Cosa insegnano le Olimpiadi ai nostri studenti (e non solo)

Nella lunga pausa scolastica estiva, molti studenti stanno certamente prestando attenzione all’evento olimpico che ha molto da insegnare, a patto che non si demolisca.

In queste settimane di vacanze scolastiche e di televisioni spesso sintonizzate sui canali che trasmettono le Olimpiadi, il popolo della scuola può prendere a esempio molto della manifestazione olimpica. Innanzitutto, ogni giorno si assiste a successi, certamente, ma anche a sconfitte, fallimenti, delusioni. Gli atleti delle varie discipline si cimentano in batterie di qualificazione, semifinali e finali consapevoli che uno solo vincerà e che altri due finiranno sul podio, senza appelli per nessun altro. La scuola non è un ambiente costruito sulla competizione, tanto è vero che non ci sono numeri chiusi e, al contrario, ognuno può farcela senza che si escluda qualcun altro, eppure si fa sempre più fatica ad accogliere un giudizio duro, o insoddisfacente, così come un fallimento – che può capitare, in una batteria di tiro al piattello così come in una versione in classe, a tre chilometri dal traguardo mentre si è in testa alla gara ciclistica com’è accaduto a Remco Evenepoel, o nel tema d’esame alla maturità. L’inciampo fa parte della vita, così come ne fanno parte l’insuccesso, il fallimento, il giudizio difficile da accettare, la sconfitta bruciante: gli olimpionici dimostrano di saperlo e di farne esperienza. Portiamo a scuola questo buon senso, questo valore, questo realismo.

C’è poi il tema dell’impegno, per certi versi connesso al risultato finale, per cui a fronte di anni di preparazione un atleta va incontro a una prova insufficiente, o inferiore a molti altri colleghi, fino alla conquista della cosiddetta “medaglia di legno”, il quarto posto che tocca – è bene ricordarlo - a un atleta per disciplina. Lo sanno bene le nuotatrici Benedetta Pilato e Simona Quadarella, due tra le tante. Chi si presenta alle Olimpiadi è già stato protagonista di un percorso di avvicinamento serio, preparatorio, complesso; certo, a quel punto si tenta di conquistare una medaglia, ma esserci per dare tutto ciò che si può è colto dagli atleti come un successo e le varie interviste nei dopogara lo dimostrano. Chi non ha profuso impegno per partecipare alla prova in questione si concede a volte interventi fuori luogo, in particolare per chi invece sa bene dei sacrifici fatti per prepararsi a correre e competere. E’ la vittoria dell’impegno e dell’abnegazione più vere, quelle che possono anche superare il risultato. Ed è un’altra lezione per la scuola, sempre meno abituata a richiedere impegno considerandolo normalità, sempre più volta a premiare eccezionalmente la normalità, o quella che dovrebbe essere, sempre più preoccupata dei risultati, che inevitabilmente finiscono per essere gonfiati, come se fosse il risultato l’unico indicatore di un percorso ben fatto. Sarebbe bello che gli studenti fossero insoddisfatti di una prova per cui hanno dato molto, ma allo stesso modo lo fossero anche per la preparazione insufficiente che hanno dedicato per altre prove. Sarebbe bello che i docenti segnalassero tutto ciò senza timore, premiando i percorsi virtuosi e riprendendo come insufficienti quelli opachi, disimpegnati, buttati lì. Sarebbe bello che i genitori fossero nella posizione di richiedere ai loro figli di studiare come attività prioritaria delle loro giornate, essendo peraltro studenti come recita la carta di identità, senza più alibi, senza ingannarsi, senza cercare scappatoie da manuale di psicologia.

Infine, il tema della fama. Le Olimpiadi portano alla ribalta sportivi noti, si pensi a Novak Djokovic su tutti, ma per lo più i volti sono totalmente sconosciuti. Atleti che nella vita si sono dedicati alle più svariate discipline nell’anonimato, fino a raggiungerne la vetta e la conseguente fama, sia pur effimera ma certamente corollario di una gioia personale indimenticabile, piena, soddisfacente, eterna – come direbbero gli antichi. La scuola guardi a questi esempi, a queste persone che hanno dedicato anni alla costruzione di un gesto atletico, lavorando sulla mira, sul fiato, sul movimento, sulla concentrazione, fino a sfiorare la perfezione. La scuola porti in palmo di mano queste storie così lontane dallo sport stereotipato fatto di soldi e bella vita, ma che esalta chi ha dedicato ogni giorno – per anni – cura ai dettagli. Un plauso a tutti quei docenti che hanno pensato di suggerire di guardare le Olimpiadi ai loro studenti, fin dalla primaria: al netto del circo mediatico che siamo sempre in grado di montare intorno a qualsiasi attività umana, le Olimpiadi sono ancora in grado di essere magistrali.

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