo consegnato non solo il potere di decidere della libertà, cioè della vita, delle persone, ma perfino l’indirizzo politico del Paese, le scelte economiche e, ancor più indecente, gli orientamenti etici. Odio il silenzio. E Piero Tony è stato troppi anni in silenzio perché io non lo possa odiare. Odio dover dare ragione alla profezia di De André: “Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio”.