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June 02 2024
L’ultima procedura di assunzione per i docenti di religione nel sistema scolastico italiano risale al 2004, mese di febbraio. Sono passati vent’anni: nessuno degli studenti in aula stamattina era nato, si iniziava a ragionare in euro senza ricorrere alla “vecchia lira”, il papa era Giovanni Paolo II, Marco Masini vinceva il Festival di Sanremo, Roberto Baggio e Michael Schumacher incantavano ogni domenica su campi da gioco e nastri d’asfalto. Ne è passato di tempo e ora, dopo vent’anni, si sono predisposte più di seimila assunzioni, 6428 per l’esattezza. Sembra una buona notizia, perché si stabilizzeranno migliaia di docenti precari e si assicureranno nuovi posti di lavori stabili, eppure c’è polemica.
La regolarizzazione di migliaia di docenti non risolve il problema della precarietà, sostengono i sindacati, perché i precari del mondo della scuola sono 250 mila. Vero, ma non si può accogliere con freddezza la sistemazione di qualche migliaio di persone. Una goccia nel mare, certo, ma una faccenda tra tantissime che ha un esito positivo.
Se la questione invece fosse più delicata, perché tange proprio l’ora di religione, o il tema vuole essere trattato in maniera più radicale e riguarda l’opportunità dell’insegnamento di religione per come è strutturato in Italia, allora si apra una discussione come si deve – senza semplificazioni, banalizzazioni e estremismi – senza rincorrere un provvedimento che riguarda il lavoro di molte persone e una notizia che va accolta come buona, senza corollari.
C’è chi ritiene che l’insegnamento vada affidato ad altri enti e non (solo) alla Chiesa Cattolica, o ancora che vada ripensata la procedura di selezione dei docenti: è tutto valido e anche tutto interessante, ma per pensare a tutto questo serve una riforma strutturale profonda e un approccio che nessun governo, di qualsiasi colore politico, ha mai realmente mostrato nella storia repubblicana.
Così, si procede spesso per vie più spicce, sostenendo ad esempio che l’ora vada abolita perché c’è un vertiginoso calo della scelta di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, come è previsto dalla normativa, cosa che per certi versi corrisponde all’analisi di un dato reale, ma che deve essere contestualizzato e messo a sistema con quello per cui ancora più dell’84% degli studenti delle nostre scuole sceglie di aderire a questa possibilità, nonostante l’alternativa sia allettante, perché spesso si tratta di entrare alla seconda ora o di uscire da scuola un’ora prima.
Peraltro, il certificato e incontrovertibile calo d’interesse per questo insegnamento dovrebbe preoccupare, perché non essendo un’ora di dottrina – questo ormai è chiaro! - ma di approfondimento culturale e argomentativo sulle Scritture, sulla figura di Cristo e sulle posizioni della Chiesa nei confronti di molte questioni attuali, non parteciparvi riduce la possibilità di dialogo e di conoscenza di un orizzonte culturale con cui, in Occidente, tocca fare i conti per indagare il passato e comprendere il presente. Fedeli o no, la cosa non è importante, perché il cristianesimo permea l’Occidente con immagini e simboli, storie e suggestioni, arte di ogni tipo, uomini di potere temporale e spirituale, morale rispettata e disattesa, per cui conoscerlo e rifletterci è ancora decisivo: Dante e Manzoni possono essere letti al di là della propria fede, ma conoscere coordinate e simbologia cristiana li rendono più comprensibili e pienamente interpretabili, così altri grandi uomini della nostra civiltà si sono confrontati con la figura di Cristo e con il simbolo della croce, si pensi a Van Gogh e a Gauguin per fare solo due nomi, ma anche a artisti e pensatori italiani contemporanei e non credenti come Dario Fo e Umberto Eco. Proprio Eco ha sempre sostenuto che la Bibbia è la grande assente dall’orizzonte culturale proposto nelle nostre scuole.
La religione e il suo insegnamento, quindi, per approfondire l’indagine circa l’origine dell’Occidente e della sua forma, ma anche come strumento per fare esperienza di dialogo, come possibilità di trattare l’argomento spirituale - che non significa confessionale - proponendo un orizzonte d’indagine sempre meno presente nelle vite degli studenti, e non solo, di questo XXI secolo che non lascia spazio per l’autoanalisi, il raccoglimento, il silenzio, la ricerca di senso.
L’ora di religione resta, a oggi, un’isola di approfondimento di alcuni aspetti cruciali per comprendere l’uomo occidentale, ma è anche un momento di confronto. Certamente, questo confronto è orientato perché il docente presenta la propria opinione fondandosi sui propri studi e verosimilmente sulle tesi sostenute dalla Chiesa, ma è esperienza di tutte le aule italiane quella di una grande disponibilità all’ascolto e al dialogo e, spesso, le posizioni diverse danno origine a discussioni arricchenti senza che il docente insegni imponendo convinzioni. Ma alcune volte lo fa? È possibile, così come può farlo qualunque docente dalla sua cattedra, proponendosi opportunamente o meno come modello di comportamento e di etica.
Un insegnamento onesto propone sempre una visione politica, una riflessione sull’attualità e un fatto culturale nella sua problematicità, nella sua criticità, rendendo analisi e dialogo interessanti e aprendo al dibattito: è questo un approccio che si può-deve chiedere ai nuovi seimila docenti di religione, così come è lecito che sia garantito dagli altri migliaia di colleghi che ogni giorno entrano in classe con i propri saperi, con le proprie posizioni, con le proprie conclusioni, con le proprie fragilità, con la propria vita.