L'ora legale al tempo di Ficarra e Picone – La recensione
Ficarra e Picone dieci anni dopo. Meglio, celebrazione di un decennale nel cinema. Da Il 7 e l’8 (2007) a L’ora legaledi oggi (uscita in sala il 19 gennaio). In mezzo altri tre film, La matassa nel 2009; Anche se è amore non si vede nel 2011; Andiamo a quel paese nel 2014. Tutti fortunati, inseriti in un percorso di crescita che artisticamente, fra teatro, televisione e ancora cinema solo da attori, oltrepassa in verità – e largamente – il ventennale di attività. Presenze di rilievo, insomma, nella costanza di un cinema comico che non ha mai dimenticato il sociale, anzi da questo è partito per sviluppare temi, storie, modi narrativi. Per ridere, ogni volta, di qualche profilo deteriore, drammatico o problematico dell’Italia: dalla mafia alla crisi abitativa e via così.
Lancette avanti e indietro
Adesso, appunto l’ora legale. Lancette avanti di un’ora all’inizio, indietro di altrettanto alla fine. Più luce, meno luce. Meno sonno, più sonno. Tic, tac. Solo l’altra faccia dell’ora solare? No, perché all’interno di questo arco temporale, nel comune siciliano e immaginario di Pietrammare succedono molte cose. Intanto le elezioni per eleggere il nuovo sindaco. Con due candidati, quello uscente Gaetano Patanè (Tony Sperandeo) con Salvo (Ficarra) a sostenerne la campagna elettorale e l’aspirante Pierpaolo Natoli (Vincenzo Amato) appoggiato invece da Valentino (Picone). Tipico rappresentante, il primo, di un ancient régime fatto d’intrallazzi, favori, mazzette, permissivismo sfrenato; egualmente caratteristico il secondo, un professore quintessenza dell’onestà, sguardo d’agnello, umile e dimesso profeta del “cambiamento”.
Tanta voglia di cambiare
Non c’è bisogno di sondaggi per prevedere chi vincerà, tanto forte è la convinzione che le cose resteranno come sono pure in virtù del forte spessore clientelare della giunta guidata da Patanè. Invece, a sorpresa, trionfa Natoli. La gente vuole rinnovare, correggere, modificare. E tutto ricomincia. Con Salvo che s’affretta (sempre pronto al doppio gioco) a salire sul carro del vincitore associandosi a Valentino, col quale divide le fortune d’un chiosco bar davanti al municipio attorno al quale aspira a costruire un gigantesco gazebo naturalmente in odore d’illegalità. E con la gente del paese che incomincia a subire gli effetti del tanto atteso mutamento.
Il prezzo della legalità
Ma il rispetto delle leggi e l’onestà hanno un loro prezzo: che vuol dire fine di ogni abusivismo, che sia edilizio o di un semplice parcheggiatore, multe per divieti di sosta, pedonalizzazioni e piste ciclabili, richiami al lavoro per chi non ha mai lavorato, richieste comunali di tasse mai pagate. Insomma un inferno. E Pietrammare, rispolverando il detto del “si stava meglio quando si stava peggio”, non tarda a manifestare un’autentica crisi di rigetto per quella legalità tanto voluta quanto invasiva e alluvionale. Preparando il terreno, non senza l’occulto ma vipereo adoperarsi del parroco Padre Raffaele (Leo Gullotta, quasi un padre-padrino), ad un rassicurante ritorno all’antico.
La comicità e l'irriverenza
Una parabola. Narrativa e temporale. Chiusa tra i due spostamenti di lancette sull’orologio appeso al chiosco di Salvo e Valentino. Fuga in avanti e marcia indietro. L’ora legale e quella illegale. Fate voi. Dov’è la disgrazia e dove il punto d’equilibrio tra il vecchio e il nuovo, tra la misura e l’eccesso, tra la responsabilità e il fanatismo? Se lo chiedono, Ficarra e Picone, ridendo e facendo ridere, ancora meglio ridendosela com’è nelle loro prerogative d’intelligenza comica. Senza, peraltro, rinunciare alla critica, all’irriverenza e all’unghiata: sul filo di una sceneggiatura scritta insieme con Edoardo De Angelis, Nicola Guaglianone e Fabrizio Testini.
Attualità, con leggerezza
Si può fare del cinema politico, anzi civile, senza urlare o insultare? Evidentemente sì, addirittura con leggerezza e garbo, evitando le clowneries e rimanendo assicurati alla realtà, alle cronache quotidiane, insomma all’attualità. Ciascuno, dietro i personaggi e le situazioni che si determinano, può vedere in filigrana questo o quell’uomo, questo o quello schieramento. Non è necessario prenderne le parti perché il film “osserva”, divertito, l’evoluzione delle cose lasciando tremolare la linea di confine tra il buonsenso e l’intransigenza. È un metodo che, per fortuna, né inturgidisce né enfatizza i contenuti a pregiudizio della forma; cioè di quella sostanza ilare, un po’ grottesca e profondamente satirica che la coppia siciliana spalma sempre sulle sue espressioni più valide e le sue migliori definizioni.
Quella coppia equilibrata
Sono delle qualità che, puntualmente, ritroviamo anche in questa commedia calda e meridiana che sarebbe banale definire di costume, ambientazione abituale e microcosmica, garante di un divertimento equilibrato tra il mimétisme più esuberante della maschera di Ficarra e quello più placido, flemmatico e pacifico di Picone. Nel contrasto, l’armonia e il ritmo. E non solo. Anche la grazia.
Altri attori coloriscono la storia con belle caratterizzazioni. S’è detto di Gullotta artista esemplare; si dirà dei due vigili Gianni e Michele (Sergio Friscia e Antonio Catania) chiamati ad un “ordine” cui loro stessi, per primi, vorrebbero sottrarsi; del parcheggiatore abusivo (Francesco Benigno) improvvisamente privato delle macchine nella piazza diventata isola pedonale; della dura e pura Betti (Eleonora De Luca) figlia del puro e meno duro Natoli. Non figurine ma elementi funzionali ad una narrazione vivace e, a suo modo, edificante.
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