News
June 11 2018
Le navi delle Ong continuano a sbarcare clandestini in Italia, facendo quello che vogliono davanti alle coste libiche. Sono 17.178 i migranti, in gran parte economici senza alcun diritto all'asilo, arrivati in Italia dal luglio 2017 sulle navi delle Organizzazioni non governative.
Proprio 11 mesi fa entrava in vigore il codice Minniti per le Ong, che è servito ad abbattere drasticamente gli arrivi rispetto al boom degli anni precedenti. Ma non del tutto. Perché gli umanitari rimasti nel Mediterraneo, nonostante abbiano firmato il codice, continuano a fare i furbetti. L'ha scoperto Panorama, sfogliando l'elenco di 300 pagine con i dati salienti dei soccorsi delle organizzazioni non governative. Operazioni che spesso non sono altro che recuperi in mare, in alcuni casi addirittura su "appuntamento", dei gommoni salpati dalla Libia. Il tutto in aperta sfida alla Guardia costiera libica e agli ordini del comando dei soccorsi di Roma.
La stessa lista è sotto la lente della procura di Catania, che indaga sulle Ong. L'ultima battaglia navale è del 24 maggio, quando la motovedetta Zwara salpa da Khoms per intercettare un gommone a 25 miglia dalle coste libiche. Le comunicazioni in mano a Panorama dimostrano come la segnalazione, che ha allertato pure le navi delle Ong tedesche Sea Watch e Sea Fuchs, sia arrivata dalla Centrale operativa della Guardia costiera italiana, obbligata a rispondere a tutte le richieste di emergenza.
"Cari signori, vi informiamo che alle ore 9 Zulu un assetto aereo (militare, ndr) ha segnalato un gommone con circa 200 migranti nella posizione Lat. 33° 13' N - Long. 014° 03' E". La comunicazione è indirizzata alla Guardia costiera libica che dallo scorso anno, con l'aiuto dell'Italia, sta cercando di fermare il traffico di esseri umani. E per conoscenza alle due navi delle Ong nell'area.
I libici rispondono per iscritto assumendo la "responsabilità dell'operazione di ricerca e soccorso" e invitano espressamente "tutti gli altri assetti nell'area a rimanere a una distanza di cinque miglia dall'evento". Se i migranti vedono le navi delle Ong, si gettano in mare anche senza saper nuotare, pur di non tornare in Libia. Roma informa gli umanitari che devono intervenire i libici, ma Sea watch3 la ignora e recupera 157 migranti. Il giorno dopo ne raccoglie altri 295. La ong tedesca non solo non rispetta il codice Minniti, che seppure in maniera ambigua, impone la collaborazione con Tripoli; fa anche orecchie da mercante agli ordini di Roma. In teoria i 496 migranti sarebbero dovuti sbarcarea Malta, il "porto sicuro" più vicino. Oppure in Olanda, lo Stato di bandiera della nave. In realtà, sono arrivati tutti a Messina il 28 maggio.
L'autorizzazione spetta alla Guardia costiera, che dipende dal ministero dei Trasporti, e al Viminale. Non a caso, il 2 giugno il neo ministro dell'Interno Matteo Salvini ha dichiarato che "gli Stati devono tornare a fare gli Stati e nessun vice scafista deve attraccare nei porti italiani". Il riferimento è chiaramente alle Ong.
Da Tripoli una fonte di Panorama in prima linea nella lotta ai trafficanti spiega che "le navi delle Ong, complice il Ramadan, si avvicinano sempre più alle coste, con un effetto calamita per i migranti". E aggiunge: "Gli umanitari puntano a provocare una tragedia in mare, coinvolgendo la Guardia costiera libica, per mettere in difficoltà il nuovo governo italiano".
Nel frattempo, la tragedia si è verificata al largo della Tunisia dove il 3 giugno sono annegate 52 persone partite da Sfax su un barcone diretto in Italia.
Da Algeria e Tunisia è ripreso da inizio anno il traffico di esseri umani, che nei primi quattro mesi ha fatto sbarcare in Sardegna e Sicilia 2.488 migranti. Dal varo della "cura" Minniti, gli sbarchi sono costantemente diminuiti, arrivando a fine maggio a un -78 per cento (13.303 arrivi) rispetto allo stesso periodo del 2017.
"Non possiamo dormire sonni tranquilli perché in Libia ci sono almeno 400 mila persone che vorrebbero venire in Italia" avverte un addetto ai lavori. Le Ong continuano a dominare la scena nei soccorsi/ recuperi in mare rispetto alle flotte militari e mercantili. Dal primo gennaio al 20 maggio 2018, grazie alle Ong sono arrivate in Italia 7.087 persone dalla Libia. La novità è che nello stesso periodo la Guardia costiera libica ha intercettato 6.259 migranti, riportandoli indietro. Per la prima volta i numeri quasi si equivalgono, ma le Ong non demordono.
Tutti i soccorsi degli ultimi 11 mesi sono avvenuti entro le 80 miglia dichiarate da Tripoli zona di competenza Sar di ricerca e soccorso. Quella italiana è di mezzo milione di chilometri quadrati, ma finora operavamo su uno specchio di mare due volte più grande: metà del Mediterraneo.
La Guardia costiera, si legge sul sito, ha l'obbligo di intervenire se riceve "direttamente la segnalazione di un'emergenza in atto", anche fuori dalla propria area Sar. Fino all'estate 2017, la Centrale operativa di Roma inviava la segnalazione dei migranti in mare al Paese di competenza, che poteva essere Malta, la Tunisia, l'Algeria o la Libia. Nessuno però rispondeva. Oggi la Guardia costiera di Tripoli è operativa, ma le chiamate di "soccorso" continuano ad arrivare a Roma.
