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December 02 2021
Giacomo Sciarra Colonna è un nome che, ai più, non evoca alcun ricordo.
Tuttavia, per i cultori della storia medioevale, divenne famoso per essere stato l’autore del celeberrimo ‘schiaffo’ inferto al Pontefice Bonifacio VIII, un’umiliazione tramandata ai posteri come lo ‘schiaffo di Anagni’.
Bene, dopo lo ‘Schiaffo di Anagni’ oggi abbiamo l’onore di annoverare la ‘Pacca di Empoli’.
Un giorno gli anziani racconteranno ai nipotini, intorno al fuoco (ci rimarrà solo quello se le bollette continuano a salire con questo ritmo), che nell’Anno Domini 2021, in un uggioso e freddo sabato sera di novembre, un tifosotto come tanti, deluso dalla prestazione della sua squadra del cuore, rifilò una ‘pacca’ distratta, goliardica, certamente stupida, sul gluteo di un’avvenente giornalista (che in realtà all'ordine non è ancora iscritta) in diretta TV, un araldo dei tempi moderni, chiamata a raccogliere gli umori del popolo che scemava dagli spalti dello stadio di Empoli.
“Individuato dalle immagini RAI, questo padre di famiglia dalla mano lesta si ritrovò nella più scomoda delle situazioni: sottoposto alla più truce delle gogne mediatiche, bollato come molestatore professionista, raggiunto da un DASPO di tre anni (nientemeno che il divieto di frequentare manifestazioni sportive, sia mai il rischio che non trattenga lo slancio del braccio e palpeggi altre giornaliste), denunciato alla Questura di Empoli e condannato penalmente”.
“Ma, nonno, non hanno un po’ esagerato?”, risponderà il nipotino con quell’ingenua sincerità tipica dell’infanzia che ebbe il bambino quando gridò ‘il re è nudo!’.
E già, in effetti….
Qualsiasi cosa si possa dire sulla ‘Pacca di Empoli’ rischia di tracimare nella sottovalutazione di un fenomeno drammatico quale quello della violenza sulle donne, della molestia, del maschilismo becero che pensa di poter fare quello che vuole al corpo femminile, nella totale impunità.
Però riportiamo l’episodio nel suo contesto perché creare ‘mostri’ è, specularmente, una forma di esagerazione esecrabile che sopravanza l’onore perduto della bella e seria giornalista, travolta da una notorietà che prima godeva solo in una cerchia ristretta di familiari e spettatori locali.
Io invocherei un gesto di ‘grazia’, che non può che promanare dalla vittima, affinché la mano-più-veloce-del-West non patisca conseguenze più cruente di quelle che merita.
Proporrei di lavare l’offesa in altro modo, piuttosto che nelle Aule Giudiziarie, magari in un confronto, sempre in diretta TV, dove la giornalista, dotata di un remo da canotto, sferzi i glutei del palpeggiatore con due o tre colpi ben assestati e accetti solenni e sinceri scuse del colpevole che prometta di non farlo mai più, non solo con lei, ma con qualsiasi esponente del mondo femminile, dagli 0 ai 99 anni.
Ho come l’impressione che ciò non avverrà perché la giornalista appare determinata e, con l’ardore di una novella Giovanna D’Arco da Me Too, ha rifiutato le scuse del palpeggiatore invocando pene esemplari.
Pene che ragionevolmente arriveranno, se solo si pensa che, precedenti alla mano (e sempre di mano si parla…), il tifoso rischia una condanna di due anni, senza potersi avvalere della tesi dalla goliardata, giacché la Cassazione ha più volte ribadito che “la libertà di disporre del proprio corpo a fini sessuali è assolutamente incondizionata e non incontra limiti nelle diverse intenzioni che l’altra persona possa essersi prefissata”.
Certamente un orientamento giusto, da pesare però nell’ambito del contesto in cui la ‘pacca’ è stata sferrata, dal danno concreto subito, dalla tenuità del gesto, dal pentimento sincero del suo autore.
Greta, questo il nome della giornalista, può sempre ravvedersi e lo auguro a lei e ad Andrea, questo il nome del tifoso, che ora dovrà darsi da fare, dimostrare la propria sincera contrizione, smetterla di parlare di ‘cavolata’ (sì, l’hai fatta!) e convincerla a finirla qui, senza strascichi.
Una bella lettera, un mazzo di fiori, non per ‘comprare’ la vittima, ma per attestare che dietro la mano ci sia anche un cervello e un cuore pentito.
E poi si parli d’altro, per favore.