Oscar 2021, vince Nomadland. Laura Pausini a mani vuote

Nomadland è il film vincitore di un'edizione degli Oscar inevitabilmente diversa e dai toni intimi e sommessi, celebrata in più location e senza grandi siparietti ed esibizioni, in epoca Covid. Resta a mani vuote l'Italia.

Forte di sei candidature, Nomadland di Chloé Zhao si aggiudica tre Oscar, tutti pesanti: miglior film, migliore regia e migliore attrice protagonista a Frances McDormand, che del film era anche produttrice e conquista la sua terza statuetta per l'interpretazione, sempre da protagonista. Ancora una volta la Mostra del cinema di Venezia traccia la strada: Nomadland, nella coraggiosa edizione scorsa in mascherina e gel sanificante, vinse il Leone d'oro.

«Grazie a tutta la comunità nomade, grazie di averci insegnato il potere della resilienza e della gentilezza», ha detto Zhao in sorriso contenuto e doppia treccina, regista cinese lanciatissima che in Nomadland celebra la vita nomade come scelta, seguendo una vedova rimasta senza lavoro che a bordo del suo van attraversa l'Ovest americano, dal deserto del Nevada alle Badlands del South Dakota: sul set, Frances in versione nomade si è relazionata con veri nomadi nei panni di se stessi.

Da Frances, come consuetudine di poche parole e un po' fuori dalle righe (alcune cose non cambiano), l'invito a tornare al cinema, appena possibile: «Guardate il nostro film dentro lo schermo più grande possibile. E in un giorno il più vicino possibile, in un cinema. Lo dobbiamo ai nostri lupi».

La cerimonia di premiazione degli Oscar, edizione 93, per colpa della pandemia ha visto tanti cambiamenti rispetto al solito. Ma uno dei più sorprendenti non sembra dipendere dal Covid: a chiudere la Notte degli Oscar non è stata la consacrazione del miglior film, come da rito, ma quella dei migliori attori protagonisti: il peso dei divi si fa sempre più imponente ad Hollywood? Oltre a Frances McDormand, per la categoria maschile è stato premiato Anthony Hopkins, anziano padre alle prese con realtà che si decompongono e sovrappongono nei suoi occhi confusi in The Father - Nulla è come sembra. È stata una vittoria non prevista: i pronostici immaginavano un Oscar postumo a Chadwick BosemanChadwick Boseman per Ma Rainey's Black Bottom. Per Hopkins, non presente alla Union Station, secondo Oscar dopo quello del 1992 per Il silenzio degli innocenti.

Union Station, sì, la stazione di Los Angeles che è stata anche location di diversi film passati come il cult Blade Runner con Harrison Ford (lui era presente, invece, tra gli ospiti pronti a introdurre e premiare). La Union Station è stata la nuova sede, affiancata allo storico Dolby Theatre, dove, distanziati e distribuiti su più tavoli e sedute, i nominati hanno potuto dislocarsi, come le misure di sicurezza pandemiche richiedono. Ma, come ha detto Bryan Cranston, uno dei presentatori in un Dolby Theatre dalle poltroncine vuote, «torneremo qui».

Per nominati, presentatori e parenti di nominati che non hanno potuto essere a Los Angeles, si sono accesi collegamenti e riflettori a distanza, a Seoul, Sydney, Roma, Londra, Kilkenny, Stoccolma…

L'Italia, come anticipato, è rimasta a mani vuote. Laura Pausini, che aveva aperto la nottata nel preshow «Oscar: In the Spotlight» con la sua esibizione di Io sì (dal film La vita davanti a sé di Edoardo Ponti) dalla Terrazza del Museo del cinema, in una registrazione di qualche giorno fa, non ha bissato il successo dei Golden Globe. Nella categoria migliore canzone originale ha avuto la meglio Fight For You di H.E.R. del film Judas and the Black Messiah. Oscar sfumati anche per Pinocchio di Matteo Garrone, che era candidato nelle categorie tecniche migliori costumi e miglior trucco e acconciatura, entrambi strappati da Ma Rainey's Black Bottom, film che ha più che altro una super Viola Davis (rimasta senza Oscar) e il merito di farci scoprire o riscoprire Ma Rainey, una delle prime cantanti blues.

