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March 06 2017
Per Lookout news
Il prossimo 16 aprile in Turchia si terrà il referendum costituzionale voluto dal presidente Recep Tayyip Erdogan e destinato a trasformare il Paese in una Repubblica presidenziale a forte impronta autoritaria. La riforma costituzionale è stata approvata in via definitiva dal parlamento di Ankara lo scorso 21 gennaio, dopo un dibattito parlamentare segnato da violenti scontri, anche fisici, tra deputati di opposto segno politico.
La nuova Costituzione che verrà sottoposta al vaglio del popolo turco attraverso il referendum, vedrà la soppressione delle norme che garantiscono la separazione dei poteri – i “check and balance” tipici delle democrazie liberali – e darà al presidente della Repubblica il controllo diretto del sistema giudiziario consentendogli, se rieletto nel 2019, di restare in carica fino al 2029. Ciò significherebbe che Erdogan, già al potere da quattordici anni, potrebbe garantirsi un altro decennio alla guida della Turchia.
Anche se tutti i sondaggi danno il “sì” alla riforma favorito con un buon margine, il presidente e i massimi esponenti del suo partito, l’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), sono impegnati in una accesa campagna elettorale che coinvolge anche i cittadini turchi residenti all’estero a partire dalla folta comunità – un milione e mezzo di persone – di emigrati in Germania.
Le relazioni tra Ankara e Berlino si sono ulteriormente inasprite lo scorso 27 febbraio dopo che una Corte turca ha convalidato l’arresto del giornalista turco-tedesco Deniz Yucel, corrispondente dalla capitale turca del quotidiano Die Welt, già detenuto in stato di fermo preventivo da quattordici giorni con l’accusa di «propaganda antigovernativa e di incitamento all’odio». Il giorno dopo questa decisione, che politici e media di tutta la Germania hanno definito «liberticida», le autorità di due città tedesche, Colonia e Gaggenau, hanno revocato il permesso, per presunti motivi di «sicurezza pubblica», a tenere pubblici comizi nei loro territori ai comitati a favore del “sì” al referendum del 16 aprile.
Anche se solo una settimana fa la cancelliera Angela Merkel aveva rifiutato di vietare su tutto il territorio nazionale a politici turchi di fare propaganda presso le comunità di migranti, ritenendo di non poter porre limiti alla loro libertà di espressione, il bando nelle due città tedesche ha infuriato il governo turco, con Ankara che ha accusato Berlino di lavorare attivamente per favorire la vittoria del “no” al referendum, interferendo così negli affari interni della Turchia.
Erdogan non si è limitato a protestare ma è andato molto oltre. Durante un comizio a Istanbul nella giornata di domenica 5 marzo, il presidente turco ha alzato i toni della polemica accusando la Germania di «abitudini naziste». «La Germania – ha dichiarato Erdogan davanti a migliaia di suoi sostenitori – non ha alcuna relazione con la democrazia. Le sue azioni non sono diverse da quelle del nazismo. Pensavo che i tedeschi avessero tagliato i ponti col nazismo. Mi ero sbagliato». In un crescendo polemico apparentemente incontrollabile, il presidente turco ha poi aggiunto: «Se voglio andare in Germania lo farò e se non mi verranno aperte le porte, se non mi sarà permesso di parlare solleverò il mondo intero».
Anche se la Merkel non ha ancora commentato l’uscita di Erdogan, il mondo politico tedesco è rimasto sotto shock. Il ministro della Giustizia tedesco, Heiko Maas, ha dichiarato alla televisione ARD che le parole di Erdogan sono da ritenersi «assurde, vergognose e fuori misura», sottolineando però che rompere le relazioni diplomatiche con Ankara, o vietare al presidente turco di entrare in Germania, sarebbe una mossa controproducente perché «getterebbe Erdogan nelle braccia di Vladimir Putin, una cosa che nessuno vuole».
Andreas Scheuer, segretario della CSU (Unione Cristiano-Sociale), ha definito il presidente turco «despota del Bosforo» e «responsabile di una gaffe mostruosa che esige delle pubbliche scuse», mentre Julia Klockner, numero due della CDU (Unione Cristiano-Democratica), il partito della Merkel, ha detto in un’intervista al quotidiano Bild che «il paragone col nazismo segna un livello inaccettabile di eccesso e di intemperanza».
La guerra di parole tra Germania e Turchia mette dunque in grave crisi i rapporti tra i due Paesi, ambedue membri della NATO, e pone una seria ipoteca all’accordo dell’aprile 2016 tra Unione Europea e Turchia, che era stato promosso in prima persona dalla Merkel e grazie al quale, dietro il pagamento ad Ankara di tre miliardi di euro, il governo turco si era impegnato a porre un freno all’ondata migratoria di profughi siriani verso l’Europa.
Un sondaggio condotto da Bild Am Sonntag, versione domenicale del Bild, mostra che l’81% dei tedeschi ritiene che il governo Merkel sia stata finora troppo accomodante nei confronti di Erdogan, mentre il magazine Der Spiegel, nel numero in edicola il 5 marzo, in un editoriale dai toni infuriati contro Ankara sollecita la cancelliera «a liberarsi dalle manette dell’accordo (con Erdogan, ndr) sui migranti».
Erdogan, dopo il fallito colpo di stato del luglio 2016, non soltanto ha spedito in carcere migliaia di oppositori, veri o presunti, ma non ha avuto scrupoli a intervenire in Siria con forze di terra in funzione anti-curda nell’ambito dell’operazione “Scudo sull’Eufrate”. Un’operazione condotta in accordo con i militari russi, al di fuori di ogni coordinamento con gli alleati della NATO.
Ora, mentre sta conducendo il suo Paese verso un referendum che lo trasformerà in un qualcosa di più vicino a una dittatura che a una democrazia occidentale, il “despota del Bosforo” con un’aggressione verbale senza precedenti potrebbe dover tagliare i ponti con il governo europeo che finora si è dimostrato più benevolo nei suoi confronti. L’adesione della Turchia all’Unione Europea si allontana sempre di più e presto anche la sua partnership con la NATO potrebbe essere messa in discussione.