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April 13 2022
Nel mondo della comunicazione non esiste la buona o cattiva pubblicità. Esiste la pubblicità: punto. Che è il contrario dell’anonimato. L’importante è esserci. Non esistono belle e brutte figure. La scelta è tra la visibilità e l’invisibilità. Tra esistere, ed essere dimenticati. Tra i riflettori, e l’oblìo. Questo principio vale su tutte le piattaforme, vecchie e nuove, dalla tv ai social.
Per questo continuare a parlare delle comparsate del professor Alessandro Orsini, comincia a diventare un esercizio inutile. O meglio, un esercizio utile soltanto a rinforzare il fenomeno mediatico in questione. Non a caso il personaggio (che nel merito dei suoi interventi non ha tutte le ragioni ma forse neanche tutti i torti) ultimamente sembra aver preso gusto a spararla ogni giorno più grossa. Il mondo gli si indigna intorno, facendo aumentare ulteriormente la sua visibilità, e così il giorno dopo, dalla stessa tribuna, viene sganciata una bomba ancor più fragorosa. E avanti così. Chi dice di combattere Orsini, in realtà lo sta ingigantendo. Per ingenuità, o per interesse commerciale.
In tutto questo, ultimamente le bombe di Orsini stanno diventando quasi armi non convenzionali. E così “il segretario della Nato è un pazzo”, e così “avete chiesto ai bambini se vogliono resistere?”. Fino all’ultima uscita: “La mente umana – ha detto il professore – non è in grado di farsi carico di tutte queste informazioni. Per me è normale farlo. L’uomo comune invece, compresi alcuni giornalisti e politici, non conosce la politica internazionale”. Il fatto che Orsini si consideri un uomo fuori dal comune, quasi un super-uomo, rientra nell’operazione di cui sopra: sul proscenio, paga più la superbia dell’umiltà. Paga più la presunzione del dubbio. Anzi, nella logica dello spettacolo, che sempre più spesso è il datore di lavoro dell’informazione, quanto più si alimenta la rissa, tanto più la folla risponde eccitandosi. Accadeva così duemila anni fa nel Colosseo, accade oggi su twitter e nelle altre arene mediatiche. Non dico che sia giusto o sbagliato: dico che questo è il meccanismo. Possiamo esserne consapevoli, oppure continuare a far finta di cascare dal pero. Come diceva Umberto Eco, “quello che rimane a far costume è il tono del dibattito, la presunzione che tutto è permesso”.
Questo lo sa Orsini, e soprattutto lo sa chi gli accende il microfono. I panegirici intorno alla libertà di pensiero, e al dovere di far parlare tutti - altrimenti è censura -rappresentano un furbesco depistaggio. Non è vero che tutti possano e debbano conquistare la ribalta, se non altro perché questa ribalta ha dimensioni finite, non è così grande da poter accogliere l’universo mondo. Occorre fare delle scelte, che poi è l’essenza del giornalismo: e fare delle scelte comporta concedere la parola a uno e tacitare qualcun altro. Accordare un contraddittorio sempre e comunque, oppure negarlo. Ed è intorno a queste scelte, più che intorno alle intemerate di Orsini, che dovremmo discutere. Nell’era digitale, dove tutto è falsificabile – anche le immagini - , e dove abbiamo una grande fame di verità, far girare il mondo intorno ad Orsini è un trastullo portato avanti da chi ha molto tempo libero. E tante energie da buttare via.
Ps. E qui mi fermo, anche perché mi rendo conto - ahimè - che sto indugiando su Orsini anche io