Come da tendenza recente, dopo la protesta del 2015 #OscarSoWhite, la consegna dei premi si è dimostrata così pavidamente politicamente corretta e inclusiva, sempre più attenta a non trascurare le minoranze e sempre meno giusta sui meriti. Con una buona quota di Oscar black, alcuni premi asiatici (oltre a Chloé Zhao, Oscar a Yoon Yeo-jeong di Minari), e una forte rappresentanza femminile. L'altra donna celebrata è stata la britannica Emerald Fennell, premiata per la sceneggiatura originale di Una donna promettente: la scelta è probabilmente discutibile (Una donna promettente ha guizzi interessanti ma anche svolte narrative lacunose). Fennell diventa comunque la seconda donna a vincere in solitaria l'Oscar in questa categoria dopo Diablo Cody per Juno (2007).

Ha intuito con acume e autoironia questa tendenza ecumenica dell'Academy Museum of Motion Pictures la 73enne coreana Youn Yuh-jung, Oscar comunque meritato come migliore attrice non protagonista per Minari: «Vengo dalla Corea, vivo da un'altra parte del mondo e di solito gli Oscar li guardo in tv. Non riesco a capacitarmi di essere qui. Devo darmi un po' di contegno. Io non credo nella gara: come posso battere Glenn Close, sappiamo tutti quante splendide interpretazioni ci ha regalato. Forse sono qui solo perché ho avuto più fortuna. O forse un segno di ospitalità americana nei confronti di una signora coreana».

Glenn Close inanella il record negativo: ottava nomination e ancora una volta a secco. Raggiunge in questo amaro primato Peter O'Toole.
Esce con le ossa rotte da questa nottata anche Il processo ai Chicago 7 di Aaron Sorkin: sei canditure, zero statuette. Mank, delle dieci nomination, ne ha concretizzate solo due (fotografia e scenografia).

Stranamente poco emozionante il momento In Memoriam, affidato alle note belle ma poco adatte di Stevie Wonder e montato in una carrellata troppo veloce. Tra chi ci ha lasciato, il ricordo è andato al nostro Ennio Morricone, al produttore Alberto Grimaldi, a Sean Connery, Kim Ki-duk, Boseman

Nel mare di incertezze del periodo in corso, una certezza c'è sempre: se in è lizza, la Disney Pixar vincerà, tanto più se a rappresentarla è Pete Docter. Per lui il terzo Oscar, prima con Up, quindi Inside out, e ora con Soul.

Ecco tutti i vincitori.


Miglior film
Nomadland di Chloé Zhao

Miglior regia
Chloé Zhao per Nomadland

Migliore attrice protagonista
Frances McDormand per Nomadland

Miglior attore protagonista
Anthony Hopkins per The Father

Migliore attrice non protagonista
Youn Yuh-jung per Minari

Miglior attore non protagonista
Daniel Kaluuya per Judas and the Black Messiah

Migliore sceneggiatura originale
Emerald Fennell per Una donna promettente

Migliore sceneggiatura non originale
Christopher Hampton e Florian Zeller per The Father – Nulla è come sempre

Miglior film d'animazione
Soul di Pete Docter

Miglior film internazionale
Un altro giro (Druk) di Thomas Vinterberg (Danimarca)

Miglior fotografia
Erik Messerschmidt per Mank

Migliore scenografia
Donald Graham Burt e Jan Pascale per Mank

Migliori costumi
Ann Roth per Ma Rainey's Black Bottom

Miglior montaggio
Mikkel E. G. Nielsen per Sound of Metal

Miglior sonoro
Nicolas Becker, Jaime Baksht, Michelle Couttolenc, Carlos Cortés e Phillip Bladh - Sound of Metal

Miglior effetti visivi
Andrew Jackson, David Lee, Andrew Lockley e Scott Fisher - Tenet

Miglior trucco e acconciature
Sergio Lopez-Rivera, Mia Neal e Jamika Wilson per Ma Rainey's Black Bottom

Migliore colonna sonora
Trent Reznor, Atticus Ross e Jon Batiste per Soul

Migliore canzone originale
- Fight for you (musica di H.E.R. e Dernst Emile II, testo di H.E.R. e Tiara Thomas) - Judas and the Black Messiah

Miglior documentario
Il mio amico in fondo al mare (My Octopus Teacher) di Pippa Ehrlich e James Reed

Miglior corto documentario
Colette di Anthony Giacchino

Miglior cortometraggioanimato
If Anything Happens I Love You di Will McCormack e Michael Govier

Miglior cortometraggio (live action)
Two Distant Strangers di Travon Free e Martin Desmond Roe

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