Dalla descrizione dei 162 interventi delle Ong da luglio 2017 a fine aprile, in possesso di Panorama, si scopre che 49 telefonate sono arrivate da apparecchi Thuraya. I trafficanti consegnano il satellitare allo scafista o al migrante, messo al timone sapendo che la centrale di Roma può individuare l'esatta posizione. Talvolta sono addirittura i trafficanti a chiamare da cellulari libici o utenze sconosciute, spacciandosi per parenti dei migranti appena partiti.
Il 17 settembre è arrivata una telefonata da Zwara, a Ovest di Tripoli, "che riferisce la partenza di un barchino". I migranti sono stati recuperati dalla nave Aquarius di Sos Mediterranée, fondata da un ex ufficiale di Marina tedesco.
Un mese dopo, stessa segnalazione da Gsm alla centrale di Roma per 14 migranti portati a Catania dai tedeschi di Sea Fuchs. La chiamata, partita dall'utenza libica 00218916968...., è servita a recuperare 12 migranti, che poi sono stati trasbordati sulla nave Diciotti della Guardia costiera per arrivare a Vibo Valentia. Un sospetto trafficante addirittura si presenta come "sig. Mohammed", chiamando con un cellulare dalla Libia per informare dell'arrivo di un "barchino con 40 clandestini". Tutti presi dalla Sea Fuchs, che poi vengono trasbordati su tre navi diverse, contravvenendo al codice Minniti, prima di arrivare in Italia.
Al comando di Roma è tornato a farsi sentire il "salvatore" dei migranti don Mussie Zerai, dopo essere stato indagato dalla procura di Trapani, che ha aperto un'inchiesta sulle Ong. Il 18 marzo ha segnalato "un gommone con 106 clandestini soccorsi da M/N Ong Open arms. Successivamente migranti trasbordati su M/N Ong Aquarius". Si fa ogni tanto sentire anche Sophie Nawal, un'altra telefonista dei migranti, come l'agenzia Habeisha e il portale Watch the Med, fondati da Zerai.
La telefonata di allarme più curiosa è della "sig.ra Miriam Hedin dalla Germania", che segnala la partenza di un barchino con soli quattro migranti, poi sbarcati dalla nave Open arms ad Augusta. Dopo i Thuraya, il grosso delle segnalazioni dei gommoni, 47, vengono fatte a Roma dalle stesse navi o grazie ai droni delle Ong, che adesso hanno addirittura due aerei francesi a Malta.
Il numero più alto di recuperi (44) spetta ad Aquarius, seguita da Open arms e Sea watch. Il 28 gennaio la nave Aquarius, grazie a una segnalazionea Roma da "utenza sconosciuta" soccorre un "gommone con 87 clandestini", ma nelle acque territoriali libiche a 10 miglia dalla costa. Tutti sbarcati a Catania, assieme ad altri 418 migranti. Il 18 aprile, sempre la stessa nave umanitaria interviene a 12 miglia al limite delle acque territoriali, portando 223 migrantia Trapani.
Solo nei primi quattro mesi dell'anno, gli umanitari sono intervenuti 14 volte nelle cosiddette acque contigue, non proprio internazionali, entro le 24 miglia dalla Libia. La flotta delle Ong, dimezzata rispetto ai tempi d'oro del 2016-2017, è composta da sei navi, che salpano da Malta, senza sbarcare un solo migrante sull'isola dell'Unione europea.
Non solo: a inizio maggio gli intransigenti dell'associazione Global Legal Action Network hanno denunciato Roma alla Corte europea dei diritti umani. L'accusa? Avere appoggiato la Guardia costiera libica, che secondo gli umanitari sarebbe responsabile della morte in mare di due bambini in un contestato soccorso del 6 novembre sfociato in una battaglia navale con Sea Watch 3. La nave umanitaria dell'omonima Ong tedesca è malvista dai libici. A Tripoli la fonte di Panorama teme il peggio: "Se continua così, dopo il mese di digiuno islamico, Sea Watch rischia di essere sequestrata dalle forze libiche con tutto il suo carico di migranti".
-------
L'immigrazione selvaggia è insostenibile. Doverci sobbarcare da soli l'accoglienza di migliaia di clandestini ogni giorno porta al risultato di vedere città piene di sbandati, sospesi in un limbo senza speranza. E porta a una microcriminalità diffusa, a quel senso di insicurezza che respiriamo tutti, con buona pace dei vuoti slogan buonisti di Roberto Saviano, di Laura Boldrini e di certa sinistra ideologica.
Però quello che ha sparato a Soumaila Sacko non è un italiano esasperato. È uno "sporco bianco", verrebbe da rispondere a chi parla di "sporchi negri". È uno che va arrestato e che deve scontare la sua pena. Sparare a un ragazzo con regolare permesso di soggiorno che aiuta quelli come lui, schiavizzati ed emarginati anche quando hanno le carte in regola, uccidere uno che sta raccogliendo un pezzo di lamiera per farne un tetto, non c'entra niente con la regolamentazione dei flussi. C'entra con la barbarie. E un governo deve dirlo subito, non aspettare. Deve scandirlo in piazza alla sua gente, visto che ormai si governa in piazza e con la piazza.
Meno male che esistono poliziotti e carabinieri, meno male che il colore della loro divisa non è un colore politico, non è il colore della pelle, ma è il colore di tutti, bianchi e neri.
(Articolo pubblicato sul n° 25 di Panorama, in edicola dal 7 giugno 2018 con il titolo di "Le Ong così ci beffano")