Ong e Chiesa con il migrante violento e i cittadini con il poliziotto

Garantire la sicurezza, soprattutto nei quartieri più difficili, dovrebbe essere la priorità del potere pubblico. Assicurare l’incolumità dei cittadini, non lasciare pezzi di territorio nelle mani dell’illegalità. Eppure, proprio sulla difesa un bene pubblico supremo, su cui tutti dovrebbero essere d’accordo, si consumano le fratture più profonde.

Basti vedere cosa sta accadendo a Verona, una città spaccata a metà come non si vedeva dai tempi dei Montecchi e Capuleti. Divisa tra due legioni inconciliabili: pro-polizia e pro-migranti. I fatti sono noti. Domenica mattina, dopo una notte di vandalismi, alla stazione di Porta Nuova il giovane migrante Moussa Diarra ha aggredito agenti in divisa con un coltello. Uno di loro ha fatto fuoco centrandolo in petto. Il poliziotto è stato iscritto nel registro degli indagati per verificare che la sua reazione sia stata proporzionata alla minaccia subita.

Mai come stavolta la contrapposizione tra le due tifoserie balza agli occhi per la sua bellicosità. La sinistra cittadina tuona contro la polizia, sostenendo che l’omicidio non ha giustificazione, e la Curia vescovile pare accodarsi, allestendo una veglia per la vittima proprio davanti alla Stazione. Dall’altra sponda, commercianti, artigiani, semplici cittadini del rione, insomma chi vive la strada quotidianamente si schiera senza se e senza ma con il poliziotto indagato. Nelle ultime ore un ristoratore della città ha lanciato una raccolta fondi a sostegno dell’agente della Polfer che ha sparato contro il migrante. “Abbiamo il dovere – ha detto il ristoratore aprendo un conto corrente per la colletta – di supportare le forze dell’ordine che si adoperano per garantire la sicurezza, in un contesto in cui quest’ultima è sempre più vacillante”. Con lui, si diceva, la pancia della città. Quelli che ogni giorno devono fronteggiare grandi e piccoli episodi di criminalità, nelle periferie troppo spesso dimenticate.

In questa lotta tra fazioni opposte, l’impressione è che la cittadinanza, che da tempo lamenta l’abbandono della stazione di Verona all’incuria, sia quella più legata alla realtà concreta, e meno ai ragionamenti astratti. A prescindere da come verrà giudicato il poliziotto coinvolto, non è la prima volta che dalle periferie sale un grido di dolore che i governanti preferiscono non ascoltare. Finché non ci scappa il morto.

L’altra considerazione riguarda, doverosamente, gli agenti in divisa. Ogni incidente che concerne il loro lavoro quotidiano finisce politicamente strumentalizzato. E i poliziotti non se lo meritano. Il loro lavoro quotidiano, pericoloso e malpagato, di solito non fa notizia. I riflettori si accendono sulle forze dell’ordine, il più delle volte, quando qualcuno sforna un giudizio già scritto, preconfezionato, talvolta mosso da spinte ideologiche. Verona oggi, con le sue faglie sismiche che la attraversano, è uno spaccato del Paese. Lo specchio di un nodo irrisolto, dove la paura dei cittadini rischia di diventare rabbia.

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