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October 10 2023
Non tutto è trauma e non tutte le esperienze traumatiche originano una traumatizzazione o disturbi psicopatologici legati al trauma. Per un sano sviluppo in un’ottica di crescita soprattutto dei giovani è necessario incontrare ostacoli, in maniera tale da costruire esperienza, modelli e strumenti a cui attingere in età adulta per contrastare e superare criticità e difficoltà.
L’odierna tendenza genitoriale spinge a identificare come traumi e minacce quelle che in realtà sono le normali esperienze di vita. Tale fenomeno viene definito come pantraumatismo. Il bambino e il giovane adulto non vengono visti, letti e percepiti nel loro potenziale, ma identificati come soggetti fragili che necessitano di essere difesi in quanto totalmente incapaci di affrontare le avversità e, come tali, da proteggere anche a distanza. Non è difficile comprendere come questa immagine dell’adulto su di loro proiettata possa creare problematiche in ordine di insicurezza, di autostima e di costruzione dell’identità.
Si parla molto di resilienza, ma, in termini concreti, a livello educativo si agisce sempre più in maniera opposta. Il concetto di resilienza implica una diversa rappresentazione del concetto di vulnerabilità, la cui mala interpretazione ad opera della società contemporanea, che va a leggerla come un elemento negativo e di debolezza, dovrebbe essere sostituita con l’accezione di potenzialità. Questa nuova lettura consentirebbe di trasformare l’avversità e la sofferenza in risorse e occasioni di apprendimento e di formazione. Il superamento di un evento negativo o di una condizione di svantaggio, sono ben visibili anche in quegli atteggiamenti che si palesano nell’ostilità verso la società e le sue regole, nei comportamenti antisociali, nel cinismo, nell’odio e nella violenza. Una vera educazione alla resilienza sarebbe invece in grado di generare comportamenti di condivisione, di solidarietà, di impegno, di responsabilità etica e morale. L’impatto sarebbe quello che vedrebbe l’effettiva realizzazione di una dimensione comunitaria e la responsabilizzazione sociale e collettiva, in un’epoca in cui la responsabilità delle proprie azioni viene sempre più delegittimata, anche ad opera di genitori legittimanti e, spesso, attribuita all’altro per mezzo di disimpegni morali. Un’educazione di questa natura null’altro sarebbe se non un’azione indirizzata a sollecitare l’intenzionalità dei soggetti verso degli obiettivi per mezzo della responsabilità personale e collettiva. Si consideri difatti che l’eliminazione del confronto, dell’ostacolo e della responsabilità impediscono lo sviluppo di un pensiero orientato al porsi obiettivi e, anche nel caso questi vi fossero, cadrebbe la possibilità di metterli in atto venendo a mancare le basi di impegno, di resilienza, e di perseveranza, necessarie a fronteggiare gli ostacoli che possono interporsi al raggiungimento di un fine.
I bambini e i ragazzi hanno la necessità di crearsi strumenti e risorse per contrastare gli eventi avversi, per sviluppare capacità adattive di fronte a contesti e scenari sempre più caratterizzati da crescente complessità (pandemie, guerre, crisi economiche, politiche, finanziarie, ambientali) e relativa incertezza. Servono strumenti anche per riuscire a mantenere un sé integrato all’interno della multidimensionalità dei campi dell’esistenza.
Altro elemento sostanziale è il fatto che la società occidentale tende ad allontanare dolore e morte ovattando e mistificando la realtà per mezzo di filtri, ma le esperienze drammatiche e terrificanti della vita continuano a sussistere, con l’aggravante che vengono sempre più a mancare gli strumenti per affrontarle. Il genitore e la scuola non dovrebbero eliminare le difficoltà, non dovrebbero togliere la capacità di misurarsi e confrontarsi con i propri limiti o sostituirsi nel confronto tra i pari, ma dovrebbero fornire strumenti e dare supporto e sostegno nelle avversità. Ciò determinerebbe un mutamento della prospettiva entro cui collocare i fenomeni di vulnerabilità, consentendo di concentrare l’attenzione sugli elementi positivi, sulle risorse e sui fattori di protezione, su quegli aspetti che, anche se le circostanze sono delle più negative, generatrici di condizioni di stress e traumi, permettono agli individui di svilupparsi positivamente.
Il principio guida che dovrebbe rivoluzionare il tipo di approccio educativo riguarderebbe la rivisitazione del concetto di invulnerabilità generato dall’attenzione posta esclusivamente sulla vulnerabilità. Se si continua a rimanere nella falsa credenza che la sofferenza psichica sia segno di debolezza, non si potrà intervenire da un punto di vista pedagogico ed educativo. Un uomo, in realtà, può svilupparsi soltanto interagendo con gli altri, mettendo a confronto esperienze, condividendo il dolore e la sofferenza, aprendosi alla critica costruttiva, ma è necessario superare lo stereotipo connesso alla vulnerabilità. Solo accettando la propria inattaccabilità, perché la cagionevolezza viene vissuta come qualcosa da cui difendersi, sia nei confronti di sé che nei confronti degli altri, è possibile adoperarsi per scoprire le risorse interne insite nell’individuo, nonché le risorse messe a sua disposizione. I processi di resilienza, in questo senso, esprimono un elevato grado di trasformazione e generazione in quanto nascono dall’esperienza dolorosa senza cancellarla o annullarla. Solo così si possono costruire esperienza e strumenti.
Sarebbe di primaria importanza ragionare concretamente al fine di promuovere un’educazione della cura, della solidarietà, della comprensione, dell’empatia e della condivisione, fornendo così elementi di sostegno al pensiero critico, necessario alla messa in discussione di un’organizzazione sociale costruita sull’immaginario del successo, della produttività, dell’utopia dell’invulnerabilità. La messa in opera di programmi educativi di questa natura fungerebbe come prevenzione primaria dei fenomeni di violenza.